PianetaPSR
Biologico

PSR, le relazioni tra agricoltura biologica, produzione integrata e agricoltura conservativa nella programmazione 2014-2020

Un documento del CREA-PB analizza le strategie a favore dell'agricoltura biologica formulate nei PSR e le confronta con le caratteristiche del sostegno alla produzione integrata e all'agricoltura conservativa. La ricerca evidenzia alcune incongruenze nel sistema dei pagamenti che devono essere affrontate e risolte per assicurare un sostegno coerente con il livello di complessità e la sostenibilità ambientale dei metodi e delle tecniche di produzione adottate in azienda.

Introduzione

Con il documento "L'agricoltura biologica nella programmazione 2014-2020", elaborato dal CREA-PB nell'ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale 2014-2020, si è fornito un quadro aggiornato al 31 dicembre 2017 delle strategie a favore dell'agricoltura biologica formulate nei PSR delle Regioni e Province Autonome italiane. Rispetto alla prima versione del documento, "L'agricoltura biologica nei PSR 2014-2020", sono state analizzate anche le caratteristiche del sostegno alla produzione integrata e all'agricoltura conservativa accordato in quasi tutti i PSR, per poi effettuare dei confronti sistematici tra le relative operazioni della Misura Pagamenti agro-climatici-ambientali (ACA, Misura 10 o M10) e la Misura Agricoltura biologica (Misura 11 o M11). L'obiettivo, infatti, è rilevare eventuali incoerenze tra le stesse, che si traducono in livelli di pagamento più elevati nel caso delle prime rispetto a quelli disposti per l'adozione del metodo di produzione biologico. Ciò è possibile quando, per le medesime colture, si consente sia di stabilire tout court livelli di pagamento non inferiori a quelli previsti per l'agricoltura biologica sia la cumulabilità tra il pagamento previsto per la produzione integrata o l'agricoltura conservativa e alcuni impegni aggiuntivi volontari - contemplati nell'ambito delle rispettive operazioni o in altre sottomisure/operazioni della M10.1 - che, tuttavia, non sono remunerati agli agricoltori biologici. La giustificazione spesso addotta è che tale pratiche e tecniche agronomiche, pur quasi mai obbligatorie, sono consigliate a chi pratica l'agricoltura biologica, anche se la logica vorrebbe che lo fossero a tutti gli agricoltori, vista la necessità di garantire ovunque una maggiore fertilità dei suoli e, più in generale, una maggiore sostenibilità ambientale dei processi produttivi agricoli e zootecnici. Pur trattandosi in tutti i casi di metodi di produzione (agricoltura biologica e produzione integrata) e tecniche agronomiche (agricoltura conservativa) volti a ridurre gli effetti negativi dell'attività agricola sull'ambiente e per questo sostenuti in termini economici tramite le misure agroambientali, dai risultati di numerosi studi realizzati nel corso del tempo emerge la maggiore sostenibilità ambientale dell'agricoltura biologica e biodinamica (in primis, in termini di contenuto di sostanza organica e carbonio organico nel suolo, biodiversità, perdite di nitrati e fosforo per dilavamento, emissioni di gas a effetto serra ; Mondelaers et al., 2009; Tuomisto et al., 2012), per cui mal si giustificano pagamenti più elevati a favore della produzione integrata e dell'agricoltura conservativa rispetto a quelli stabiliti per l'agricoltura biologica. La soluzione, pertanto, dovrebbe essere quella di remunerare gli stessi impegni aggiuntivi facoltativi previsti per la produzione integrata e l'agricoltura conservativa anche agli agricoltori che praticano l'agricoltura biologica. Tuttavia, nel caso in cui tali impegni siano già remunerati agli agricoltori biologici (ad esempio, fertilizzazione organica), i pagamenti cumulati previsti per la produzione integrata e l'agricoltura conservativa non dovrebbero essere superiori a quelli stabiliti per l'agricoltura biologica. Si dovrebbe infatti evitare il paradosso secondo cui metodi e tecniche meno sostenibili dal punto di vista ambientale siano sostenuti maggiormente in termini economici di quelli a minore impatto, anche se ciò potrebbe essere il risultato della compensazione dei maggiori costi e del minore guadagno in base a cui il livello dei pagamenti viene determinato. In questo modo si eviterebbero discriminazioni tra i diversi agricoltori e, di conseguenza, la possibile manifestazione di effetti spiazzamento a discapito dell'agricoltura biologica e, quindi, dell'ambiente. Si favorirebbe, inoltre, una maggiore diffusione dell'approccio agroecologico - a cui diversi impegni volontari remunerati afferiscono - anche tra gli stessi agricoltori biologici, in particolare quelli che praticano un'agricoltura biologica per sostituzione, in tutto simile a quella convenzionale se non per i nutrienti tecnici (fertilizzanti e prodotti fitosanitari) di origine naturale al posto degli input chimici di sintesi.
Nei due paragrafi successivi, si affronteranno più in dettaglio il tema del sostegno alla produzione integrata e all'agricoltura conservativa e le loro relazioni con l'agricoltura biologica nell'ambito dei PSR 2014-2020.

