Nell'agenda che vede l'Unione Europea impegnata nel confronto con molti partner internazionali per la creazione di aree di libero scambio, c'è anche il negoziato con il Giappone. In questo articolo cercheremo di fare il punto sullo stato di avanzamento della trattativa, con un focus specifico sui principali temi sul tappeto riferiti al settore agricolo e agroalimentare. Un settore molto importante per l'export del made in Italy, che già ha raggiunto in quel Paese traguardi significativi e con un potenziale di crescita molto ampio, finora compresso dal filtro di dazi e barriere non tariffarie con il quale il Sol Levante continua a tenere in piedi il suo sistema di protezione.
I primi passi di questa trattativa risalgono a maggio 2011, quando Bruxelles e Tokio decisero di avviare i preparativi per un accordo di libero scambio in vista del quale, sulla base di uno "scoping exercise", la Commissione avrebbe cercato la necessaria autorizzazione da parte del Consiglio per avviare i negoziati. A maggio dell'anno successivo, dopo un anno di intense discussioni, la Commissione ha concordato con il Giappone un programma molto ambizioso per i negoziati che coprono tutte le priorità di accesso al mercato dell'UE. Il 18 luglio 2012 la Commissione europea ha chiesto agli Stati membri il loro accordo ad avviare negoziati con il Giappone, che è stato dato il 29 novembre 2012. I negoziati sono tuttora in corso e recentemente, a fine aprile, si è concluso il 10° round tra di due partner.
Caratteristiche dei negoziati
I negoziati con il Giappone affrontano una serie di preoccupazioni dell'UE tra le quali in maggior misura le barriere non tariffarie e l'ulteriore apertura del mercato degli appalti pubblici giapponese. Entrambe le parti mirano a concludere un accordo ambizioso che copra la liberalizzazione progressiva e reciproca degli scambi di beni, servizi e investimenti, nonché la fissazione di norme sulle questioni commerciali.
I negoziati si basano sui risultati di un esercizio congiunto, che l'Unione europea e il Giappone hanno completato nel maggio 2012. Nel contesto di questo esercizio, entrambe le parti hanno dimostrato la loro volontà e la capacità di impegnarsi in un ambizioso programma di liberalizzazione degli scambi. La Commissione ha inoltre concordato con il Giappone specifiche tabelle di marcia per la rimozione, nel quadro dei negoziati, delle barriere non tariffarie nonché l'apertura degli appalti pubblici per le ferrovie giapponesi e del mercato del trasporto urbano.
Le direttive negoziali adottate dal Consiglio sono indirizzate, in particolare, alla reciproca eliminazione dei dazi dell'Unione europea e delle barriere non tariffarie in Giappone. Tali direttive consentono inoltre l'UE di sospendere i negoziati dopo un anno, se il Giappone non avrà rispettato i suoi impegni di rimuovere le barriere non tariffarie. Inoltre, sono previste clausole di salvaguardia per proteggere i settori europei sensibili.
Agroalimentare
Con il progressivo cambiamento delle abitudini dietetiche della popolazione del Sol Levante, a partire dagli anni '60 le importazioni dell'industria alimentare sono andate aumentando. Oltre agli alimenti tradizionali quali il riso, i fagioli, il pesce e le verdure, oggi i giapponesi consumano anche molta carne, cereali e latticini che provengono per la maggior parte dall'estero.
Il parallelo calo del livello di autosufficienza alimentare del Paese e la preoccupazione per il fatto che il consumatore giapponese starebbe muovendosi verso un modello alimentare di stile sempre più occidentale, caratterizzato cioè da un eccessivo contenuto di grassi e proteine rispetto alla dieta tradizionale giapponese, ha portato ad una maggiore attenzione alla salute che ha creato nuove opportunità d'inserimento per l'industria alimentare italiana. Nel corso degli anni, numerosi studi medici hanno attribuito crescenti vantaggi alla "dieta mediterranea" e hanno contribuito a sostenere la crescita della domanda locale di prodotti quali l'olio d'oliva, la pasta, i pomodori e il vino rosso. La domanda di pasta continua a crescere, e l'80% della pasta importata viene dall'Italia.
