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Policy brief

PAC post 2020, come migliorare la posizione degli agricoltori nella catena del valore

La filiera italiana appare complessivamente più debole e frammentata rispetto ai partner UE e la parte agricola vede crescere il valore aggiunto meno che le altre componenti. Il ruolo di riequilibratori di OP, filiera corta e sistemi di certificazioni di qualità.

Nel novembre 2019, sono stati resi pubblici i policy brief frutto del lavoro di un tavolo tecnico organizzato dal MIPAAF e composto da esperti della Rete Rurale Nazionale e dell'AT al PSRN 2014-2020 Misura 17, al fine di supportare la redazione del futuro Piano Strategico Nazionale (PSN) della PAC post- 2020.

Nell'ambito dell'obiettivo generale della futura PAC sulla promozione di un settore agricolo intelligente, resiliente e diversificato, il terzo obiettivo specifico (OS3) consiste nel miglioramento della posizione degli agricoltori nella catena del valore.
L'analisi del contesto italiano in relazione all'obiettivo specifico in esame viene sviluppata  nel terzo dei policy brief, realizzato dagli esperti della RRN  nell'ambito del percorso di costruzione della Strategia nazionale e funzionale alla definizione della conseguente analisi SWOT (analisi dei punti di forza, debolezza, delle opportunità e delle minacce). 

Dopo la discussione della posizione dell'agricoltura nella filiera agroalimentare italiana, per rendere più completo il quadro dell'OS3, si è focalizzata l'attenzione sui dati di contesto disponibili riguardo alle principali linee di azione, suggeriti dai due indicatori di risultato della proposta di regolamento:

  • organizzazione della catena di approvvigionamento: gruppi di produttori, organizzazioni di produttori, mercati locali, filiere di approvvigionamento corte e regimi di qualità sovvenzionati; 
  • concentrazione dell'offerta: produzione commercializzata da organizzazioni di produttori con programmi operativi.

Il valore aggiunto agricolo nell'ambito della filiera

Il valore aggiunto della filiera agroalimentare italiana ha sfiorato 113 miliardi di euro nel 2016, generando il 7,5% del valore aggiunto lordo totale nazionale, segnalando la specializzazione agroalimentare del Paese, a fronte di un peso che scende al 6,9% nella media dell'UE. 

La filiera agroalimentare italiana si distingue per specifiche caratteristiche in tutte le sue fasi. La fase agricola italiana rispetto a quella europea ha una maggiore propensione verso produzioni ad alto valore aggiunto, come, ad esempio, ortofrutta e vino, con elevato utilizzo di manodopera e ad alta capitalizzazione. Più a valle, con specifico riferimento alla distribuzione finale, il confronto europeo ne mette a nudo alcuni limiti di dimensione ed efficienza con conseguente ridotta formazione di valore aggiunto. Il risultato di questo assetto determina che il primo anello della filiera, in Italia, ha un peso maggiore rispetto alla media UE (31% versus 23% nell'UE a 28), mentre a livello europeo è la distribuzione ad avere il peso maggiore con il 32% (28% in Italia). 

Tuttavia, il confronto del valore aggiunto creato nelle varie fasi della filiera italiana e rispetto alla media europea non fornisce indicazioni sull'equità della distribuzione del valore, che deve tenere conto della differente struttura produttiva dei settori coinvolti, del numero di attori (imprese e lavoratori) e della differente struttura dei costi, che determinano in definitiva il reddito per gli imprenditori nelle diverse fasi.  
In ogni caso, l'andamento nel medio periodo dell'indicatore mostra come, a fronte della crescita del valore aggiunto complessivo della filiera, il valore per la fase agricola sia cresciuto meno che proporzionalmente.

Valore aggiunto della filiera agroalimentare, valori assoluti (asse sinistro) e quota dell'agricoltura sul totale (asse destro), 2009-2016

Fonte: elaborazioni su dati Eurostat

Forti differenze nella numerosità e nei modelli di concorrenza tra gli attori

Nella valutazione della distribuzione del valore nella filiera agroalimentare, non si può prescindere da un esame della sua struttura. Gli attori coinvolti possono essere rappresentati mediante una clessidra, che evidenzia la forte disparità numerica tra i settori che lo compongono: a un estremo possono essere collocati i 60,7 milioni di consumatori, a quello opposto 1,1 milioni di aziende agricole, mentre molto più ristretta è la numerosità di imprese coinvolte nella produzione industriale e decisamente ancora meno quella delle imprese della distribuzione. 
Gli agricoltori, in questo contesto, hanno una maggiore debolezza in termini di potere contrattuale, nei confronti sia dei fornitori di input e servizi sia degli acquirenti dei loro prodotti. 

