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FILIERA BRASSICOLA

Under 35 a tutta birra.......artigianale

Il Mipaaf punta sulla filiera del luppolo italiano, e i produttori di birra artigianale - secondo una recente indagine - sarebbero propensi ad acquistare più malto "a Km zero" - Il 26 ottobre convegno a Roma

L'Italia negli ultimi anni ha registrato un vero e proprio boom di birrifici artigianali, uno dei fenomeni più significativi del settore agro-alimentare.
Autori di questo fenomeno sono soprattutto i giovani imprenditori, generalmente under 35, che hanno saputo abilmente trasformare la loro passione per la birra in un'attività imprenditoriale strutturata e dinamica in grado di far fronte al forte periodo di crisi economica che ha investito il nostro Paese. Giovani che hanno saputo intercettare la richiesta del mercato verso prodotti di qualità ed altamente distintivi per aromi e sapori. La realizzazione di un prodotto artigianale originale, il mettere a frutto esperienze precedentemente maturate in altri birrifici o la capacità di cogliere le opportunità imprenditoriali offerte dal mercato hanno infatti spinto molti under 35 ad investire nelle craft breweries nonostante le difficoltà del settore legate soprattutto alla tassazione che pesa per circa il 40 % del costo del prodotto finale. Secondo le ultime stime, infatti, il settore dà lavoro ad almeno 5mila under 35 italiani (inclusi i beershops) e ha visto una crescita delle esportazioni pari al 10 % negli ultimi due anni.

Un'immagine tratta dal sito COBI - Birragricola

Analizzando la distribuzione geografica dei birrifici, le imprese di settore, comprendenti microbirrifici (che si dedicano esclusivamente alla produzione di birra artigianale), brew pub (produttori con mescita in loco) e beer firm (con impianti presso terzi), sono aumentate nel triennio 2013-2015 del 143% rispetto al triennio precedente (fonte: Fermento Birra). Se si prendono in considerazione i soli microbirrifici, la crescita è stata dell'85 %.
Secondo il rapporto 2015 dell'Osservatorio Altis - UnionBirrai sul segmento della birra artigianale in Italia, anche la produzione media per birrificio è aumentata, passando dai 450 hl/anno nel 2012, pari all'1,1 % dell'intera produzione italiana, ai 622 hl/anno nel 2015, corrispondenti al 3,3 %, con un fatturato compreso 100.000 e 800.000 euro per il 90 % dei microbirrifici.

Quello della birra artigianale è un settore sì in forte crescita, ma soprattutto rivolto al territorio: le birre prodotte sono spesso commercializzate e consumate prevalentemente a livello locale. Tuttavia, a fronte di un aumento delle strutture produttive e di una sostanziale stabilità nei consumi, che si attestano intorno ai 29,2 litri annui pro capite, l'unica soluzione per la competitività del settore è di cercare all'estero nuovi canali di vendita, beneficiando della risonanza che un prodotto enogastronomico Made in Italy può dare a fronte di una competizione molto forte di paesi stranieri vocati alla produzione brassicola.

Tuttavia, la realizzazione di un prodotto che sia realmente Made in Italy richiederebbe la creazione di una filiera brassicola italiana dove tutte le materie prime (orzo e luppolo, principalmente) siano di produzione nazionale. In tal senso, il collegato agricolo recentemente approvato riporta all'articolo 36 la volontà da parte del MiPAAF di investire nello sviluppo di una filiera del luppolo italiano. Un buon inizio a cui dovrebbe seguire un impegno sull'intera filiera brassicola, orzo e malto in primis.