Anche l'importazione di formaggi rimane particolarmente significativa, soprattutto per quanto riguarda i prodotti caseari come mozzarella o Parmigiano Reggiano utilizzati nei ristoranti italiani presenti in Giappone. E sempre al canale della ristorazione sono legate per ora le importazioni di vino dall'Italia, che negli ultimi anni si sono stabilizzate.
Protezione tariffaria
Il Giappone garantisce una protezione tariffaria superiore al 200% ad oltre 100 denominazioni merceologiche del settore agricolo. Tra queste spiccano le tariffe protettive sul riso e sui prodotti trasformati a base di latte, di carne o di zucchero. Diversi prodotti agricoli, come il latte e alcuni prodotti caseari, la farina o la soia sono poi commercializzati sulla base di un sistema di monopoli statali, che impiegano migliaia di funzionari ministeriali a livello centrale e periferico per gli acquisti, l'importazione e la distribuzione.
Ma non sono solo i dazi a ostacolare l'export verso il mercato nipponico. Vi è infatti anche un sistema di barriere non tariffarie il cui principio ispiratore generale è che le certificazioni ottenute dai competitor stranieri nei Paesi di origine, salvo casi specifici, non sono considerate valide di per sé a garantire sicurezza e qualità accettabili in Giappone e vanno quindi reiterate a cura delle autorità locali e a spese degli importatori interessati.
Nello specifico, le barriere sono legate soprattutto a regolamentazioni di carattere sanitario (tra le più note, tolleranza zero verso il batterio Lysteria, in particolare per i salumi, o verso i batteri coliformi per i gelati), molte delle quali non sono in linea con il Codex Alimentarius, riconosciuto a livello internazionale come quadro di riferimento in fatto di sicurezza alimentare.
Nel settore ortofrutticolo, in cui la commercializzazione del prodotto è subordinata alla sua freschezza e presentabilità, la mancanza di regolamentazioni trasparenti accentua i possibili danni derivanti dalla discrezionalità concessa agli ispettori di frontiera. In molti casi, nonostante la completezza della documentazione fitosanitaria che accompagna frutta e verdura, e in assenza di un quadro normativo trasparente e uniforme per tutti i porti di entrata, il solo sospetto della presenza di agenti parassitari è sufficiente per sottoporre a fumigazione non solo il singolo prodotto esaminato, ma l'intera partita, aumentando così il rischio di arrecare danni visibili alla sua qualità e alla sua presentabilità.
Un altro ostacolo è rappresentato dal fatto che le fonti pubbliche da cui attingere informazioni certe sui certificati necessari per il passaggio alla frontiera sono di difficile reperibilità. Spesso gli importatori giapponesi costituiscono l'unico tramite con le autorità doganali e sanitarie, aumentando la filiera dei costi a carico delle aziende esportatrici. In altri casi, i prodotti ortofrutticoli devono essere sottoposti ad analisi specifiche, altrove non richieste, le cui certificazioni richiedono diversi giorni, a danno della freschezza del prodotto.
Un danno indiretto al prodotto italiano è dovuto alla distorsione della percezione indotta sul consumatore. Prodotti di largo consumo in Italia, come formaggio grana e prosciutto crudo, a causa degli elevati costi in entrata non possono ambire a un corrispettivo uso quotidiano anche in Giappone (i prodotti non vengono quindi destinati all'uso per cui sono stati pensati, diventando invece prodotti di lusso). Nello stesso tempo, tali prodotti godono comunque di costi complessivi relativamente favorevoli, in quanto calcolati su volumi ampi di importazione. Questo fa apparire ancora più sovradimensionato il prezzo dei prodotti di nicchia (di elevata qualità e caratterizzazione geografica), che, a causa di prezzi necessariamente più elevati, finiscono così sempre più relegati nella categoria degli articoli inaccessibili, impedendo di fatto un'offerta variegata per il grande pubblico.
Per il proprio uso quotidiano, il consumatore giapponese tende quindi a scegliere prodotti simili non italiani, ma caratterizzati da Italian sounding (esempi sono il Parmesan della Kraft o olii d'oliva solo imbottigliati in Italia ma di origine straniera), con l'effetto di incoraggiare la promozione di prodotti di qualità inferiore, che con il vero made in Italy non hanno nulla a che vedere.