La filiera italiana appare complessivamente più debole e frammentata rispetto alla media UE. Infatti, la ricchezza creata da ciascuna impresa europea dell'alimentare, della distribuzione e anche della ristorazione, è maggiore che in Italia, a causa della rilevante presenza nel nostro Paese in tutte le fasi di micro, piccole e medie imprese, compreso nel settore distributivo organizzato (GD-DO), e dell'elevato numero di passaggi che i prodotti compiono per giungere sulla tavola dei consumatori.

La catena del valore dei prodotti agricoli e dei prodotti alimentari

Il modello di catena del valore dell'Ismea consente un'elaborazione più sofisticata della ripartizione del valore tra gli attori, considerando tutti quelli che partecipano direttamente e indirettamente al processo. 

I risultati confermano l'esistenza di forti squilibri nella filiera: su 100 euro destinati dal consumatore all'acquisto di prodotti agricoli freschi, ne rimangono appena 22 come valore aggiunto ai produttori primari i quali, con quella somma, devono coprire gli ammortamenti e pagare i salari, ottenendo come utile 6 euro, contro i 17 euro che rimangono alle imprese del commercio e del trasporto. Nel caso dei prodotti alimentari trasformati, dove la filiera si allunga ulteriormente, l'utile dell'imprenditore agricolo, su 100 euro spesi dal consumatore, è inferiore ai 2 euro. Non migliore è la situazione per l'imprenditore del settore della trasformazione alimentare: in questo caso, infatti, la maggiore quota del valore aggiunto è assorbita in misura più che proporzionale dai salari e altrettanto compresso risulta il reddito netto d'impresa, che ammonta a solo 1,6 euro; ben diversa la remunerazione netta per gli imprenditori del commercio, distribuzione e trasporto che si mantiene a 11 euro.

La catena del valore Ismea dei prodotti agricoli freschi e dei prodotti alimentari trasformati

Fonte: elaborazione Ismea su dati Istat e Eurostat

 

Il ruolo delle produzioni di qualità certificate

Negli ultimi anni, le produzioni di qualità certificata, biologiche e a Indicazione geografica (IG) hanno registrato tassi di crescita a due cifre in termini di offerta, di domanda e di operatori certificati. 
Nel 2017 le superfici biologiche hanno oltrepassato 1,9 milioni di ettari (+71% rispetto al 2010), mentre gli operatori sono arrivati a quasi 76 mila (+59%). Il valore delle vendite bio, ristorazione esclusa, ha superato i 2 miliardi di euro crescendo solo nell'ultimo anno del 9,4%.

Gli operatori del segmento delle IG Food, secondo dati Istat, sono oltre 83 mila con una crescita del 26% in 10 anni e considerando anche le denominazioni del vino superano le 197.000 unità. L'Italia vanta il primato mondiale dei riconoscimenti (299 nel Food), in aumento costante nel decennio, ma soprattutto con un valore della produzione di quasi 7 miliardi di euro nel 2017 (+46% dal 2007). Dal punto di vista economico vi è una forte concentrazione settoriale (l'86% del fatturato all'origine si deve a elaborati di carne e formaggi) e geografica (l'85% del fatturato riguarda il Nord Italia).

Il segmento vitivinicolo, invece, è espressione di un settore tradizionalmente più organizzato ed evoluto anche sul fronte della gestione dei marchi. Tuttavia, tra i 523 riconoscimenti che coprono quasi la metà del vino prodotto in Italia, per un valore della produzione imbottigliata di 8,3 miliardi di euro, si trovano prodotti leader e piccole produzioni al cui riconoscimento formale non è seguito un processo di crescita commerciale e organizzativo.

Il ruolo della filiera corta

Il fenomeno della diversificazione aziendale è una peculiarità italiana rispetto all'agricoltura europea. Sulle oltre 1.145.000 aziende agricole rilevate dall'Istat nel 2016, circa l'8% svolge almeno un'attività connessa. In particolare, molte aziende agricole stanno puntando alla vendita diretta al consumatore finale, evitando il ricorso a intermediari e cercando di trattenere una maggiore quota di valore nel settore primario.
Il mercato dei canali diretti (vendita diretta e filiera corta) vale 6 miliardi di euro, il 5% della spesa complessiva destinata ad alimentari e bevande. Tra i diversi fattori che hanno spinto la diffusione dei canali diretti ci sono le attività agrituristiche, pari a circa 23.400 a fine 2017 in Italia, quasi 6.000 in più rispetto a dieci anni prima.

