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Ambiente

Gas serra, ISPRA: emissioni diminuite del 19% in 30 anni

Secondo i dati elaborati nell'Inventario Nazionale delle Emissioni in Atmosfera in ambito agricolo la riduzione è stata del 17,3%.

Dall'analisi dei dati elaborati nell'Inventario Nazionale delle Emissioni in Atmosfera, redatto dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), si evince che le emissioni totali di gas serra, espresse in CO2 equivalenti, escludendo il settore "Uso del suolo, cambiamento di destinazione d'uso del suolo e silvicoltura" (LULUCF), sono diminuite del 19.4% tra il 1990 ed il 2019, riducendosi da 519 a 418 milioni di tonnellate di CO2 eq., e del 2.4% rispetto al 2018.
Tale diminuzione è imputabile allo sviluppo, negli ultimi anni, della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico), all'incremento dell'efficienza energetica nei settori industriali e alla riduzione dell'utilizzo del carbone. 

Dal 1990 al 2019 le emissioni totali di gas serra sono diminuite in tutti i settori, ad eccezione di quello dei rifiuti in cui si rileva un incremento del 5.1%. Rispetto ai livelli del 1990, le emissioni totali sono diminuite del 20.9% per il settore energetico, del 16% per i processi industriali e del 17.3% per l'agricoltura.

La decrescita rilevata nel settore agricolo è principalmente dipesa dalla diminuzione delle emissioni di metano prodotte dalla fermentazione enterica (-14.6%) e di quelle di protossido di azoto derivanti (-20.6%) dai suoli agricoli, categorie che rappresentano rispettivamente il 44.9% e il 27.2% delle emissioni settoriali totali.

Nell'inventario redatto da ISPRA si evidenzia che la distribuzione percentuale dei vari settori in termini di emissioni assolute è rimasta pressoché invariata nel periodo 1990 - 2019.

Energia e trasporti i principali produttori

Tuttavia i settori della produzione di energia e quello dei trasporti sono responsabili di circa la metà delle emissioni nazionali di gas climalteranti. Il settore dei trasporti registra un incremento del 3.2% rispetto al 1990, conforme al trend osservato nel consumo di combustibile per il trasporto su strada e all'aumento delle percorrenze complessive (veicoli-km) di circa il 22%.

Il "peso" dei diversi inquinanti

L'anidride carbonica che contribuisce per l'81.2% alle emissioni totali in CO2 equivalente è diminuita del 22,7% tra il 1990 e il 2019. 
Tali emissioni sono dipese, principalmente, dai settori delle industrie energetiche (26.9%) e dei trasporti (30.7%), mentre le restanti sono determinate dall'industria manifatturiera e delle costruzioni (14.4%), dai processi industriali (4.4%) e dagli altri settori (inferiore al valore dello 0.2%). 
Tuttavia si rileva una riduzione pari al 33.3% per il settore delle industrie energetiche e del 46.2% per quello delle industrie manifatturiere e delle costruzioni rispetto ai valori del 1990.
Per le industrie energetiche le emissioni decrescono a fronte di un incremento della produzione di energia termoelettrica che passa da 178.6 a 195.7 Terawattora e dei consumi di energia elettrica da 218.7 a 301.8 Terawattora.

Nel periodo compreso tra il 1990 e il 2019 si evidenzia che le emissioni energetiche derivanti dal settore residenziale e dei servizi si sono incrementate del 2.2% a fronte di un aumento dei consumi energetici pari al 20.2%.
Per il settore dei trasporti si rileva al 2008 una decrescita delle emissioni di anidride carbonica conseguente alla recessione economia ed all'introduzione di veicoli a basso consumo di carburante. 

Nel 2019 le emissioni totali di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) hanno contribuito, rispettivamente, al 10.3% - pari a 43 Milioni di tonnellate (Mt) equivalenti di anidride carbonica - ed al 4.1% - pari a 17.2 Mt CO2 equivalenti. Nondimeno nel periodo 1990 - 2019 le emissioni di CH4 e N2O sono diminuite, rispettivamente, del 12.9% e 33.9%. 
Nel settore industriale si rileva una decrescita delle emissioni di protossido di azoto pari al 91.1% conseguente alla diffusione di tecnologie di abbattimento negli impianti di produzione di acido nitrico ed adipico. 

I gas fluorurati rappresentano il 4.4% delle emissioni totali nel 2019 ma mostrano un forte incremento e la significativa tendenza all'aumento li renderà ancora più rilevanti nei prossimi anni. Tale crescita è connessa ai prodotti aerosol farmaceutici, alla refrigerazione, all'aumento dell'utilizzo dei condizionatori nelle autovetture ed all'attuazione del Protocollo di Montreal[1]. Nel dettaglio, gli HFC passano da 0.4 a 16.8 Mt di anidride carbonica equivalente.
L'ISPRA anche per il 2019 conferma il disaccoppiamento tra l'andamento delle emissioni di gas serra e la tendenza dell'indice economico (PIL).
Nel 2020, invece, l'ISPRA stima, sulla base dei dati disponibili, una riduzione delle emissioni del 9.8% rispetto all'anno precedente conseguente alle disposizioni restrittive emanate dal Governo in corso di pandemia a fronte della decrescita prevista del PIL pari all'8.9%.
Tale andamento è dipeso dalla riduzione della produzione di energia elettrica (-12.6%) e dei consumi energetici da parte dei settori dell'industria (-9.9%), dei trasporti (-16.8%) per la riduzione del traffico privato in ambito urbano e del riscaldamento (-5.8%) per la chiusura parziale o totale degli edifici pubblici e delle attività commerciali.

