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Agrimercati

Coronavirus, Agrimercati: nel secondo trimestre giù valore aggiunto agricolo, occupazione e produzione

L'analisi dell'ISMEA evidenzia anche la crescita dei consumi e la tenuta dell'export. L'indice del clima di fiducia perde sette punti e diminuiscono gli investimenti.

Il secondo trimestre 2020, dopo i primi segnali di inizio anno, ha visto gli effetti devastanti della pandemia abbattersi sull'economia mondiale. Per il nostro Paese i numeri sono impietosi: la contrazione del Pil è del 17,7% su base annua, alla quale contribuiscono tutte le componenti della domanda e tutti i settori produttivi, ma dal settore primario arrivano dati meno negativi che dal resto dell'economia nazionale. 

Agrimercati

L'analisi contenuta nel report Agrimercati  dell'ISMEA, registra una diminuzione del valore aggiunto agricolo del 4,9% rispetto al livello del secondo trimestre del 2019 (Istat, Conti economici trimestrali). I prezzi all'origine dei prodotti agricoli nazionali nel secondo trimestre del 2020 hanno perso lo 0,9% su base annua, a seguito del ribasso dal paniere dei prodotti animali (-9,6%), in particolare animali vivi e lattiero-caseari; al contrario, i listini dei prodotti vegetali sono aumentati rispetto al livello del secondo trimestre del 2019 (+8%), spinti da tutti i segmenti, a eccezione dell'olio e degli ortaggi.

Occupazione

Inevitabilmente le difficoltà dettate dall'emergenza sanitaria si ripercuotono sul fronte occupazionale, -2,6% rispetto allo stesso periodo del 2019, anche se in maniera minore rispetto a quello che ha interessato l'intera economia (-3,6%). Assai più importante il calo registrato dall'Istat per quello che riguarda le ore lavorate: il 20% in meno nel complesso dei settori, il 7% per l'agricoltura.

Produzione industria alimentare

Dopo aver perso l'8,5 e l'8,4% ad aprile e maggio, nel mese di giugno si è attenuata la flessione della produzione dell'industria alimentare, con un -4,7% su base annua. Su base congiunturale i livelli produttivi del settore, dopo il calo di marzo, si sono mantenuti per lo più allineati fino a maggio, per poi migliorare a giugno.

Consumi domestici

Nel primo semestre del 2020 la crescita dei consumi domestici è stata del 9,2% e dopo il picco di marzo (+18%), le vendite sono andate bene anche nel secondo trimestre: +11%. Questo perché cambiano abitudini di acquisto e scelta dei format distributivi: infatti l'unico dato con un marcato segno positivo in questo periodo critico è stato quello della spesa delle famiglie per prodotti alimentari, che dopo il timido incremento del 2019 (+0,4%) è cresciuto in misura importante nel primo semestre 2020: +9,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Si tratta della variazione più imponente degli ultimi dieci anni. 

A fare da traino per tutto il semestre ancora i prodotti a Largo Consumo Confezionato (LCC, +11,1%) cui si è maggiormente rivolta l'attenzione nelle settimane di emergenza; ma anche per i prodotti freschi sfusi, malgrado alcune difficoltà nella prima fase di contenimento dell'epidemia, la dinamica della spesa è stata nel complesso positiva (+4,7).

La chiusura quasi totale dei canali Horeca, la limitazione agli spostamenti e lo smart working hanno costretto gli italiani a consumare molti più pasti in casa, innescando inevitabilmente un aumento e uno stravolgimento nelle abitudini di acquisto.

A livello di format distributivi, nel periodo di "confinamento" si è accentuata la crisi delle grandissime superfici e hanno preso vigore i piccoli esercizi di prossimità, con un effetto simile a quello dei vasi comunicanti.

Export

Dopo il calo di aprile (-1,5%) e il tonfo di maggio (-10,2%), a giugno torna ad aumentare l'export agroalimentare italiano, con un +3% su base tendenziale. Grazie alla performance particolarmente brillante dei primi due mesi del 2020 (+10,8%), il consuntivo del primo semestre 2020 tocca i 22,1 miliardi di euro, con una crescita del 3,5% su base annua. Questo risultato dimostra le doti anticicliche del comparto, soprattutto se si pensa che nello stesso periodo l'export complessivo ha perso il 15% rispetto ai primi sei mesi del 2019.

La flessione dell'import del comparto nei primi sei mesi del 2020 è stata del 4,5%; nel dettaglio, dopo il 12% di aprile e il -20,3% di maggio, a giugno c'è stata un'attenuazione, con un -4,5% su base annua.