La politica a sostegno delle difesa integrata volontaria a basso impatto ambientale nell'ambito dei PSR 2014-2020

La politica di sviluppo rurale è il principale strumento a supporto della componente volontaria della difesa fitosanitaria a basso impatto ambientale, finalizzata a diminuire la dipendenza dall'utilizzo di prodotti fitosanitari attraverso lo sviluppo e la promozione di metodi di produzione agricola che ne riducono sensibilmente l'utilizzo. Secondo quanto previsto dal PAN sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari  (da ora: PAN), entrato in vigore il I gennaio 2014, ciò si attua attraverso la promozione dell'agricoltura biologica e della difesa integrata volontaria. Quest'ultima, in particolare, consiste nell'adozione dei disciplinari regionali di produzione integrata (DRPI) - definiti secondo quanto previsto dal Sistema di qualità nazionale di produzione integrata - e nella regolazione o taratura strumentale delle attrezzature per la distribuzione dei prodotti fitosanitari presso i centri prova autorizzati . Nello specifico, i disciplinari regionali forniscono indicazioni puntuali circa i criteri di intervento, le soluzioni agronomiche e le strategie di difesa delle colture e di controllo delle infestanti. Si tratta di disposizioni che integrano gli obblighi derivanti dai "Principi generali relativi alla difesa e al controllo delle infestanti" del PAN.
Analogamente all'agricoltura biologica, anche la difesa integrata volontaria, quale metodo di agricoltura sostenibile, concorre agli obiettivi della Priorità 4, sebbene con una differente capacità di contribuire alla salvaguardia della biodiversità e alla migliore gestione di suolo e acqua. La produzione integrata, infatti, prevista in 16 PSR, garantisce la limitazione, entro livelli giustificabili in termini ecologici (soluzioni meno dannose possibili per l'uomo, gli animali e l'ambiente) ed economici (quantità ridotte e impiego preciso), dell'uso dei pesticidi preferibilmente, ma non necessariamente, di natura organica. Per questa ragione, tale metodo e l'agricoltura biologica sono sempre alternativi tra loro sulla stessa superficie. Per la difesa integrata così come per l'agricoltura conservativa, tuttavia, non è possibile stabilire le risorse finanziarie del PSR a queste destinate, in quanto entrambe sono sostenute tramite specifiche operazioni della M10 e non una misura/sottomisura appositamente designata come nel caso dell'agricoltura biologica.
Contrariamente a quanto accade nel caso dell'agricoltura biologica, inoltre, la concessione del sostegno solo raramente viene subordinata all'adesione al Sistema di Controllo di Qualità Nazionale di Produzione Integrata (SQNPI) già al momento della presentazione della domanda o durante il periodo di impegno. Il ricorso alla certificazione, infatti, consente di attivare un sistema di controllo sulla corretta adozione del metodo, a garanzia sia dell'efficacia ambientale del sostegno sia degli stessi produttori e dei consumatori.
Le Regioni hanno selezionato le colture verso le quali indirizzare il sostegno in modo abbastanza differenziato, cercando di definire una strategia di intervento mirata a quelle maggiormente diffuse a livello regionale e per le quali, in agricoltura convenzionale, è previsto il maggior ricorso a metodi di difesa e diserbo basati sull'utilizzo di sostanze chimiche di sintesi. Non mancano tra queste: ortive, frutticole, vite (ad eccezione del PSR Puglia), olivo, in quasi tutti i PSR regionali, agrumi, solo in alcuni, e seminativi (tranne che nei PSR di Valle d'Aosta e Puglia).
Trattandosi di un metodo di agricoltura sostenibile, il sostegno generalmente è stato indirizzato prioritariamente verso le aree dove gli impatti dell'agricoltura convenzionale sono fortemente negativi (Zone Vulnerabili ai Nitrati, sette PSR) oppure verso quelle sensibili dal punto di vista ambientale (Aree Natura 2000, sei PSR; Aree naturali protette, cinque PSR; aree individuate come sensibili nei Piani di gestione dei bacini idrografici, quattro PSR; superfici localizzate nelle aree ad agricoltura intensiva e specializzata, 2 PSR).
Coloro che adottano il metodo di produzione integrata possono beneficiare di un pagamento differenziato per coltura ma non tra introduzione e mantenimento, come accade per l'agricoltura biologica.
L'elemento centrale nella determinazione dei pagamenti è dato dall'insieme degli impegni obbligatori previsti dai DRPI e da eventuali ulteriori impegni stabiliti dalle Regioni, anch'essi obbligatori, dai quali discendono maggiori o minori costi e un mancato guadagno e, quindi, della scelta operata da ciascuna Regione di prevederne una compensazione mediante il pagamento. Ciò non di meno, non tutti i costi aggiuntivi e i mancati guadagni derivanti dagli impegni obbligatori vengono remunerati nell'ambito del pagamento. Come motivato nella giustificazione dei pagamenti, non sono presi in considerazione nel calcolo del pagamento gli impegni per la gestione del suolo, la scelta varietale e il materiale di moltiplicazione, in quanto risultano estremamente variabili in contesti differenti. In tutti i PSR, tranne che in quello del Friuli-Venezia Giulia, l'avvicendamento colturale, di cui si stabilisce l'obbligatorietà, non viene fatto rientrare nel calcolo del pagamento per ragioni legate alla complementarità e coerenza con gli impegni pagati nell'ambito del I Pilastro e, quindi, a garanzia del rischio di doppio finanziamento rispetto agli impegni della baseline. Più frequentemente e sempre con orientamenti differenti da Regione a Regione, sono compensati i maggiori costi derivanti dagli impegni per la corretta gestione della risorsa idrica e per l'attività di fertilizzazione, prendendo a riferimento componenti di costo differenti. Il pagamento assicura sempre, invece, la compensazione dei maggiori costi e del minore guadagno derivanti dall'applicazione degli impegni obbligatori previsti dal DRPI relativamente alla difesa fitosanitaria e al controllo delle infestanti. Tuttavia, anche in questo caso, le macro-voci economiche scelte dalle Regioni nell'ambito del set obbligatorio di impegni di difesa e controllo sono differenti. Tutto ciò concorre a motivare la disomogeneità nell'entità del sostegno base previsto dalle Regioni per l'adozione dei DRPI in corrispondenza delle stesse colture.

