PianetaPSR
NEGOZIATO TTIP

Usa-Europa, la partita doppia del libero scambio

Il punto sulla trattativa  per rilanciare gli scambi e focus sul dossier agroalimentare - Tutela dei marchi d'origine e sicurezza alimentare priorità dell'Italia che già ha un attivo di circa 2 miliardi

Il commercio internazionale rappresenta da sempre un importante volano  dello sviluppo dell'economia mondiale, tanto più in questa fase di avanzata globalizzazione. Ma è anche il terreno in cui la spinta espansiva deve fare i conti con una regolazione dei mercati che risente ancora dei vecchi meccanismi che per decenni gli Stati hanno attivato per proteggere i propri mercati, come barriere commerciale tariffarie e non, dazi e norme fitosanitarie e veterinarie.
In questo contesto, tenuto anche conto che l'ambizioso Doha Round lanciato in ambito Wto sembra che vada avanti con molta lentezza tra mille difficoltà, un ruolo potenzialmente molto importante può essere svolto dagli accordi bilaterali per la creazione di aree di libero scambio, che vede impegnati alcuni dei protagonisti dell'economia mondiale. Tra questi figurano gli Stati Uniti e l'Unione Europea, che nel giugno del 2013 hanno avviato i negoziati  per realizzare questo obiettivo tra le due sponde dell'Atlantico. Stiamo parlando del cosiddetto TTIP, il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, il cui acronimo sta per  "Transatlantic Trade and Investment Partnership".   
Gli Stati Uniti spingono  per creare un enorme mercato deregolamentato da legare al "Tpp", Trans-Pacific Partnership, altra area di libero scambio in via di creazione tra Usa, Canada, Messico, Perù, Cile, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Singapore, Vietnam, Malesia e Sultanato del Brunei. Il governo statunitense sta quindi mettendo le basi per realizzare un new world dove investire ed esportare liberamente, eliminando ogni tipo di barriera per le proprie merci e per i propri capitali.
L'Unione Europea, dal canto suo, si è seduta al tavolo del negoziato con un atteggiamento più cauto, attenta soprattutto a valutare bene il rapporto tra rischi e opportunità che il vento della deregulation potrebbe portare in termini di quote di import ed export. E con un certa cautela vengono prese anche le proiezioni degli effetti benefici che il buon esito del negoziato potrebbe avere per entrambi i partner. Bisogna anche considerare che gli Stati membri europei hanno un approccio articolato su alcuni temi specifici, come avviene a esempio nel commercio agroalimentare, a seconda del peso che esso ha all'interno delle proprie economie. Di conseguenza, nel processo negoziale TTIP, le sensibilità per quanto riguarda le questioni di politica commerciale agricola, sono distribuite in modo non uniforme.

L'IMPATTO DELL'ACCORDO SULL'ECONOMIA 
Diversi studi hanno evidenziato che l'accordo avrà benefici sia per gli Stati Uniti che per l'Unione Europea. Il Center for Economic Policy Research di Londra e l'Aspen Institute dicono, per esempio, che ci sarebbe un aumento del volume degli scambi e in particolare delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti (l'incremento sarebbe del 28 per cento, circa 187 miliardi di euro). I dazi tra Stati Uniti e UE sono in media piuttosto bassi, quasi la metà di quanto imposto verso gli altri paesi del mondo, anche se ci sono grandi differenze tra settori. Gli studi favorevoli al trattato hanno inoltre stimato che il Pil mondiale aumenterebbe (tra lo 0,5 e l'1 per cento pari a 119 miliardi di euro) e aumenterebbe anche quello dei singoli Stati (si stimano 545 euro l'anno in più per ogni famiglia in Europa). Poiché ci sarebbe una maggiore concorrenza, si avrebbero anche benefici generali sull'innovazione e il miglioramento tecnologico.

 
 

I prodotti Made in Italy più esportati negli USA
(i dati si riferiscono al 2013)

 
GLI OBIETTIVI DEL TTIPP
Nel documento diffuso dalla UE, che è comunque l'unico ufficiale, il TTIP viene definito come «un accordo commerciale e per gli investimenti». L'obiettivo dichiarato dell'accordo è «aumentare gli scambi e gli investimenti tra l'UE e gli Stati Uniti realizzando il potenziale inutilizzato di un mercato veramente transatlantico, generando nuove opportunità economiche di creazione di posti di lavoro e di crescita mediante un maggiore accesso al mercato e una migliore compatibilità normativa e ponendo le basi per norme globali». L'accordo dovrebbe agire in tre direzioni: aprire una zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, uniformare e semplificare le normative tra le due parti abbattendo le differenze non legate ai dazi (le cosiddette barriere non tariffarie), migliorare le normative stesse.

A CHE PUNTO E' IL NEGOZIATO
I negoziati sul TTIP sono stati avviati ufficialmente a giugno del 2013 e dovrebbero essere completati nel 2016. Per quanto riguarda l'Unione Europea il Trattato dovrà poi essere votato dal Parlamento europeo. A condurre i colloqui per conto della Ue, è la Direzione generale del commercio della Commissione europea - cioè uno dei "ministeri" in cui è suddivisa la Commissione - diretta prima dal belga Karel De Gucht, sostituito da Cecilia Mallström nella nuova Commissione Juncker. Ci sono due negoziatori ufficiali tra le parti: per Bruxelles è Ignacio Garcia Bercero mentre per gli Stati Uniti è Dan Mullaney.
Attualmente il negoziato è giunto all'ottavo round, tenutosi a Bruxelles dal 2 al 6 febbraio 2015.  Il nono round negoziale avrà luogo a Bruxelles  nella settimana del 27 aprile p.v.  che sarà seguito da un nuovo stocktaking politico in maggio; il decimo round si terrà in luglio.
 

