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Green deal

Il ruolo dei sistemi agroalimentari nel raggiungimento dei target climatici globali e comunitari

Mentre l'azione climatica dell'UE prende sempre più corpo nel quadro strategico del Green deal, uno studio della Oxford University dimostra come il sistema agroalimentare sia chiamato a cambiamenti indispensabili per raggiungere i target climatici previsti dalle Nazioni Unite.

L'azione climatica[1] è uno dei pilastri portanti della strategia di rilancio economico proposta dal Green Deal. A marzo 2020, ancor prima del lancio di Farm to Fork e Biodiversità2030, la CE ha avanzato una Proposta di legge europea sul clima [2] che stabilisce un obiettivo legalmente vincolante di zero emissioni nette di gas a effetto serra (GHG) nell'Unione entro il 2050. Sulla base di una ampia valutazione d'impatto, la Commissione ha anche proposto l'obiettivo di ridurre entro il 2030 le emissioni di GHG di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990. Questo obiettivo ambizioso era stato annunciato per la prima volta dalla Presidente Von der Leyen nel luglio 2019 con l'intento di rafforzare ulteriormente gli impegni assunti dall'UE con l'accordo di Parigi per alzare la probabilità di mantenere l'aumento della temperatura globale entro il 2100 al di sotto dei 2 °C, o auspicabilmente entro 1,5  C. 

L'accordo di Parigi [3] è il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, adottato alla conferenza di Parigi sul clima (COP21) nel dicembre 2015. L'UE ha formalmente ratificato l'accordo il 5 ottobre 2016, consentendo in tal modo la sua entrata in vigore il 4 novembre 2016. Gli USA hanno ratificato l'accordo il 3 settembre 2019. Tuttavia, il 4 novembre 2019, il governo degli Stati Uniti d'America ha notificato la sua decisione di recedere dall'accordo con effetto dal 4 novembre 2020 (ndr. la recente elezione del nuovo Presidente USA Joe Biden sembra aver rimesso in discussione questa scelta [4] ). L'accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2016, trenta giorni dopo la data in cui almeno 55 parti della Convenzione, che rappresentano in totale almeno il 55% stimato delle emissioni globali di gas a effetto serra, hanno depositato i loro strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o adesione con il depositario.

Per conseguire gli obiettivi dell'accordo sono necessarie azioni forti in tutti i settori dell'economia. Chiaramente, le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di combustibili fossili sono la principale fonte di emissioni di GHG, globalmente e nell'UE, e questo evidenzia il ruolo centrale del sistema energetico nella transizione verso un'economia climaticamente neutra. L'edilizia e i trasporti sono, insieme all'industria, i settori che usano più energia e rilasciano più emissioni climalteranti. La decarbonizzazione tanto dell'offerta quanto della domanda di energia, rappresenta dunque un tassello fondamentale verso la neutralità climatica della nostra società.

Da Oxford una previsione sul contributo del sistema alimentare ai target climatici di Parigi

Ma qual è il ruolo dei sistemi agroalimentari in queste sfide climatiche? Il Green Deal enfatizza molto il ruolo che l'agricoltura e il sistema alimentare possono svolgere nel lungo percorso di lotta ai cambiamenti climatici, affidando alla PAC il compito importante di sostenere e favorire tutti gli sforzi da mettere in campo nel settore primario. Ma quanto pesa realmente il sistema agroalimentare nel percorso globale verso il raggiungimento dei target fissati? Si tratta di un contributo marginale o sostanziale?

