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Biologico

Le OP fanno bene al biologico (e viceversa)

Una ricerca sul ruolo che le Organizzazioni dei produttori hanno nel migliorare la competitività del biologico.

Le Organizzazioni di produttori e le loro associazioni (OP/AOP) rappresentano uno strumento utile per migliorare la competitività dei prodotti agricoli, per organizzare l'offerta e riequilibrare i rapporti all'interno delle filiere. Ciò è ancor più vero per il settore del biologico che rappresenta il 4% della spesa agroalimentare italiana e il 5,5% sul totale dell'export agroalimentare e continua a mostrare interessanti margini di crescita. L'offerta del comparto bio non è però sempre strutturata per far fronte ai fabbisogni del mercato; l'elevata frammentazione del tessuto produttivo e una diffidenza storica verso la cooperazione, soprattutto nelle regioni in cui si produce maggiormente biologico, determinano spesso un'insufficiente valorizzazione della produzione agricola. La concentrazione dell'offerta tramite l'OP risulta fondamentale per rispondere alla domanda dell'industria di prima e seconda trasformazione non solo per l'ortofrutta ma anche per altre filiere, come ad esempio quella dei cereali. 

Il rafforzamento degli strumenti di organizzazione e concentrazione dell'offerta agricola attraverso lo sviluppo delle OP rappresenta una delle azioni strategiche che la Commissione Europea[1]  si propone di promuovere per contrastare l'asimmetria nel potere negoziale all'interno della filiera alimentare e stimolarne la competitività. È uno dei temi chiave della proposta di riforma della PAC, nella quale l'esperienza delle OP ortofrutticole viene presa a modello per tutti gli altri settori produttivi.

I numeri delle OP e AOP nell'ortofrutta

In Italia le OP sono concentrate nel settore dell'ortofrutta, in virtù del sistema di aiuti proposti dalla medesima OCM che vede il Paese primo beneficiario, con una media quinquennale di 253,5 milioni di euro. Al 30 aprile 2020 erano 310 le organizzazioni riconosciute nel settore, di cui 297 OP e 13 AOP; il 53% delle OP è localizzata nell'area meridionale, mentre delle 13 AOP esistenti, nessuna ha sede nel Mezzogiorno. Le OP gestiscono 366 mila ettari e una produzione commercializzata di oltre 12 milioni di tonnellate. Nel decennio 2007- 2017 il valore della produzione commercializzata (VPC) è passato da 4,4 a 6,4 miliardi (dal 37,7% al 51,8% della VPC ai prezzi di base del settore ortofrutticolo italiano). C'è però un certo squilibrio tra le regioni: il 59% della VPC si deve alle regioni meridionali, ma soltanto il 32% del valore commercializzato dal sistema organizzato a livello nazionale è attribuibile a queste aree. Una quota importante della produzione del Meridione non passa infatti attraverso il sistema ortofrutticolo organizzato o confluisce nelle OP del Centro-Nord che annoverano tra i soci molte aziende agricole delle regioni meridionali.

A differenza delle OP ortofrutticole che costituiscono una realtà consolidata, le OP create negli altri settori produttivi sono molto più recenti; i settori maggiormente rappresentati sono l'olivicolo, il lattiero-caseario, il cerealicolo e pataticolo e, numericamente, dal 2010 al 2020 sono aumentate del 53%.

Le OP ed il biologico

Nell'ambito dell'attuale normativa nazionale sulle OP, quello delle produzioni biologiche è considerato un comparto a sé stante e viene trattato in senso trasversale, cioè ne fanno parte tutti i prodotti biologici certificati secondo il Reg. CE 834/2007 s.m.i. dei vari settori agroalimentari. Per incentivarne la diffusione, i requisiti di fatturato per il riconoscimento delle OP del biologico sono molto più bassi degli altri settori e sono rimasti invariati nel tempo (5 soci e 300.000 euro quale valore minimo di produzione commercializzata).

Dal punto di vista legislativo, parlando di produzione agricola biologica e di OP è necessario fare riferimento al "Piano strategico nazionale per lo sviluppo del sistema biologico" del 2016, in cui si rimarca l'esigenza di una maggiore strutturazione delle filiere biologiche attraverso iniziative per favorire aggregazione tra produttori e relazioni stabili con gli attori del comparto includendo trasformazione, distribuzione e commercio. 

La formazione e il riconoscimento delle OP bio dovrebbero partire dal territorio per il miglioramento della logistica e la continuità delle forniture, per la definizione di parametri qualitativi condivisi, per il collegamento tra aree e settori produttivi diversi, per il finanziamento di azioni di assistenza tecnica e commerciale alle singole aziende e per rispondere alle esigenze del mercato. 

È da poco stato realizzato dall'Ismea per la Rete Rurale Nazionale uno studio che ha indagato quanto il biologico sia importante all'interno delle OP. Nel report sono raccolte le valutazioni di 46 OP di diversi settori produttivi che commercializzano prodotti biologici (in maniera esclusiva o no), alcune storiche, altre di nuova fondazione. L'obiettivo dello studio è di individuare le peculiarità e le eventuali criticità del biologico nella definizione dei processi aggregativi così da proporre strumenti per la futura programmazione.