AGROALIMENTARE: RISCHI E OPPORTUNITA' PER LA UE
Inquadrato il negoziato delle sue linee generali, in questo articolo approfondiremo soprattutto le tematiche che riguardano il nostro settore di competenza, quello agricolo e agroalimentare. Negli scambi agroalimentari gli Usa sono originariamente un paese di "destinazione": circa l'8% delle importazioni agroalimentari della Ue provengono dagli Stati Uniti, mentre la quota dell'export agroalimentare Ue verso gli Usa sale al 13%. Rispetto al commercio del settore industriale, gli scambi agroalimentari sono quantitativamente limitati , ma resta comunque un settore strategico, sia in termini  economici che di opinione pubblica. Sul primo punto basti ricordare le ricorrenti "guerre commerciali", combattute negli ultimi decenni a colpi di dazi e di ritorsioni; sul secondo capitolo, vale la pena accennare ad alcuni spinosi dossier che tengono banco da molti anni: quello sulla carne agli ormoni che gli americani vorrebbero esportare sui mercati europei, e la mai sopita battaglia sugli Ogm. Due temi che ancora non sono stati affrontati in questa prima fase del negoziato, ma che sicuramente saranno al centro dei lavori quando si entrerà nel merito delle singole questioni.
Sempre in termini agricoli, altre critiche alle regole statunitensi riguardano l'uso dei pesticidi e l'etichettatura degli alimenti, ambiti nei quali la normativa europea offre tutele maggiori, sia in termini di impatto ambientale che di garanzie nei confronti dei consumatori.
Messe in conto tutte queste differenze, è evidente che al tavolo del negoziato il confronto è tra due modelli agroalimentari produttivi: più liberista e tecnologicamente evoluto quello nordamericano; più attento all'impatto ambientale, alla qualità e alla tutela dei consumatori il modello agroalimentare europeo. Molto diverso è anche l'assetto strutturale delle due agricolture: quella americana caratterizzata dalle grandi farm, mentre quella europea è frammentata in milioni di piccole aziende.
 
IL SOGNO AMERICANO DEL MADE IN ITALY
Differenze che si ampliano ancora di più se il confronto viene fatto con il modello italiano, che si colloca nella fascia bassa della media europea per quanto riguarda le dimensioni aziendali, mentre sale al top della classifica per la certificazione della qualità dei suoi prodotti: basti pensare alla leadership storica delle Denominazione d'origine degli alimenti e dei vini, al primato del biologico fino alla svolta delle ultime riforma della Politica agricola comune, sempre più orientata alla tutela dell'ambiente e della biodiversità.
Una "carta di qualità" che proprio negli Stati Uniti sta vivendo un momento di grande successo, con quote di mercato sempre più importanti; ma anche quella grande beffa che va sotto il nome di Italian Sounding, che fa concorrenza sleale al vero Made in Italy, mentre per l'ignaro consumatore diventa una vera e propria truffa commerciale. Sono questi i principali capitoli ai quali l'Italia guarda con particolare attenzione all'interno del grande capitolo agroalimentare, dopo essere andati a vuoto negli ultimi anni i tentativi di ampliare oltre ai vini, che l'hanno già ottenuta, la protezione delle proprie denominazioni d'origine nell'ambito degli accordi Trips che tutelano a livello internazionale la proprietà intellettuale.
Sgombrare il campo da queste distorsioni, significherebbe poter tradurre in nuove quote di mercato la grande reputazione che il Made in Italy agroalimentare si è conquistato sul mercato americano, rafforzando gli importanti risultati che comunque, a dispetto di dazi e barriere non tariffarie, guerre commerciali e pratiche sleali come le imitazioni simil-italiane, sono già arrivati.
Come confermano le statistiche elaborate dall'Istat sull'interscambio tra Italia e Stati Uniti.  Nel periodo gennaio-novembre 2014, l'export agroalimentare oltreoceano ha raggiunto la quota record di circa 2,8 miliadi di euro, contro un import proveniente dagli Stati Uniti di 819 milioni di euro, con un saldo attivo a favore della bilancia commerciale italiana che sfiora quindi i due miliardi. Una crescita trainata dai prodotti più tipici del Made in Italy: il vino, che ha superato di slancio la soglia di un miliardo di euro, l'olio di oliva vicino ai 400 milioni, i formaggi 238 milioni e le paste alimentari a quota 200 milioni. Con 67 milioni di euro e una crescita dell'8%, una menzione particolare va ai prosciutti, il prodotto simbolo di un embargo attuato per decenni dagli americani con una pretestuosa barriera sanitaria, superato sogli negli anni Novanta dopo una lunga e complessa trattativa tra i due Paesi. Segno che, quando vanno nella giusta direzione, gli accordi bilaterali possono dare buoni frutti.

 
 
 
 

Giorgio Starace
Massimiliano Cocciolo

 
 
 

PianetaPSR numero 41 - marzo 2015