Nonostante la distanza geografica e le differenze culturali, Italia e Giappone presentano caratteristiche simili e si trovano ad affrontare complessi problemi comuni, come la carenza di risorse energetiche e materie prime e il rapido invecchiamento della popolazione. La necessità di far fronte alle sfide future legate all'approvvigionamento energetico e alla aging society rappresenta un'importante opportunità per incentivare la collaborazione, lo scambio di tecnologie e il commercio che ruotano intorno a questi due fenomeni.
Vi sono, pertanto, indubbi margini di sviluppo delle potenzialità di cooperazione commerciale e industriale nei settori ad alto contenuto tecnologico, specie in considerazione del fatto che il Giappone investe una quota pari a circa il 3,6% del proprio PIL in ricerca e sviluppo. Il Paese del Sol Levante costituisce dunque per l'Italia un partner essenziale e strategico nel processo di rilancio dei propri settori avanzati, dalla ricerca di base quella applicata, all'innovazione tecnologica in settori quali le energie rinnovabili, le smart cities, le biotecnologie, le nanotecnologie, la farmaceutica, la robotica e la domotica.
Si deve inoltre aggiungere che il Giappone è un mercato che anticipa i global trends e, a volte, li determina (trend-setter), ponendo chi vi opera in posizione di vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. Le produzioni "high-end" realizzate nel Paese godono inoltre di un pregiudizio positivo nel Continente Asiatico, in cui il numero di potenziali consumatori è in crescita progressiva. La penetrazione all'interno del mercato nipponico può dunque rivelarsi un'importante rampa di lancio per una futura espansione nella regione, ivi inclusa la Cina, alla luce dei profondi legami economico-commerciali che, nonostante le tensioni sulle Isole Senkaku, ancora la legano al Giappone.
Nonostante i notevoli ostacoli prima elencati, i prodotti agroalimentari italiani trovano in Giappone un mercato ampiamente ricettivo. I principali Paesi fornitori vendono al Giappone soprattutto alimenti di base, prodotti da trasformare e materie prime, mentre l'Italia fornisce principalmente prodotti trasformati. Pur non risultando tra i primissimi esportatori verso il Sol Levante, il nostro Paese vanta tuttavia quote di export di assoluto rilievo riguardo, ad esempio, ai pomodori pelati, alle paste alimentari, al prosciutto crudo, all'olio di oliva, ai vini fermi e al formaggio, ossia nei settori che per tradizione rappresentano la punta pià avanzata dell'agro-alimentare italiano nel mondo. La progressione di cibi e vini Made in Italy sul mercato giapponese dura ormai da un ventennio.
Oltre a rafforzare ulteriormente la propria presenza nel comparto dei prodotti trasformati, l'Italia dimostra interessi espansivi anche riguardo ad alcuni prodotti del settore primario, per la cui importazione sono in corso da tempo negoziati in campo sanitario e fitosanitario finalizzati all'ottenimento delle necessarie autorizzazioni e che potrebbero garantire interessanti margini di sviluppo per i nostri produttori.
Interscambio agroalimentare
Rimane consistente e positivo il livello delle importazioni dall'Italia, nonostante il rallentamento dei consumi giapponesi e del cambio dell'euro. Nel corso del 2014 le esportazioni agroalimentari made in Italy verso il Giappone hanno raggiunto i 746 milioni di euro, con una crescita del 6% rispetto all'anno precedente. Il livello delle importazioni dell'Italia dal Giappone resta invece molto basso: 8,4 milioni di euro l'esborso valutario nel 2014, con un aumento del 2% rispetto al 2013. Tra i prodotti maggiormente importati figurano le piante vive, prodotti della pesca, thè, succhi ed estratti vegetali, paste alimentari, preparazione di salse e birra di malto. Il saldo della bilancia risulta favorevole per l'Italia, con un surplus di 738 milioni (+4,5% rispetto al 2013).
Giorgio Starace
Massimiliano Cocciolo
(Gli autori dell'articolo lavorano presso il Mipaaf
Direzione PIUE 2 - Rapporti internazionali e con il Csa)
PianetaPSR numero 43 - maggio 2015