Insieme agli impegni obbligatori, alcune Regioni hanno previsto la possibilità di fare ricorso a tecniche di difesa volontaria avanzata, che si configurano come impegni aggiuntivi facoltativi, ovvero che vanno oltre gli impegni base previsti dal DRPI , per i quali è previsto un ulteriore pagamento, cumulato a quello base. Questi impegni riguardano: il miglioramento della gestione degli input idrici per le colture irrigue; l'adozione di tecniche di difesa integrata e di difesa integrata avanzata; l'attuazione di azioni agronomico-diserbo avanzate; l'impiego di tecniche di copertura del suolo anche con colture biocida destinate al sovescio; la manutenzione di nidi artificiali; la trinciatura e lo spargimento dei residui colturali in loco; l'uso di preparati biologici; il rispetto di condizioni più restrittive per la fertilizzazione.
In virtù del maggior rigore e delle limitazioni più stringenti poste dal regolamento sull'agricoltura biologica rispetto a quanto previsto dalla normativa di riferimento della produzione integrata, l'entità del sostegno si presenta normalmente maggiore per l'agricoltura biologica rispetto a quella della produzione integrata, anche in presenza di impegni aggiuntivi, assicurando così una coerenza interna al PSR tra interventi ACA e M11. Inoltre, in alcuni PSR si prevede la possibilità, anche nel caso della produzione biologica, di cumulare sulla stessa superficie gli impegni relativi ad altre operazioni ACA della sottomisura 10.1. Sebbene le Regioni abbiano operato scelte diverse, nel complesso emerge che gli impegni derivanti dall'adozione dell'agricoltura biologica risultano cumulabili con quelli di diverse operazioni ACA più frequentemente che nel caso della produzione integrata.

