Home > Mondo agricolo > Previsioni vendemmia 2019: Italia si conferma leader mondiale dei produttori
Vino

Previsioni vendemmia 2019: Italia si conferma leader mondiale dei produttori

Nonostante la rilevante flessione (16%) rispetto all'annata record del 2018 il nostro Paese con una stima di 46 mln di ettolitri si conferma il maggior produttore al mondo. Buona la qualità delle uve e le prime contrattazioni mostrano una ripresa dei listini dopo il calo dello scorso anno. 

È tempo di previsioni di vendemmia e questa del 2019 ha segnato la nascita di una nuova collaborazione "presentata" il 4 settembre scorso in occasione della conferenza stampa sulle previsioni di produzione vino. Per la prima volta, infatti, il 4 settembre scorso, ISMEA e Unione Italiana Vini e Assoenologi hanno unito le rispettive forze e competenze con l'obiettivo di fornire un quadro ancor più completo e dettagliato relativamente alle Previsioni Vendemmiali, per offrire alle imprese italiane e alle amministrazioni dati fondamentali nel definire politiche e azioni da mettere in campo. 
Le Previsioni Vendemmiali sono l'appuntamento fisso con il quale ogni anno viene delineato lo stato dei vigneti a livello nazionale e vengono presentate le previsioni relative alla produzione e alle tendenze del settore vino per la campagna in corso. L'indagine è stata messa a punto armonizzando la metodologia, consolidata nel tempo da ISMEA/Uiv da una parte e da Assoenologi dall'altra, e che si basa sulla messa a sistema di una fitta rete territoriale di osservatori privilegiati del settore, la valutazione comparata delle indicazioni sia quantitative che qualitative e la successiva elaborazione statistica rispetto alle serie storiche ufficiali degli anni precedenti.

Italia ancora leader mondiale

Le elaborazioni effettuate a fine agosto stimano la produzione nazionale di vino 2019 a 46 milioni di ettolitri, con una riduzione del 16% rispetto all'annata record del 2018 quando erano stati sfiorati i 55 milioni di ettolitri, così come diffuso da Agea, sulla base delle dichiarazioni di produzione.

 

Nonostante una vendemmia meno generosa, peraltro né inattesa né tantomeno vissuta come un problema dagli operatori, sembra salva anche per il 2019 la leadership mondiale, che stando alle previsioni, sembrerebbe essere confermata anche per il 2019 perché né la Francia (43,4 milioni di ettolitri- stima al 27 agosto Ministero agricoltura francese), né la Spagna (forse 40 milioni di ettolitri) sono in grado di superarla. E se in Europa va male nel resto del mando non va o non è andata bene.  La panoramica della situazione internazionale evidenzia infatti un calo generalizzato per tutti i principali player mondiali. Nella Ue solo per i primi cinque produttori si stima una perdita di 26 milioni di ettolitri rispetto all'anno precedente, mentre nell'emisfero Sud, a conti ormai fatti, la vendemmia ha mostrato tutti segni negativi ad eccezione di quella argentina, mentre anche negli Stati Uniti si prevede una lieve battuta d'arresto.

Il clima condiziona la produzione nazionale

Per l'Italia il dato stimato, come di consueto, risulta da una media tra un'ipotesi minima di 45 milioni di ettolitri e una massima di oltre 47 milioni che comunque risulterebbe inferiore alla media degli ultimi 5 anni. Da sottolineare che la vendemmia 2019 sembrerebbe risultare inferiore alla precedente in tutte le regioni italiane ad eccezione delle Toscana. Le perdite maggiori si contano sulle uve precoci, mentre per quelle più tardive si confidava nelle piogge provvidenziali arrivate agli inizi di settembre ma che in alcune aree hanno creato anche problemi di non poco conto.

 

Il calo produttivo è da imputare essenzialmente alle condizioni climatiche di gran lunga meno favorevoli rispetto a quelle che avevano portato all'abbondante vendemmia 2018.
Le anomalie sono iniziate con un inverno con temperature leggermente superiori rispetto alla norma e precipitazioni inferiori alla media. È continuata così anche per i mesi di marzo e aprile, mentre maggio ha registrato una decisa inversione di tendenza con abbassamento delle temperature accompagnato da abbondanti precipitazioni che hanno causato un ritardo della fioritura e un rallentamento del ciclo vegetativo della vite. Da quel momento in poi ogni fase fenologica della vite ha sofferto a causa di un clima non particolarmente adeguato. Dopo una fioritura problematica, infatti, si è assistito a un'allegagione caratterizzata da colatura con sensibili perdite produttive. I mesi di giugno e di luglio hanno invece fatto registrare scarse precipitazioni che hanno obbligato, in alcuni areali, ad interventi di irrigazione di soccorso, in particolare su impianti giovani. Laddove le piogge ci sono state, inoltre, sono state accompagnate da formazioni temporalesche e da grandinate particolarmente dannose. 
Nel periodo seguente e per quasi tutto il mese di agosto le temperature si sono mantenute alte, così come l'umidità, favorendo un rigoglioso sviluppo della vegetazione della vite, che ha costretto i viticoltori a massicci interventi di potatura verde.
Alla fine del mese di agosto, lo stato sanitario delle uve si presenta generalmente buono; le piogge estive hanno favorito un buon accrescimento dei grappoli e, fortunatamente, sono stati rari i problemi da attacchi di peronospora e oidio che sono stati circoscritti e ben antagonizzati da opportuni trattamenti, risultati comunque superiori rispetto allo scorso anno.

