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INDAGINE ISMEA
 

Logistica, la sfida si gioca sull'intera filiera

La Gdo per ottimizzare i costi punta su piattaforme multifornitore, che non sempre si adattano all'agroalimentare - Serve un modello che integra più attività  dal controllo qualità alla tracciabilità

Qual è il grado di inefficienza logistica del sistema agroalimentare italiano e quali sono gli elementi "macro" e micro che lo determinano? Quali le linee guida per cercare di uscire dall'impasse e ristabilire da questo punto di vista il vantaggio competitivo delle aziende italiane? A queste domande ha cercato di rispondere un'analisi svolta da Ismea- Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare appena pubblicata, dal titolo "La logistica agroalimentare in Italia tra limiti e opportunità", basato su un'indagine "face to face" con 240 operatori (organizzazioni e cooperative di produttori, singoli produttori che fungono anche da grossisti/intermediari; importatori/grossisti/esportatori/operatori dei mercati all'ingrosso ecc.) delle filiere di kiwi, agrumi, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, olio extravergine di oliva, vino. L'indagine comprende poi un'altra serie di interviste telefoniche a 1.300 operatori dell'industria agroalimentare.

Senza entrare nel complesso e articolato rapporto di pesi che storicamente sussiste fra produttori agricoli e GDO - operazione che lo porterebbe inevitabilmente fuori strada - e pur considerando l'importanza dei nuovi scenari costituiti oggi dalla vendita on line, dal canale Ho.re.Ca e dalla vendita diretta, il Rapporto Ismea parte dalle tendenze "macro" del mercato.  Le principali caratteristiche della riorganizzazione in atto nella distribuzione moderna nel campo della gestione logistica sono principalmente riconducibili alla tendenza nel passare da una "logistica PUSH" ad una "logistica PULL", a partire dall'alto. Da parte della Gdo, infatti, si spingerà sempre di più a far risalire il controllo logistico dei processi da parte del distributore il che lo spinge giocoforza a creare piattaforme logistiche multifornitore (facendole gestire naturalmente ad operatori logistici terzi) a monte della catena, spesso in aperto contrasto con le volontà e le attese dei fornitori.
Il risultato di questa pressione sulla gestione delle scorte porta alla crescita delle attività di transito veloce nelle piattaforme a valle, nonché al rafforzamento del ruolo centrale dei Centri di Distribuzione (Ce.Di.) per il controllo (e l'ottimizzazione) dell'intera catena dei costi logistici. Questo obiettivo è oggi in Italia molto sentito dalle grandi catene distributive, che con una maggiore razionalizzazione dello stock nei magazzini a monte, si aspettano notevoli benefici, legati alla maggior frequenza di consegna e misurabili in minori costi di trasporto (aumento della saturazione dei mezzi, diminuzione delle attese allo scarico, minori rotture di stock a scaffale, altrimenti dette out of stock).

Di fronte a questa prospettiva, l'indagine mostra gli operatori molto divisi: per alcuni la scelta delle piattaforme logistiche multifornitore sarebbe una buona opportunità, a patto che si basi su tariffe ragionevoli, la gestione da parte di un operatore con una conoscenza ultradecennale del settore, la presenza di strutture idonee al mantenimento della catena del freddo e della qualità dei prodotti stoccati. Alcuni hanno poi posto in evidenza criteri preferenziali coincidenti con una massa critica adeguata, la presenza di un consorzio degli aderenti che coordini la gestione, la vicinanza ai mercati di vendita o l'ubicazione nella periferia dei grossi agglomerati urbani da cui far partire la distribuzione per il centro città.
Per altri invece, invece, questo modello non è percorribile, come dimostrano i vari tentativi falliti.
Sono troppe - si sostiene - le specificità delle singole aziende, le disomogeneità tra i produttori, le esigenze divergenti, così come sono rilevanti le rivalità legate alla competizione. Secondo questa corrente di pensiero, la gestione diretta in azienda comporta minori costi e maggiore flessibilità, evitando il rischio di una divulgazione di dati sui clienti che, per riservatezza e per mentalità, non si è disponibili a condividere. Spesso, è stato affermato, vi è la necessità di vivere direttamente la logistica, soprattutto nella distribuzione tradizionale.
 

CHI GESTISCE IL TRASPORTO NELLA FILIERA
(quote nelle diverse fasi produttive e commerciali*)

Rapporto Ismea "Logistica agroalimentare in Italia tra limiti e opportunità"; domande a risposta multipla, la somma può essere maggiore di 100.