In generale, l'analisi dei singoli PSR 2014-2020 dà conferma di livelli di pagamenti maggiori per l'agricoltura biologica rispetto a livelli fissati per la produzione integrata in corrispondenza delle stesse colture. Tuttavia, il contrario si verifica limitatamente a specifiche colture per le quali alcune Regioni (Lombardia, Emilia-Romagna, Puglia, Sicilia e Sardegna ) hanno previsto impegni aggiuntivi facoltativi da associare al metodo di produzione integrata e non anche all'agricoltura biologica, benché tali impegni non siano previsti dai regolamenti che la disciplinano.

L'agricoltura conservativa nei PSR 2014-2020

Un'altra operazione di cui si valuta la coerenza nel senso sopra richiamato è l'agricoltura conservativa, sostenuta in 15 PSR, quale insieme di tecniche colturali che contribuiscono a preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all'agricoltura nonché a incentivare l'uso efficiente delle risorse e lo sviluppo di un'economia a bassa emissione di carbonio. Questa può rappresentare, a seconda delle scelte operate dalle singole Regioni relativamente alla cumulabilità degli impegni sulla stessa superficie, un'operazione complementare o alternativa al metodo biologico.
I maggiori benefici legati all'adozione dell'agricoltura conservativa sono da ricondurre principalmente alla mitigazione dei fenomeni di erosione del suolo per effetto di pratiche colturali, alternative ai metodi di coltivazione convenzionale, basate sul principio del minimo disturbo del suolo - non lavorazione (no tillage - NT), semina su sodo (sod seeding), lavorazione a bande (strip tillage) o della lavorazione superficiale (minimum tillage - MT).
A queste vengono spesso associate specifiche pratiche agronomiche, come la copertura continua e significativa del terreno con finalità agroambientali e l'avvicendamento delle colture. Tuttavia, nella maggior parte dei PSR, il ricorso a questa pratica non esclude, soprattutto nella fase iniziale,  l'utilizzo di prodotti chimici di sintesi per il controllo delle erbe infestanti, per cui i benefici ambientali cominciano a manifestarsi non prima di 5-7 anni (Legambiente, 2015). Per tale motivo alcune Regioni, anche nel caso dell'introduzione, hanno stabilito una durata degli impegni per l'agricoltura conservativa superiore a cinque anni, ovvero pari a sei (Lombardia, Emilia-Romagna e Sardegna) o sette anni (Calabria e Sicilia), così da evitare che l'impegno possa terminare prima che si manifestino gli effetti positivi delle specifiche tecniche adottate.
Undici PSR hanno previsto il ricorso a "colture di copertura" tra una semina e la successiva, talvolta anche per le colture arboree specializzate o solo per queste. L'adozione della cover crop può costituire parte integrante dell'impegno base, pertanto obbligatoria e remunerata nell'ambito del pagamento base (Toscana, Abruzzo, Molise, Calabria, Sicilia) o, seppur prevista come impegno base, in alcuni casi non è riconosciuta mediante la sua inclusione tra i maggiori costi (Veneto, Friuli-Venezia Giulia). Alcune Regioni, infine, considerano la cover crop un impegno facoltativo, per cui prevedono, per il beneficiario che dovesse aderirvi, il riconoscimento di un pagamento aggiuntivo da cumulare al pagamento base (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Basilicata). L'impegno di "rotazione e associazione colturale diversificata", qualora previsto per i seminativi, assume sempre carattere di obbligatorietà, anche se i maggiori costi derivanti da tale impegno non sono remunerati  in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Puglia, Basilicata, mentre lo sono in Molise, Sicilia, Sardegna, prevedendone la compensazione nell'ambito del pagamento base.
Meno frequentemente viene previsto come impegno aggiuntivo facoltativo remunerato l'"apporto di matrici organiche in sostituzione di concimazioni minerali".
Qualora le Regioni abbiano escluso la possibilità di cumulare, sulla stessa superficie aziendale di riferimento per la M11, gli impegni previsti per l'agricoltura conservativa (Bolzano, Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Puglia, Sardegna), l'agricoltore potrebbe valutare se adottare un impegno o l'altro in base alla sua complessità e all'entità del pagamento a superficie riconosciuto. L'agricoltura conservativa, pertanto, come nel caso della produzione integrata, potrebbe anche presentarsi in modo concorrenziale rispetto alla M11.
Di effetto spiazzamento vero e proprio a danno dell'agricoltura biologica si potrebbe infatti parlare quando i livelli di pagamento previsti da alcune Regioni per l'impegno di minimum tillage (Friuli-Venezia Giulia) oppure di semina su sodo (Lazio, Abruzzo, Campania, Basilicata) risultano non inferiori al pagamento previsto per l'agricoltura biologica. Similmente, ciò potrebbe verificarsi in Calabria nel caso della lavorazione a banda (strip tillage) in presenza di foraggere e del no tillage su seminativi, analogamente a quanto previsto da Veneto e Friuli-Venezia Giulia con riferimento a questi ultimi, e in Abruzzo riguardo all'impegno di semina su sodo cumulato con l'introduzione di colture di copertura.
Si tratta di situazioni che appaiono poco coerenti perché non giustificabili da un punto di vista ambientale e in termini di impegno richiesto in agricoltura biologica rispetto a quello previsto per l'impiego di tecniche di agricoltura conservativa e che si ripropongono, nel caso dei seminativi, quando l'agricoltura conservativa, diversamente dalla Misura Agricoltura biologica, può cumularsi con altre operazioni della M10.1. In alcuni casi, le operazioni cumulabili con l'agricoltura conservativa lo sono, almeno in parte, anche con la M11 (Lombardia, Toscana, Campania), mentre in altri ciò non avviene, in quanto gli impegni che si dovrebbero aggiungere sono consigliati qualora si adotti il metodo di produzione biologico (Abruzzo) ma non obbligatori.