Le imprese

Oltre il 60% degli imprenditori agricoli e dell'industria alimentare è stato in difficoltà nel secondo trimestre. È quanto rivelano i risultati dell'indagine trimestrale sulla congiuntura agroalimentare condotta a giugno presso il panel dell'Ismea che conta oltre 1.500 imprese dei due segmenti. Nel complesso, a trovarsi in difficoltà nel corso del secondo trimestre è stato il 63% delle imprese dell'industria alimentare intervistate e il 60% di quelle agricole. Il principale problema degli operatori è stato il calo della domanda, legato soprattutto al canale Horeca; inoltre, il settore primario non è stato risparmiato dalle anomalie meteorologiche. 

L'indice di clima di fiducia

Nel secondo trimestre del 2020 l'indice di clima di fiducia dell'agricoltura ha perso 7 punti su base annua mantenendo un valore negativo di -8,7 punti, in linea con il livello del primo trimestre. Gli agricoltori continuano a essere pessimisti sulla situazione corrente, mentre migliori sono le prospettive degli affari a medio termine (2 o 3 anni), nell'attesa di un ritorno ai livelli economici pre-emergenza. L'indice di clima di fiducia dell'industria alimentare, invece, con un valore di -18,7 perde ben 30 punti su base annua, pur guadagnandone 8 rispetto al primo trimestre 2020, quando l'emergenza è scoppiata. 

Sulle prospettive per il terzo trimestre trapela un certo ottimismo tra gli industriali, con la previsione di un incremento degli ordini e delle vendite, mentre il 40% degli agricoltori intervistati prevede che gli affari del terzo trimestre rimarranno allineati a quelli del secondo, il 37% prevede che miglioreranno, il 19% che peggioreranno, il restante 4% non ha gli elementi per fare una previsione.

La vendita diretta

Il report dell'ISMEA segnala una crescita della quota di imprenditori che praticano la vendita diretta [1] , più diffusa nel Mezzogiorno, nei settori dell'olio e degli ortaggi e tra le imprese bio. La quota di imprese che utilizza questo canale è passata dal 17% del 2019 al 21,7% del 2020, diventando di poco inferiore a quella dell'intermediazione commerciale. Chi ha abbracciato la vendita diretta vi destina mediamente l'82% della produzione aziendale, percentuale che nel 2019 era del 73,1%. Inoltre, una buona fetta delle imprese che vendono direttamente al consumatore finale, il 40%, sono certificate biologiche (mentre la quota delle aziende bio sull'intero campione intervistato si ferma al 26%). Le aziende del Mezzogiorno sono più orientate verso questo canale, si tratta del 26,5% di quelle complessivamente intervistate in quest'area, contro il 18,8% del Centro-Nord.

Un altro elemento che emerge dall'indagine 2020 è che sempre più agricoltori hanno tentato di ampliare all'estero i propri confini commerciali. La quota di coloro che esportano nell'UE è passata, infatti, dal 3,7% all'8,1%, e anche quella degli imprenditori che si sono spinti oltre i confini europei ha avuto un progresso, sebbene di misura inferiore passando dall'1,7% nel 2019 al 2,5% nel 2020.

Investimenti

Cresce la quota di imprese che hanno ridotto gli investimenti nel 2020, ma per la metà il livello è invariato, anche se l'emergenza sanitaria ha ovviamente influito su questi aspetti, determinando un rallentamento degli investimenti che si è rivelato più consistente dei comparti del vino, della trasformazione ortofrutticola e degli elaborati di carne; al contrario, l'industria delle carni bianche si distingue per l'elevata incidenza di imprese con investimenti in crescita rispetto allo scorso anno. Nel complesso, il confronto con l'anno precedente evidenzia un peggioramento del quadro relativo agli investimenti: è infatti molto aumentata l'incidenza delle imprese che hanno dichiarato di aver ridotto gli investimenti rispetto all'anno precedente(passata dal 16% del 2019 al 31% delle risposte nel 2020), mentre sono diminuite sia la quota degli intervistati che ha dichiarato che il livello dei propri investimenti è rimasto immutato (era il 59% nel 2019, oggi scesa alla metà dei rispondenti), sia la quota degli imprenditori che li hanno aumentati (dal 22% al 14%).

 
 
 
 

Note

 
 

Redazione PianetaPSR

 
 

PianetaPSR numero 94 settembre 2020