Aggregazione, concentrazione dell'offerta e coordinamento degli attori: OP, AOP, OI

Le Organizzazioni di Produttori (OP) ortofrutticole e le loro associazioni (AOP) in Italia costituiscono un sistema ormai consolidato: alla fine del 2018, si contavano 304 OP e 13 AOP ortofrutticole. Nel corso del decennio il numero delle organizzazioni è aumentato (+10%), ma ancor di più è cresciuto il valore della produzione da esse commercializzato (+45%), arrivando a 6,4 miliardi nel 2017. Il valore della produzione commercializzata dalle OP è quindi passato dal 38% al 52% del valore della produzione ortofrutticola.
Tuttavia, mentre il 59% del valore della produzione ortofrutticola e il 54% delle OP si deve alle regioni meridionali, solo il 32% del valore commercializzato dal sistema organizzato a livello nazionale deriva da quella stessa area. Questo accade, in parte, perché nel Mezzogiorno una buona quota di produzione viene veicolata al di fuori del sistema OP, in secondo luogo, perché OP del Centro-Nord hanno tra i loro soci aziende agricole delle regioni meridionali.
Diversa è la situazione delle OP degli altri settori che, a differenza di quelle ortofrutticole, non possono contare sul sostegno pubblico dei programmi operativi. Alla fine del 2018 erano 270, in crescita rispetto alle 164 che si contavano nel 2010. 
Con riferimento alle OI (organizzazioni interprofessionali), invece, a metà del 2019 sono nove le organizzazioni attive che hanno ottenuto il riconoscimento ai sensi del Reg. (UE) n. 1308/2013. Si tratta di quattro OI che operano a livello nazionale (olio di oliva, tabacco, uova, ortofrutta). Altre cinque OI operano a livello locale: le due OI del pomodoro da industria, del Centro-Nord e del Sud, l'OI Latte Ovino Sardo, I'OI Gran Suino Italiano e l'OI Pera, queste ultime due operanti nel territorio dell'Emilia-Romagna.

Peso del valore della produzione commercializzata (VPC) dalle OP ortofrutticole sul valore della produzione ortofrutticola ai prezzi di base (PPB) nel 2017

Fonte:elaborazioni su dati MiPAAF e Istat

Alcune riflessioni conclusive

Nella proposta della Commissione per la nuova PAC tre sono le categorie di interventi per accrescere il valore aggiunto del settore agricolo nell'ambito della filiera agroalimentare:

  • strumenti d'intervento che agiscono sul potere di mercato esercitato dagli altri attori della filiera, favorendo l'aggregazione e la concentrazione dell'offerta (OP, AOP) o migliorano i rapporti tra gli attori (OI);
  • sistemi di certificazione di qualità (biologico, IG);
  • strumenti d'intervento che aumentano il valore aggiunto agricolo incorporando nella fase primaria attività di fasi successive (organizzazione di filiere corte e mercati locali).

Questo obiettivo, particolarmente rilevante nella filiera agroalimentare italiana, verrà raggiunto solo attuando in maniera coordinata tutti questi strumenti, insieme a quello principale dell'OS2 del sostegno agli investimenti, che andrebbero orientati verso le imprese più propense alla qualità, che operano in filiera corta e/o che rientrano in un sistema organizzato (OP, OI, cooperative, contratti di rete, ecc.). La futura PAC dovrebbe essere l'occasione per rendere più omogenea a livello territoriale e settoriale la diffusione di questi strumenti.
Il contesto potrebbe anche essere ulteriormente favorito, da un lato, dall'applicazione della Direttiva sulle pratiche sleali adottata dal Consiglio e dal Parlamento europeo ad aprile 2019, dall'altro aumentando la trasparenza nelle informazioni sui prezzi e sui mercati.

Data la profonda revisione e riduzione delle forme di sostegno al reddito, organizzazione della filiera, qualificazione e concentrazione dell'offerta appaiono come strumenti strategici in grado di consentire un recupero di redditività alle imprese agricole e di efficienza alle filiere stesse in termini di redistribuzione del valore creato.

Strumenti e fonti utilizzati nella sua costruzione

Come per gli altri obiettivi specifici, anche nel caso dell'analisi di contesto relativa all'OS3, si è partiti dallo studio degli indicatori previsti dal PMEF (Quadro di monitoraggio e valutazione della PAC post-2020), basati per lo più su dati di fonte Eurostat. In particolare, dopo un'analisi in serie storica degli indicatori, ci si è concentrati sui dati della situazione attuale (o iniziale), utili a evidenziare gli elementi per l'analisi SWOT, per i conseguenti fabbisogni e quindi per gli strumenti più opportuni.

Nella proposta di regolamento, all'obiettivo specifico 3 corrisponde un unico indicatore d'impatto, il valore aggiunto dei produttori primari nella filiera agroalimentare (I.8), derivato dall'indicatore di contesto C.11.

Come per gli altri policy brief, anche in questo caso l'analisi di contesto è stata arricchita con ulteriori dati di fonte nazionale sull'agricoltura biologica, sulle produzioni IG, sul numero di OP/AOP e OI, sul fenomeno della cooperazione, sulle attività di diversificazione e la vendita diretta in particolare.

 
 

Antonella Finizia
Maria Nucera

ISMEA

 
 

PianetaPSR numero 89 marzo 2020