Uno studio di Clark et al., pubblicato su Science questo mese di Novembre [5], dimostra che il contributo del sistema agroalimentare globale è decisamente essenziale per raggiungere i target di contenimento del surriscaldamento globale previsti dall'accordo di Parigi. In sostanza, anche se tutti gli altri settori dell'economia facessero tutto il proprio meglio per azzerare le proprie emissioni, anche da subito, senza il contributo del sistema agroalimentare non sarebbe possibile fermare il riscaldamento globale al 2100: di fatto, le attuali tendenze emissive del sistema alimentare globale impedirebbero sicuramente il raggiungimento dell'obiettivo di 1,5 °C e minaccerebbero pericolosamente anche il raggiungimento dell'obiettivo dei 2 °C. Lo studio evidenzia come il raggiungimento dell'obiettivo 1,5 °C richieda modifiche ambiziose e rapide sia nel sistema alimentare che in tutti gli altri settori non-alimentari, e che l'obiettivo di 2 °C può essere raggiunto anche attraverso modifiche meno ambiziose nel sistema alimentare, ma solo se vengono azzerate molto rapidamente tutte le emissioni di tutti gli altri settori non-alimentari.
Il sistema alimentare globale è una delle principali fonti di emissioni di GHG (circa 30% del totale globale). In totale, dal 2012 al 2017, le emissioni stimate del sistema agroalimentare globale ammontano a circa 16 miliardi di tonnellate (Gt) CO2 equivalenti/anno. Tuttavia, almeno nelle grandi strategie internazionali, la necessità di ridurre le emissioni legate al cibo ha ricevuto finora meno attenzione di altre priorità, forse perché queste emissioni vengono considerate un costo "inevitabile" per nutrire l'umanità.
Il sistema alimentare globale genera emissioni di gas serra da più fonti:

  • deforestazione (nelle regioni in via di sviluppo) - CO2 e protossido di azoto (N2O); 
  • produzione e utilizzo di fertilizzanti e di altri prodotti di sintesi - CO2, N2O e metano (CH4); 
  • fermentazione enterica dei ruminanti in produzione zootecnica (bovini e ovicaprini) - CH4; 
  • produzione di riso in risaie - CH4; 
  • deiezioni zootecniche - N2O e CH4; 
  • combustibili fossili impiegati nella produzione e lungo le filiere alimentari - CO2.

Obiettivi e metodi della ricerca

Lo studio della Oxford University ha inteso prevedere le future emissioni del sistema alimentare globale e valutare se fossero realmente compatibili con i target di 1,5 °C e 2 °C previsti dall'accordo di Parigi.
Lo studio di previsione ha considerato le emissioni del sistema alimentare in funzione delle diete (cosa si mangia e quanto), dell'intensità emissiva dei vari tipi di alimenti (emissioni per unità di cibo su base Life Cycle), e dimensione della popolazione globale, basandosi su trend consolidati negli ultimi 50 anni e assunti dal lavoro come base di riferimento business-as-usual (BAU).
Il BAU considerato dal lavoro fa alcune assunzioni:

i) la composizione alimentare pro capite e il consumo calorico continuano a cambiare man mano che i paesi diventano più ricchi; 
ii) le rese delle colture, che influenzano la quantità di superficie da convertire ad uso agricolo, tendono ad aumentare; 
iii) la popolazione mondiale è costante in crescita; 
iv) l'impronta emissiva degli alimenti e i tassi di spreco di cibo rimangono costanti nel tempo.


Le emissioni di GHG dal sistema alimentare globale derivano in gran parte dalla fase di produzione (coltivazione) e dalla conversione all'uso agricolo di superfici originariamente non agricole (prevalentemente forestali). Nell'esercizio di ricerca di Clark et al., tali emissioni sono calcolate riportando le stime ottenute dai calcoli di Life cycle alla unità di ogni tipo di alimento e alla domanda globale totale prevista per ognuno di questi alimenti. Le emissioni considerate includono quelle derivanti dall'attività primaria, ma non quelle da trasporto, lavorazione, confezionamento, vendita al dettaglio, e preparazione che, nel complesso, rappresentano una frazione emissiva minore nel quadro delle emissioni del sistema alimentare. I tassi annuali di cambiamento di uso del suolo, e le conseguenti emissioni derivanti dalla conversione a scopi agricoli di nuove superfici non-agricole, sono stimate dallo studio proiettando le rese di campo in combinazione con le proiezioni di consumo globale dei singoli prodotti alimentari.