Conclusioni

Dall'analisi delle operazioni della Misura 10 riguardanti la produzione integrata e l'agricoltura conservativa, emerge come queste siano diverse da un PSR all'altro per condizioni di ammissibilità, livelli di pagamenti, impegni base e facoltativi e cumulabilità con gli altri interventi ACA, analogamente a quanto si verifica per l'agricoltura biologica. L'esame dettagliato dei pagamenti previsti per l'adozione della produzione integrata e delle tecniche di agricoltura conservativa, relativamente sia agli impegni base sia agli impegni facoltativi, evidenzia, inoltre, una difformità anche nella tipologia di costi e del mancato guadagno che concorrono alla determinazione del sostegno. Fermo restando l'opportunità che tali elementi siano determinati in funzione degli effettivi contesti e strategie, si ravvisa comunque la necessità, da un lato, di assicurare una maggiore uniformità al sostegno a livello nazionale, almeno per alcuni aspetti e, dall'altro, di evitare possibili effetti spiazzamento da parte di interventi agro-climatico-ambientali meno impegnativi e vincolanti, definiti in alcuni PSR, a scapito dell'agricoltura biologica. Oltre che per la maggiore complessità di quest'ultima, ciò dovrebbe essere precluso anche in ragione della sua più elevata sostenibilità dal punto di vista ambientale.
Nella elaborazione degli interventi di natura agroambientale, pertanto, si dovrebbe evitare di creare le condizioni perché le aziende agricole, in virtù della sovrapposizione di interventi diversi sulla stessa superficie, non propendano verso soluzioni meno vincolanti e impegnative e al contempo più remunerative, rischio che, in effetti, si configura con riguardo alla produzione integrata e all'agricoltura conservativa, da un lato, e all'agricoltura biologica, dall'altro.
Purtroppo l'attuale metodo per la determinazione del livello dei pagamenti utilizzato a livello comunitario, basato sulla compensazione dei maggiori costi e del minore guadagno di un impegno agroambientale rispetto alla baseline, può portare anche al paradosso di stabilire pagamenti più elevati per la produzione integrata e l'agricoltura conservativa rispetto a quelli relativi all'agricoltura biologica. Dall'analisi dei dati RICA, ad esempio, da diversi anni risulta una più elevata redditività delle aziende biologiche rispetto a quella delle aziende convenzionali (De Leo, 2011, 2012, 2013; De Leo, Trione, Sturla, 2015; Trione, Sturla, 2017;), il che giustificherebbe il verificarsi di tali situazioni paradossali, che si riscontrano ancora con riferimento all'agricoltura conservativa, mentre la Commissione europea non le ha più consentite già dalla passata fase di programmazione nel caso della produzione integrata.
In attesa che si riesca ad adottare un metodo per la determinazione del livello dei pagamenti basato sui risultati ambientali e non sulla compensazione dei maggiori costi e del minore guadagno anche nel caso di specifici metodi e tecniche di produzione agricola sostenibili - analogamente a quanto si sta già sperimentando con riguardo a interventi agroambientali diretti a preservare la biodiversità - le misure agroambientali dovrebbero essere formulate in modo da assicurare la coerenza interna della strategia agroambientale complessiva. Il criterio cardine da seguire dovrebbe fare perno sul livello di sostenibilità ambientale soprattutto con riguardo alla capacità dei singoli impegni di contribuire al mantenimento della fertilità del suolo, al contenimento dell'inquinamento delle risorse idriche e alla mitigazione dei cambiamenti climatici, tenendo conto della complessità e dei vincoli a cui gli stessi sono soggetti. Nel caso della produzione integrata, inoltre, sarebbe opportuno che l'adesione al relativo sistema di qualità nazionale costituisca una condizione di ammissibilità per accedere alla relativa operazione, così da garantire un maggior controllo circa l'effettivo rispetto dei disciplinari di produzione integrata regionali. Nel caso specifico dell'agricoltura conservativa, infine, si dovrebbe evitare di stabilire livelli di pagamento non inferiori a quelli definiti per l'agricoltura biologica in relazione alle stesse colture, come previsto in alcuni PSR. Analogamente a quanto si verifica per la produzione integrata, si dovrebbero definire, inoltre, delle linee guida nazionali per garantire una maggiore uniformità delle schede tecniche adottate per il sostegno all'agricoltura conservativa nell'ambito dei singoli PSR.