La qualità delle uve

Questo ha permesso, comunque, di ottenere una qualità delle uve generalmente buona su tutto il territorio nazionale grazie anche ai trattamenti tempestivi, inoltre le buone escursioni termiche tra il giorno e la notte hanno favorito una lenta ma graduale maturazione delle uve e un ottimale sviluppo degli aromi. I primi riscontri analitici, peraltro, hanno evidenziato delle gradazioni medie nella norma, un buon rapporto zuccheri/acidità e per le prime uve vendemmiate un buon quadro aromatico. 
Tutte le vicissitudini climatiche e metereologiche hanno portato un ritardo della maturazione di circa 10/15 giorni rispetto alla passata campagna, così da far rientrare in un calendario normale l'epoca di vendemmia, dopo gli innumerevoli anticipi registrati negli ultimi anni. Ne è dimostrazione il fatto nei primi giorni di settembre si è stimato l'arrivo in cantina di poco più del 15% delle uve, mentre solo due anni fa si parlava già di oltre il 40%. Anche quest'anno, ad aprire la vendemmia è stata la Sicilia nella prima settimana di agosto, seguita, a cavallo di Ferragosto, dalla Puglia e poi dalla Lombardia (Franciacorta) nella seconda decade di agosto. Tra la fine di agosto e la prima settimana di settembre, nella maggior parte delle regioni italiane, si sono svolte le operazioni di raccolta per le varietà precoci (Chardonnay, Pinot, Sauvignon).

Il mercato

Certo è che il primato produttivo mondiale da solo non basta a tranquillizzare gli operatori della filiera. Non si può, infatti, parlare di produzione, se non si amplia l'analisi all'aspetto mercato. La campagna 2018/2019 che ha registrato una produzione più che abbondante, si è chiusa con cali considerevoli dei listini soprattutto dei vini comuni, -27% maturato da un -34% nel segmento dei bianchi e da un -21% nei rossi. Per i vini a denominazione (Doc-Docg) la riduzione si è limitata al -6%, a dimostrazione che i vini di qualità hanno mercati in qualche modo più consolidati e meno esposti alla concorrenza dei prodotti dei paesi competitor.
Le prime contrattazioni della nuova campagna mostrano qualche segnale di ripresa dei listini, ma con una vendemmia così in ritardo è ancora presto per fare analisi. Quello su cui, invece, si possono fare delle riflessioni, è l'aspetto della domanda partendo da quella estera che rappresenta circa la metà del fatturato complessivo per il vino italiano. L'export è uno sbocco di mercato fondamentale per lo sviluppo del settore vista la situazione interna che, dopo anni di flessioni, si sta ora assestando sui 22,5 milioni di ettolitri e che potrebbe aumentare per il 2019 fino a superare i 23 milioni, comunque meno della metà della produzione. 
Intanto i primi 6 mesi del 2019 hanno segnato una decisa progressione delle esportazioni italiane a volume attestate a 10,2 milioni di hl (+9% sullo stesso periodo dell'anno precedente) a fronte di una meno che proporzionale progressione del valore che ha raggiunto i 3 miliardi di euro (+3%). Se i dati dei mesi successivi dovessero confermare questo trend a fine anno si potrebbero sfiorare i 22 milioni di ettolitri per un introito che, finalmente, potrebbe arrivare al traguardo dei i 6,5 miliardi anche se ad un ritmo che si sta mostrando più lento rispetto alle attese di qualche anno fa, con i prezzi medi in discesa sia per dinamiche legate ai listini dei vini sia per la quella correlata al diverso mix che compone il paniere delle esportazioni.  Ad avere avuto, infatti, l'incremento più importante sono stati i vini comuni che con 2,3 milioni di ettolitri, per lo più sfusi, hanno avuto una crescita del 19% a volume accompagnata però da una lieve flessione degli introiti conseguenza della decisa riduzione dei listini alla produzione che nell'ultima campagna, la 2018/2019, ha toccato il -27%. Il forte aumento delle esportazioni di vini sfusi da tavola, che hanno una naturale destinazione verso mercati comunitari e la Germania in particolar modo, ha contribuito a registrare una progressione più marcata verso i Paesi Ue (+13% in volume e +3,4% in valore), rispetto a quella verso i Paesi terzi (+4% e +2,8%).

La crescita di spumanti e Dop

Continua la crescita anche degli spumanti (+6% a volume e +5% a valore) ma ormai senza l'incremento a doppia cifra a cui eravamo abituati. Anche in questo caso bisogna considerare da una parte il Prosecco che continua a crescere di oltre il 20% sia a volume e del 17% a valore, mentre l'Asti, ad esempio, mostra delle difficoltà importanti a mantenere quote di mercato. 
In decisa progressione anche i vini Dop, soprattutto fermi, che compensano la riduzione registrata nel segmento delle Igp. Questo "trasferimento" è dovuto, almeno in larga parte, al consolidamento sul mercato del Pinot grigio Delle Venezie Dop. Le Igp, peraltro, hanno mostrato una decisa battuta d'arresto nei vini fermi in bottiglia (-12% a volume e -8% a valore) e negli sfusi (-19% a volume e -22% a valore), mentre hanno messo a segno una performance particolarmente positiva nei bag in box (+15% a volume e +14% a valore). Questa tipologia di confezione, peraltro, nei primi sei mesi del 2019 è cresciuta del 17% rispetto allo stesso periodo dell'anno prima mentre Per i frizzanti, invece, la domanda estera non è apparsa così dinamica come per altri segmenti.

 
 

Tiziana Sarnari
RRN/Ismea

 
 

PianetaPSR numero 83 settembre 2019