Dubbi sulla qualità, fiducia, riservatezza, mancanza di una massa critica adeguata, dunque, per quanto riguarda le piattaforme multifornitore. Elementi che tornano non a caso anche in una delle fasi principali della logistica, quella dei trasporti. La loro gestione avviene, a seconda delle filiere prese in considerazione, in maniera molto eterogenea: a governare la presa in carico del trasporto da parte del fornitore o del grossista (es.) in entrata e del grossista o del distributore in uscita non sono solo elementi legati alla natura del prodotto, ma anche equilibri di forze (come nel caso dei trasportatori esteri con più "peso" nella gestione logistica), prassi consolidate, e scarsa fiducia nell'esternalizzazione delle competenze, dovuta a un livello di qualità dei terzisti giudicato troppo basso. E' evidente che ancor prima di parlare di piattaforme multifornitore, appare utile un excursus sulla governance della logistica attuale in Italia.

E' quello che l'indagine fa con gli operatori delle diverse filiere. Alcuni esempi. Proviamo a seguire la filiera del Parmigiano Reggiano. Parlando delle aziende che trasformano latte in Parmigiano Reggiano, per il latte in entrata nella maggior parte dei casi (77%), il costo del trasporto della materia prima è a carico dell' operatore (es: cooperativa), e più raramente del fornitore. Nel caso in cui il trasporto è a carico dell'azienda, è raro che questo venga appaltato a terzi. Molto spesso, viene svolto con mezzi aziendali: chi non decentra il trasporto del latte ha motivato questa scelta con la maggiore cura del prodotto nel trasporto, il controllo completo sul processo, l'ottimizzazione dei costi, la possibilità di avere mezzi sempre disponibili, una migliore gestione di un prodotto molto delicato come il latte. Anche per le aziende che stagionano o che acquisiscono le forme in entrata, prevale il trasporto in proprio e con mezzi aziendali. Ma andando più avanti nella filiera, il discorso cambia. Il trasporto delle forme in uscita verso la GDO (o altri distributori) è a carico dell'operatore solo nel 44% dei casi per il mercato nazionale e per il 53% per l'export. Qui incide, tra le altre cose, la natura del prodotto finito: per la maggior parte degli operatori la gestione delle forme di Parmigiano nelle fasi di stoccaggio e trasporto non presenta  grosse criticità e quindi assumersene l'onere non è di primaria importanza.

Sul Prosciutto di Parma la situazione cambia radicalmente, e praticamente in tutte le fasi della filiera: in entrata è  sempre (100% dei casi) il fornitore (azienda di macellazione che produce cosce fresche per Parma) a farsi carico del trasporto. In uscita nel mercato interno invece l'operatore nel 77,8% dei casi si occupa del trasporto utilizzando nel 78,3% dei casi si occupa di terzisti. Per l'85% di questi operatori è il piccolo dettaglio il principale cliente, seguito dalla GDO. E all'estero? Il 77% esporta con mezzi a suo carico. Una quota decisamente superiore a quella, ad esempio, del Parmigiano Reggiano: ma qui l'importanza attribuita alla qualità del trasporto nella fase finale gioca un ruolo determinante.
Ma non sono solo le considerazioni sulla qualità del trasporto a decidere, purtroppo, i "pesi" della logistica. In tal senso, l'analisi della filiera del vino, evidenzia uno degli svantaggi strutturali dell'Italia: i dati ci dicono che per quanto riguarda il trasporto in uscita del vino confezionato verso i mercati esteri, solo il 16% degli operatori riesce a internalizzare il trasporto, cosa che invece riesce molto più agevolmente per il mercato italiano (98% dei casi). Il motivo non è certo un segreto, e riguarda in realtà tutte le filiere: la dipendenza dalla logistica estera, schematizzabile nella società di trasporto e logistica estera che viene in Italia con merce in export (import italiano), e dovrà poi fare un viaggio di ritorno verso il paese di origine. Offrirà quindi i propri servizi anche per le merci in import nel suo paese (export italiano) a prezzi più contenuti ed il meccanismo di dipendenza dalla logistica estera in questo modo si autoalimenta. Teoricamente lo potrebbero fare anche i trasportatori italiani, ma il peso dei "ritornisti" stranieri è almeno triplo.

Una grossa eterogeneità, insomma, alla quale si affianca una geopolitica del mercato difficile da contrastare, ma ciò che è sicuro, secondo il rapporto Ismea è che, se si parla di piattaforme logistiche, queste dovranno essere estremamente "professionalizzate" e  integrare anche attività più propriamente "di filiera" che difficilmente i produttori locali non organizzati sarebbero in grado di sviluppare da soli: dal controllo qualità ai servizi di valorizzazione, dalla ricerca e sviluppo ai sistemi di rintracciabilità. Per le aziende più grandi, invece, il discorso cambia e l'impatto va misurato in base alla velocità di trasformazione già in atto nell'azienda stessa. In ogni caso, conclude il Rapporto, un ruolo decisivo giocherà certamente l'information technology che dovrà sempre di più accompagnare le crescenti esigenze di monitoraggio dei flussi, con particolare riferimento alla rintracciabilità, alla gestione della catena del freddo ed al suo controllo lungo tutta la filiera.

 
 
 

Andrea Festuccia

 
 
 
 
 
 

PianetaPSR numero 35 - settembre 2014