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Agricoltura blu

Così la semina su sodo evita l'erosione del suolo

La Fao stima che nel mondo il no-till interessa oltre 100 milioni di ettari: una tecnica che abbassa i costi e fa bene all'ambiente. E anche sulle rese i risultati sono accettabili
La semina diretta
 
La semina diretta è una tecnica di coltivazione che non richiede alcun tipo di lavorazione preliminare del terreno. Si esegue con apposite seminatrici che sono in grado di seminare direttamente su terreni non lavorati occupati in superficie dai residui della coltura precedente o da mirate colture di copertura (cover crops). I principali vantaggi sono: riduzione dell'erosione del suolo, conservazione dell'acqua, aumento della biodiversità, sequestro del carbonio, riduzione del consumo di carburante. I principali svantaggi sono il costo delle seminatrici e le difficoltà della fase di transizione che è lunga e complicata. 

Per chi è indeciso tra biologico e convenzionale, si è aperta una terza possibilità. L'ultima tendenza è l'agricoltura no-till. L'espressione inglese, tradotta letteralmente, significa "senza aratura". Ma in Italia si preferisce parlare di semina su sodo, o semina diretta, e in alcuni programmi regionali per lo sviluppo rurale sono da poco comparse le espressioni "agricoltura conservativa" e "agricoltura blu". I primi sono stati Veneto e Lombardia, ma altre regioni potrebbero seguire l'esempio riconoscendo degli incentivi agli agricoltori che scelgono queste tecniche di coltivazione altamente produttive ma anche rispettose dell'integrità del suolo e a basso consumo energetico.
La babele linguistica riflette una molteplicità di sfumature. Il minimo comun denominatore è la riduzione, o addirittura l'azzeramento, degli interventi di preparazione del terreno prima della semina, con un duplice scopo: combattere l'erosione e tagliare le spese di produzione. A nomi differenti corrisponde un diverso grado di elasticità per quanto riguarda l'entità e la cadenza delle lavorazioni. Adottando una definizione restrittiva, Theodor Friedrich della Fao ha stimato in 105 milioni gli ettari no-till coltivati nel mondo, quasi tutti nel continente americano. In testa ci sono gli Stati Uniti, seguiti da Brasile, Argentina e Canada. Secondo questi dati, comunicati all'ultima conferenza dell'International Soil Tillage Research Organization (Istro), l'Europa si ferma poco al di sopra di un milione di ettari, di cui ben 650.000 in Spagna, 200.000 in Francia e altrettanti in Finlandia. E l'Italia? In questa classifica internazionale non ottiene menzioni, ma allargando la definizione le stime nazionali variano in modo drammatico. Si va dagli 800.000 ettari calcolati per l'agricoltura blu dall'Aigacos (Associazione italiana per la gestione agronomica e conservativa del suolo), ai 5.000 ettari stimati per la semina su sodo dall'Aipas (Associazione italiana produttori amici del suolo). In sostanza la "lavorazione minima" è abbastanza comune, mentre la diffusione delle pratiche rigorosamente no-till è marginale. Eppure anche gli agricoltori del nostro paese potrebbero guadagnarci riponendo l'aratro, almeno nelle regioni in cui più forti sono i fenomeni erosivi e minore è la piovosità. In una lunga sperimentazione sul grano condotta da Pasquale De Vita del Cra di Foggia, nelle annate bagnate la produttività è risultata appena superiore per la parte coltivata in modo convenzionale, mentre nelle annate siccitose il sistema no-till è riuscito quasi a raddoppiare il raccolto.

 

In generale si può affermare che la resa dei due sistemi è paragonabile, ma il no-till consente di risparmiare carburante e lavoro, saltando ben tre interventi (uno di aratura e due di affinamento) e facendo precedere la semina solo dall'applicazione degli erbicidi. Il ritardo europeo e italiano, dunque, probabilmente si spiega con la resistenza culturale alle innovazioni e con gli alti investimenti iniziali per le seminatrici.
I benefici ambientali di questa rivoluzione gentile, d'altro canto, sono consistenti. L'erosione viene ridotta al punto da tornare in equilibrio con la rigenerazione del suolo. Il ridotto consumo di carburante, combinato con il sequestro del carbonio legato alla mancata rimozione dei residui del raccolto precedente, rende l'agricoltura no-till una preziosa alleata nella lotta ai cambiamenti climatici. La copertura organica del terreno trattiene l'acqua e alimenta la biodiversità. Il contrappasso sta nello sforzo di apprendimento e negli adattamenti continui necessari nella fase di transizione, che è lunga e complicata soprattutto per alcune colture e per alcuni tipi di terreno.
L'aratro ha accompagnato i progressi dell'agricoltura negli ultimi 8.000 anni, consentendo di seppellire residui, concime e infestanti, oltre che di aerare e scaldare il terreno, in modo via via più efficiente dai primi semplici strumenti a trazione umana fino ai trattori. Ma l'idea di abbandonarlo non sarebbe mai diventata realtà se la ricerca non avesse prodotto diserbanti efficaci e a basso impatto ambientale, o se gli ingegneri non avessero ideato macchinari capaci di seminare su sodo. Il no-till dunque non assomiglia a un ritorno al passato. Piuttosto è una scommessa sul futuro, che prova a coniugare la forza dell'agricoltura moderna con la sapienza delle rotazioni colturali tipica dell'approccio biologico.
 
Anna Meldolesi

 
 
 
 

PianetaPSR numero 2 - settembre 2011