I risultati dell'indagine

Nel report pubblicato viene evidenziata la difficoltà di analisi dovuta alla scarsità di informazioni di tutto il comparto OP, soprattutto per quanto riguarda l'attuazione delle azioni ambientali (tra cui l'agricoltura biologica) contenute nei Piani Operativi; il documento conferma l'orientamento delle OP verso la commercializzazione di prodotti di qualità, soprattutto biologici, dimostrando la presenza di una strategia interna attenta all'andamento dei mercati, nazionali ed internazionali. Le motivazioni che spingono le OP verso la scelta del biologico, in maniera esclusiva o non, sono principalmente di natura economica, e secondariamente ambientale. Quasi tutte le OP ipotizzano di incrementare la quota di prodotti biologici commercializzati nel prossimo futuro. L'aggregazione dell'offerta di prodotto biologico è sempre più importante per rapportarsi con tutti i canali commerciali, soprattutto con la GDO, in cui tale aggregazione aumenta il potere contrattuale dei soci e migliora gli standard di sicurezza e qualità della produzione agricola.

Le OP italiane che commercializzano bio dimostrano un discreto livello di internazionalizzazione, esclusivamente verso i Paesi europei che lascia spazio a margini di miglioramento e fa ben sperare per la crescita del biologico soprattutto in alcuni mercati del nord, come quello tedesco.

Dallo studio emerge che l'aggregazione rappresenta un elemento fondamentale per aumentare la competitività dei produttori della fase agricola della filiera, e, addirittura, l'associazionismo dovrebbe essere considerato come un prerequisito per operare sul mercato in maniera strategica rispondendo alle esigenze dei consumatori. 

Le OP sono delle "sentinelle del territorio" fondamentali nella definizione delle strategie d'area in quanto, dove si sviluppano, si assiste a una rivitalizzazione della struttura socioeconomica del territorio rurale. 

Oltre che per rispondere alle esigenze del mercato, per i produttori biologici l'importanza di associarsi in OP è legata alla possibilità di condividere e alleggerire gli oneri (siano essi collegati alle pratiche agronomiche, di difesa e di gestione o inerenti ad aspetti amministrativi e burocratici), di avere dei vantaggi economici negli acquisti cumulativi di mezzi tecnici e nella condivisione della consulenza, quest'ultima fondamentale per un settore che dovrà guardare con più attenzione anche alla crescita della produzione. Non meno importante la possibilità di avere accesso ad interventi dello sviluppo rurale riservati appositamente alle OP.

Le Organizzazioni che hanno partecipato all'indagine spiegano come il bisogno più impellente che sperano sia accolto in questa fase programmatoria della PAC, sia migliorare l'incisività e lo spettro di azione delle organizzazioni attraverso degli appositi investimenti piuttosto che lavorare su strategie che mirano a un mero aumento del numero delle Organizzazioni.  

I rappresentanti intervistati sono in disaccordo sull'efficacia di costituirsi in OP specializzata solo nel bio piuttosto che riservare una quota crescente di biologico all'interno di OP miste. Le motivazioni che spingono alcuni a preferire le OP bio specialistiche sono legate alla necessita di dare il giusto peso, anche in termini decisionali, ai soci certificati. D'altra parte, molti credono che le OP specializzate garantiscano, anche al bio al loro interno, maggiori opportunità di crescita, accesso agli aiuti e a mercati interessanti. Il monitoraggio delle realtà associazionistiche mostra quanto la storica territorialità delle OP in termini di dislocazione e la conseguente differenza regionale in termini di aggregazione produttiva determini maggiori difficoltà dei produttori di organizzarsi in OP in alcune regioni rispetto ad altre: proprio per questo si sottolinea che molto dovrà essere fatto da alcune regioni in termini nelle prossime politiche di sviluppo rurale.

Da più parti ci si auspica una sinergia tra le varie OP e le AOP anche con progettualità comuni per il loro sviluppo in una visione di reciproca utilità e non conflittualità: in questo ambito, quindi, le OP dovrebbero cercare di intercettare più risorse dall'OCM, ma anche dallo Sviluppo Rurale, associandosi tra di loro nel proporre progetti con obiettivi comuni dove, naturalmente, il capitale umano, professionale e relazionale dei partecipanti risulta fondamentale. Uno strumento suggerito che dovrebbe sommarsi a quelli che già i regolamenti comunitari prevedono a carico delle OP è quello della "finanza agevolata".

Inoltre, per aumentare la capacità competitiva delle imprese associate, una quota di aiuto dovrebbe essere dedicata esclusivamente ad alcune azioni prioritarie, come innovazione, ricerca e internazionalizzazione, al fine di rafforzare l'orientamento al mercato. Non da ultimo, dovrebbe essere previsto un sostegno alla formazione di manager delle OP, per consentirne uno sviluppo di tipo qualitativo.

 

Documenti da consultare

 

Note

 
 

Riccardo Meo
Direzione per lo Sviluppo Rurale, Ismea
Chiara Paffarini
Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali, Unità di ricerca di Bioeconomia

 
 

PianetaPSR numero 99 febbraio 2021