Risultati: no agriculture, no Paris!

L'esercizio di analisi ha calcolato il massimo consentito di emissioni cumulative di GHG da tutte le attività umane a partire dal 2020 in avanti, individuando le soglie emissive alle quali si può associare una probabilità del 67% o del 50% di cogliere i target di 1,5 °C e 2 °C stabilite dall'accordo di Parigi. Per avere una probabilità del 67% di raggiungimento degli obiettivi di 1,5 °C e 2 °C, il cumulativo i limiti di emissione sono 500 e 1405 Gt CO2-eq, rispettivamente. Per il 50% di possibilità di cogliere gli obiettivi, i limiti di emissione sono di 705 e 1816 Gt CO2-eq, rispettivamente (FIG. 1).

L'analisi dimostra che la riduzione delle emissioni di GHG del sistema alimentare globale è essenziale per raggiungere i target 1,5 °C o 2 °C
. La stima del BAU cumulativo delle emissioni del sistema alimentare dal 2020 al 2100 è 1356 Gt CO2-eq. Questo significa che anche se tutte le emissioni di GHG del sistema non-alimentare fossero immediatamente fermate, le emissioni del solo sistema alimentare supererebbero probabilmente le emissioni limite necessarie per il target di 1,5 ° tra il 2051 e il 2063. 
Per avere una probabilità del 67% di raggiungere l'obiettivo dei 2 °C sarebbe necessario mantenere le emissioni cumulate non-alimentari inferiori a 50 GtCO2-eq nei prossimi 80 anni (valore equivalente a 1 anno delle attuali emissioni di GHG dal sistema non-alimentare), mentre per avere una probabilità del 50% di raggiungere l'obiettivo dei 2 °C sarebbe necessario mantenere tali emissioni sotto le 455 Gt CO2-eq (valore equivalente a 9 anni delle attuali emissioni non-alimentari globali). Gli autori precisano che queste tendenze valgono anche nell'ipotesi in cui le emissioni dall'uso di combustibili fossili nel sistema alimentare globale dovessero essere azzerate oggi.

Cosa deve fare il sistema alimentare?

Visto che il sistema alimentare ha un ruolo così fondamentale nel raggiungimento dei target climatici, il lavoro di Clark et al. descrive anche la strada attraverso la quale sistema alimentare globale dovrebbe riformarsi per ridurre le proprie emissioni di GHG, proponendo cinque mosse mirate all'offerta e alla domanda di cibo:

  1. adozione a livello globale di una dieta ricca di alimenti a base vegetale che contiene quantità moderate di latticini, uova e carne, come la dieta mediterranea;
  2. adeguamento globale del consumo calorico pro capite a livelli sani;
  3. incremento delle rese (di campo) attraverso il miglioramento della genetica delle colture e dell'agronomia;
  4. riduzione degli sprechi alimentari del 50%; 
  5. riduzione dell'intensità emissiva degli alimenti ed efficientamento della produzione (ad esempio attraverso precision farming e innovazione tecnologica).

Il lavoro esplora anche i potenziali benefici in termini di riduzione delle emissioni di GHG derivabili da una parziale (50%) o completa (100%) adozione simultanea di tutte e cinque le strategie suggerite (FIG.1). Le emissioni cumulative di GHG dal sistema alimentare globale dal 2020 al 2100 possono essere ridotte dal 14% al 48% attraverso i cambiamenti nella composizione alimentare e un consumo calorico più sano, l'aumento delle rese, la diminuzione dello spreco di cibo e l'aumento dell'efficienza produttiva, a condizione che queste strategie siano pienamente adottate entro il 2050. Se tutte e cinque le strategie fossero solo parzialmente implementate, seppur insieme (50% di adozione di ciascuno), le emissioni cumulative di GHG del sistema alimentare potrebbero essere ridotte al 2100 del 63% rispetto al BAU. Piena adozione di tutte e cinque le strategie potrebbe risultare in un sistema alimentare con emissioni cumulative di GHG addirittura negativo se si considerano anche le azioni di sequestro di carbonio operabili attraverso i suoli.

