Home > Il punto sui PSR > La stalla sostenibile, tutta latte e chilovatt
GREEN ECONOMY

La stalla sostenibile, tutta latte e chilovatt

L'ingegnere-allevatore Filippo Palombini ha realizzato a Nepi (Viterbo) un'azienda  a impatto zero, combinando bioenergia e  sviluppo della genetica con l'embrio transfert  -  Il ruolo dei fondi Psr
Filippo Palombini nella sua azienda zootecnica di Nepi (VIterbo) dove si produce latte e bioenergie

E' l'innovazione verde la parola d'ordine nell'azienda Palombini, 140 ettari  nel comune di Nepi, in provincia di Viterbo, dove l'attività tradizionale si integra bene con la bioenergia.  Filippo, 53 anni, ingegnere, oggi gestisce l'azienda zootecnica di famiglia nata nel 1981 per volontà del padre dove, da qualche anno, la produzione di latte si coniuga con la cogenerazione di biogas realizzato anche con i fondi del Psr. Un'azienda che si trasforma giorno per giorno, dove si allevano oggi 600 bovine frisone, attività completamente autonoma dal punto di vista energetico, calore compreso, grazie anche ad impianti fotovoltaici e di teleriscaldamento. Impegno negli anni pluripremiato, tanto che a settembre l'azienda sarà ad Expo come ambasciatrice del territorio del Lazio nell'ambito delle manifestazioni del treno verde di Legambiente. Una storia condita da un mix di attaccamento alle origini, solide competenze tecniche, scientifiche e gestionali, entusiasmo e praticità imprenditoriale, con tanti progetti da realizzare per il futuro tutti volti alla multifunzionalità, diffusione e sostenibilità ambientale ed economica.
Scelta o passione?
"Direi passione che cerco di trasmettere ai miei figli come fece a suo tempo mio padre con me e mio fratello. Anche lui ingegnere, proveniva da una famiglia di agricoltori dell'amatriciano che a 55 anni decide di cambiare vita, acquistando un appezzamento di terra da 20 ettari, dove c'era solo una cava in disuso di blocchetti di tufo. Una scelta condivisa con noi figli a cui intestò subito l'azienda agricola Palombini Filippo e Andrea".
Una bella storia di generazioni.
"Sì e tanto impegno. In una decina di anni gli ettari diventano 55, con due stalle, il primo nucleo di casa e un allevamento di mucche da latte. Io e mio fratello intanto ci laureiamo in ingegneria; io in particolare completo i miei studi all'estero, vivendo l'azienda senza lo stress della gestione perché se ne occupava ancora nostro padre. Poi l'azienda cresce e con mio fratello entriamo in pianta stabile, addentrandoci nel mondo dell'imprenditoria agricola e agroalimentare; arriviamo ad avere oltre 150 vacche in mungitura con le relative strutture".
Quando avviene la svolta verde?
"Nel 2008, quando in piena crisi bisognava decidere se chiudere o andare avanti e come, ma senza giocare in difesa perché alla lunga è una tattica che non paga. Decidiamo di scommettere sulla tecnologia e sulla competitività e il mondo della green economy ci dà lo spunto per creare un'opportunità imprenditoriale".
Ha aiutato il fatto di essere ingegnere?
"E' stato il punto di forza essere contemporaneamente ingegneri, agricoltori e imprenditori. Non tanto per le competenze, quanto soprattutto per la mentalità che ci ha permesso di superare le difficoltà autorizzative e burocratiche che in Italia spengono sul nascere le iniziative imprenditoriali, specie nel mondo agricolo. Documentandoci  ci imbattiamo nei primi impianti di biogas ed è lì che intravediamo la svolta".
E' così che inizia l'avventura bioenergetica?
"Sì, fermo restando che il core business è e resta la produzione di latte ci rendiamo che bisogna dare una svolta verde, per l'appunto. Nel 2009 installiamo il primo impianto di biogas del Lazio, tra i primi 20 in Italia, inizialmente da 500 kW che oggi abbiamo portato a 750 kW di potenza nominale, alimentato per il 70% da scarti e prodotti aziendali. Partiamo anche con il fotovoltaico, posizionando un impianto da 550 kW  sulle coperture delle stalle a sostituzione dei 3000 mq di eternit e con il teleriscaldamento aziendale, utilizzando il calore di recupero nelle stalle per riscaldamento e acqua calda. Tutti investimenti autofinanziati ad eccezione del contributo del Psr regionale, con due misure, la 212 sull'ammodernamento delle aziende agricole  e la 311 per la diversificazione del reddito per il biogas. Negli ultimi 4-5 anni l'azienda diventa di 140 ettari, rinnoviamo macchine e strutture, le vacche in lattazione diventano 250, passando da 7 operai a tempo indeterminato a 13. Raggiunta questa dimensione decidiamo di lavorare sulla qualità, investendo in genetica''.
Può spiegare meglio?
"Il futuro di una attività agricola come la nostra non può prescindere dalla sostenibilità, non solo dal punto di vista ambientale ma anche e soprattutto economico, che significa innovazione e competitività. L'abolizione delle quote latte apre nuovi scenari, perché fino allo scorso anno non era possibile investire per aumentare la produttività. Oggi, invece, se si vuole rimanere sul mercato, occorre ancor più ottimizzare le strutture e incrementare i capi per diminuire i costi di produzione e  sostenere i margini. Per questo abbiamo deciso di investire per aumentare il  potenziale genetico della mandria, ricorrendo alla fecondazione artificiale, l'embio-trasfert;  ma questo è stato possibile grazie soprattutto alla solidità patrimoniale garantita in gran parte dalla produzione di energia".
Diciamo che l'energia verde ha avuti effetti decisivi in azienda!
"Sì, la produzione di bioenergia ha reso possibile lo sviluppo dell'azienda, ma anche la sostenibilità ambientale di un'attività che, per sua natura, è fonte riconosciuta di inquinamento. Oggi la nostra azienda è stata riconosciuta ad impatto sostanzialmente nullo: si autoproduce con fonte rinnovabile tutto il fabbisogno energetico di elettricità e calore, riduce gli effetti della gestione dei reflui e ha sostituito parte della concimazione di sintesi con quella organica, consentendo un credito in Tep di circa 750 t/anno". 
Un bell'esempio da trasmettere.
"Da tempo abbiamo visite guidate di studenti, centri di ricerca, operatori del settore e istituzioni. Abbiamo chiesto e ottenuto di diventare fattoria didattica per diffondere attività che coinvolgono sempre di più i giovani. Da quando purtroppo ho perso mio fratello ho maggiori responsabilità nei confronti dei miei figli e dei suoi che sono tutti molto giovani.  La speranza è di non rientrare nel solito canovaccio delle aziende familiari, dove la prima generazione la realizza, la seconda la sviluppa e la terza la vende. Ma questo non dipende solo dai figli, sta molto nella nostra capacità di trasmettere il lato bello di un'attività meravigliosa, senza spaventarli per il  peso di una gestione comunque complessa che richiede tante energie. Nel mio caso è ancora presto per fare previsioni, intanto semino la passione il resto verrà da solo".

 
 
 
 

Sabina Licci

 
 
 

PianetaPSR numero 43 - maggio 2015