 

[1] Tuttavia, le perdite di nitrati e fosforo e le emissioni di GHG, se sono inferiori in agricola biologica rispetto a quella convenzionale per unità di superficie, nei paesi sviluppati sono superiori per unità di prodotto a causa della minore efficienza nell'uso del suolo (Mondelaers et al., 2009).
[2] Approvato con D. Lgs n. 150/2012, recepisce la Direttiva 128/2009/CE.
[3] La regolazione o taratura strumentale di cui al punto A.3.7 del Piano è un adempimento che sostituisce quello obbligatorio di regolazione o taratura e manutenzione periodica delle attrezzature (punto A.3.6 del Piano), che deve essere autonomamente eseguita dagli utilizzatori professionali (agricoli ed extra-agricoli, compresi i contoterzisti in entrambi i casi) sulla base delle conoscenze acquisite con l'addestramento (formazione) obbligatorio.
[4] I DRPI, infatti, prevedono, da un lato, gli impegni base, obbligatori, e, dall'altro, gli impegni di difesa integrata avanzata, volontari.
[5] Visto che la produzione integrata, in generale, non prevede un periodo di conversione, il confronto tra i pagamenti erogati per la produzione integrata e la produzione con metodo biologico riguarda prevalentemente i livelli di pagamento per il mantenimento delle colture biologiche, più bassi che in conversione.
[6] Per contrastare le malerbe o ai fini dell'essiccazione delle colture di copertura introdotte in sostituzione delle tecniche di lavorazione convenzionali, infatti, inizialmente il ricorso all'utilizzo di prodotti chimici di sintesi può anche intensificarsi.

 

Riferimenti bibliografici
De Leo (2011), La situazione economica delle aziende, BioReport 2011, Rete Rurale Nazionale 2007-2013, Roma, pp. 19-24.
De Leo (2012), La situazione economica delle aziende, BioReport 2012, Rete Rurale Nazionale 2007-2013, Roma, pp. 15-20.
De Leo (2013), La situazione economica delle aziende, BioReport 2013, Rete Rurale Nazionale 2007-2013, Roma, pp. 27-34.
De Leo S., Trione S., Sturla A. (2015), La situazione economica delle aziende, BioReport 2015, Rete Rurale Nazionale 2007-2013, Roma, pp. 19-28.
Legambiente (2015), Agricoltura conservativa, Dossier, Progetto Life Help Soil, http://www.lifehelpsoil.eu/wp-content/uploads/downloads/2016/05/Legambiente-DossierAgricolturaConservativa-anno2015.pdf.
Mondelaers K., Aertsens J., Van Huylenbroeck G. (2009), A meta-analysis of the differences in environmental impacts between organic and conventional farming, British Food Journal, vol. 111, n. 10, pp. 1098-1119, https://doi.org/10.1108/00070700910992925.
Trione S., Sturla A. (2017), La situazione economica delle aziende, BioReport 2016, Rete Rurale Nazionale 2014-2020, Roma, pp. 19-27.
Tuomisto H.L., Hodge I.D., Riordan P., Macdonald D.W. (2012), Does Organic Farming Reduce Environmental Impacts? A Meta-Analysis of European Research, Journal of environmental Management, vol. 112, pp. 309-20, doi: 10.1016/j.jenvman.2012.08.018.

 
 

Alessandra Vaccaro e Laura Viganò (CREA-PB)

 
 

PianetaPSR numero 69  marzo 2018