Fig. 1 - Proiezioni cumulative delle emissioni di GHG dal 2020 al 2100 esclusivamente dal sistema alimentare globale perCondizioni BAU e per vari cambiamenti del sistema alimentare che portano a riduzioni delle emissioni.

Fonte: Clark et al., 2020.
Lo studio assume che le modifiche al sistema alimentare vengono gradualmente adottate tra il 2020 e il 2050. Le barre vengono colorate in base al tipo di cambiamento apportato: la barra nera indica le emissioni connesse al business-as-usual (BAU), le barre verdi indicano le modifiche a modelli dietetici, le barre blu indicano cambiamenti nelle catene di approvvigionamento alimentare. Le due colonne più a destra (colore grigio) indicano una combinazione di tutte e cinque le strategie di cambiamento, ma con gradi diversi di adozione: tutte le strategie adottate al 50% o interamente (100%).Le linee orizzontali indicano le emissioni cumulative massime da tutte le fonti (alimentari e non alimentari) compatibile con una probabilità del 50% o 67% di raggiungere i target di 2 °C (linea rossa) o di 1,5 °C (arancione).

 

Per raggiungere l'obiettivo di 1,5 °C entro il 2050 è necessario dunque adottare tutte le strategie di riforma del sistema alimentare. Nessuna delle cinque strategie da sola è sufficiente. Questi cambiamenti, peraltro, possono offrire una serie importante di altri benefici inclusi quelli contemplati dagli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite: diminuzione dell'inquinamento da nutrienti, riduzione dei consumi idrici, diminuzione del cambiamento di destinazione d'uso del suolo, miglioramento della a biodiversità e, con il miglioramento della composizione alimentare e del consumo calorico, riduzione di problemi come obesità, diabete, malattie cardiache e mortalità prematura.

 

E' davvero tutto verde ciò che è green?

In un post pubblicato su Econopoly de il Sole24ore l'11 Novembre scorso [6] , Enrico Mariutti solleva la questione dell'impronta ambientale dei percorsi di sviluppo green che si delineano nel nostro futuro. Di fatto, la constatazione di partenza è che pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche etc. siano dispositivi tecnologici fatti a loro volta di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali, di cui alcuni anche piuttosto rari.
A supporto della sua considerazione l'autore cita un contributo pubblicato su Nature Geoscience[7] che stima che solo per convertire meno del 15% della produzione di energia primaria mondiale potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo, di quintuplicare quella di acciaio e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame. Ma questo sarebbe solo il primo apparente non-sense della nuova sostenibilità. Va anche considerato, infatti, l'impatto delle pratiche estrattive di molti minerali necessari. Un esempio è il rame: mediamente in un giacimento il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%. Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia, con enorme dispendio energetico e forte impatto sul territorio. C'è anche il tema alluminio (per produrne una tonnellata sono necessari circa 30.000 kwh di energia, tra termica ed elettrica) o il tema acciaio (una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti).
Ma non finisce qui. Di circa una decina di materiali alla base della "rivoluzione verde", infatti, le riserve mondiali conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili. In sostanza, in questo quadro, l'evidenza è che per uno sviluppo green servirà impiegare moltissime risorse naturali in più. Si tratta di stime ufficiali che le autorità pubbliche dovrebbero attentamente considerare nel disegnare le traiettorie di sviluppo sostenibile auspicate.

 
 

Note

 
 

Danilo Marandola
CREA PB

 
 

PianetaPSR numero 96 novembre 2020