Da un'indagine statistica recentemente condotta sul territorio laziale nell'ambito dell'attività pilota "Birraverde" inserita nel progetto "Azioni per la diffusione dei processi cooperativi nelle aree rurali" della Rete Rurale Nazionale 2014-2020, è emerso infatti che il 70 % dei produttori di birra artigianale acquistano dall'estero malti normali e malti speciali, mentre sarebbero ben disposti ad utilizzare malto specifico per la birra prodotto in Italia, soprattutto se proveniente dal territorio regionale nel tentativo di realizzare una filiera a Km 0, il che consentirebbe un forte abbattimento dei costi di produzione. Altra grande criticità in tal senso è rappresentata dalla mancanza di malterie in grado di assicurare un percorso di qualità a chi voglia produrre birra artigianale. Attualmente in Italia esistono solo due grandi malterie industriali localizzate nel centro-sud che coprono meno della metà del fabbisogno italiano, stimato intorno ai 170.000 t/anno, che viene compensato dal mercato estero, con costi per i produttori di birra nettamente più elevati. Accanto a queste due realtà industriali, nelle Marche nel 2003 è nato il Consorzio Italiano di Produttori dell'Orzo e della Birra (COBI), una malteria consortile, dove più di 130 soci, provenienti da tutta Italia, portano il loro orzo che è selezionato e quindi sottoposto a diverse tipologie di maltazione. Il COBI ha registrato il marchio "Birragricola" per meglio distinguere e promuovere i suoi prodotti. Tuttavia è da sottolineare che in questo caso l'orzo maltato è riconducibile al Consorzio e non al singolo produttore conferente.

Nella stessa indagine, l'81 % dei microbirrifici laziali ha dichiarato di importare da paesi dell'Europa, dagli Stati Uniti o dalla Nuova Zelanda il luppolo, le cui caratteristiche variano significativamente a seconda delle varietà e ciò si traduce in una elevata variabilità del prezzo, oscillante in media tra gli 8 ed i 40 euro/kg nel caso di luppolo in pellet, fino a toccare anche gli 80 euro/kg per varietà particolari neozelandesi. Tuttavia, accanto a questa quota elevata di prodotto importato, il 16 % dei produttori utilizzano luppolo di provenienza italiana, acquistato da due aziende costituite da giovani imprenditori agricoli, una a Nord e l'altra nel Lazio: un chiaro segnale di potenzialità di sviluppo per la filiera brassicola italiana.

Un'altra sfida da raccogliere per la filiera è rappresentata dalla gestione degli scarti di produzione della birra, che rappresentano più del 90 % delle materie prime utilizzate, attraverso l'applicazione di un modello di economia circolare con soluzioni già sperimentate dalla ricerca e pronte per essere trasferite alle imprese della filiera. Tra questi ricordiamo ad esempio le trebbie, attualmente conferite ad aziende zootecniche senza che i birrifici ne traggano profitto, destinate ad alimentazione animale, mentre potrebbero essere utilizzate a scopi più redditizi, quali la formulazione di novel foods o di pellets per usi energetici. Anche le acque di lavaggio, che attualmente vengono per lo più scaricate in fogna o ritirate a pagamento da aziende specializzate, possono essere recuperate con un notevole risparmio sui costi di produzione. Si ricorda che per ogni litro di birra prodotto sono necessari in media 4/5 litri di acqua. Si tratta quindi di adottare soluzioni innovative in grado di aumentare la competitività economica dei microbirrifici e la loro sostenibilità ambientale attraverso la realizzazione di una piena integrazione tra mondo della ricerca e mondo produttivo.

A tal proposito, il 26 ottobre si svolgerà a Roma un evento dal titolo "Criticità e opportunità per lo sviluppo sostenibile della filiera brassicola", organizzato nell'ambito dell'attività pilota "Birraverde", che vedrà coinvolti i diversi stakeholders della filiera e al quale parteciperanno esponenti della governance regionale e nazionale per cercare di accendere un dibattito costruttivo sul futuro della birra artigianale italiana.

 
 
 

Tiziana Amoriello, CREA NUT - RRN
Mauro Pagano CREA ING - RRN
Katya Carbone CREA FRU - RRN

 
 

PianetaPSR numero 56 - ottobre 2016