Le emissioni in agricoltura

Le emissioni derivanti dal settore agricoltura costituiscono il 7.1% delle emissioni di gas serra totali, circa 30 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. L'agricoltura, infatti, determina emissioni di gas climalteranti in atmosfera, prevalentemente imputabili alla produzione di metano (CH4), protossido di azoto (N2O) e, in misura minore, di anidride carbonica (CO2). Nel dettaglio, nel 2019 le emissioni totali di CH4, N2O e CO2 da parte del settore rappresentano, rispettivamente, il 64.3%, il 34.3% e l'1.5% (Tabella 1).

Per il settore agricoltura le principali categorie emissive sono rappresentate dalla fermentazione enterica (emissioni di CH4), dalla gestione delle deiezioni in tutte le fasi, dal momento dell'escrezione nel ricovero fino alla distribuzione in campo (emissione di CH4 e N2O), dai suoli agricoli (emissione di N2O), dalla coltivazione delle risaie (emissioni di CH4) e dalla combustione dei residui agricoli (emissione di CH4 e N2O). Non meno rilevanti, però, in considerazione dei co-fattori connessi (erosione e biodiversità del suolo), sono le emissioni derivanti dalla gestione del suolo. 

Le categorie più rilevanti per le emissioni sono costituite dalla fermentazione enterica e dalla gestione dei suoli agricoli (Tabella 2). 

Nel 2019 il settore agricolo ha rappresentato la principale fonte emissiva di metano e protossido di azoto contribuendo, rispettivamente, per il 44.2% e il 58.7% ai livelli nazionali delle emissioni.
Le emissioni di metano sono dipese principalmente dal comparto zootecnico in quanto la fermentazione enterica e la gestione delle deiezioni contribuiscono, rispettivamente, per il 69.8% (529.63 Gg) e per il 21.8% (165.27 Gg) alle emissioni del settore corrispondenti al 30.8% e al 9.6% di quelle nazionali di CH4. Nel dettaglio, si rileva che le emissioni di metano derivanti dalla fermentazione enterica sono determinate prevalentemente dalla categoria di bestiame bovino, mentre quelle causate dalla gestione delle deiezioni sono dipese dalle categorie dei bovini (80.76 Gg) e suini (69.72 Gg). Per la fermentazione enterica il comparto dei bovini rappresenta oltre il 70% delle emissioni totali di metano, mentre per la gestione delle deiezioni i bovini e i suini contribuiscono, rispettivamente, per il 48.9% e il 42.2%. 

Nel 2019 le emissioni di protossido di azoto derivanti dalla gestione delle deiezioni rappresentano il 20.6% delle emissioni totali del settore pari a 6.99 Gg e corrispondenti al 12.1% di quelle nazionali di N2O. Le emissioni di metano prodotte dalla coltivazione del riso rappresentano l'8.3% delle emissioni totali per il settore agricolo (63.3 Gg) e il 3.7 % di quelle nazionali di CH4.
Le emissioni di protossido di azoto dai suoli agricoli sono pari al 79.4% delle emissioni da parte del settore (26.95 Gg) e al 46.6% di quelle nazionali di N2O.
Per quanto concerne l'anidride carbonica il settore agricolo rappresenta lo 0.1% delle emissioni nazionali. 

In conclusione dall'analisi dei dati ISPRA si rileva, tra il 1990 e il 2019, la riduzione delle emissioni di metano, protossido di azoto e anidride carbonica pari, rispettivamente, al 14.7%, 21.8% e 15.7%.

Tali riduzioni si attribuiscono principalmente alla concomitanza di diversi fattori, quali la diminuzione della consistenza zootecnica, i cambiamenti nella gestione delle deiezioni animali, la riduzione delle superfici coltivate e delle produzioni agricole, il minor impiego di fertilizzanti sintetici azotati e l'attuazione dei programmi della Politica Agricola Comune. Inoltre, negli ultimi anni, è aumentata la quota di energie rinnovabili nei consumi energetici nazionali, con una forte espansione del numero di impianti per la produzione di biogas soprattutto nel settore agricolo.

Al riguardo si evidenzia che le emissioni derivanti dall'agricoltura, proprio per la peculiarità del settore di produzione della filiera agroalimentare, sono in parte incomprimibili. Tuttavia, negli ultimi anni quello agricolo è il settore che ha fatto registrare le maggiori riduzioni delle emissioni.

IL ruolo svolto dal settore LULUCF

Nel 2019 il settore LULUCF ha contribuito alla mitigazione dei cambiamenti climatici assorbendo 41.6 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (Figura 1).
Per il settore, il maggior contributo in termini di assorbimenti di carbonio è rappresentato dalle foreste (suolo e biomassa) e dai pascoli (suolo e biomassa degli arbusti della macchia mediterranea); mentre le terre agricole rappresentano un'emissione netta a seguito delle lavorazioni dei suoli e dei cicli di espianto delle colture legnose perenni.

Al riguardo si evidenzia che la biomassa vivente rappresenta il comparto in grado di rimuovere maggiormente l'anidride carbonica (94.3%), mentre la materia organica morta e la materia organica del suolo nei terreni convertiti in terreno forestale immagazzinano, rispettivamente, solo il 3.5% e il 2.2% di CO2.Dall'analisi dell'impatto emissivo per uso del suolo si evince che le emissioni prodotte dalle terre coltivate sono strettamente connesse alla gestione stessa dei terreni, mentre il contributo più marcato agli assorbimenti generati dai pascoli è determinato dalla conversione dalle terre coltivate in pascoli. Nel settore, gli assorbimenti totali in CO2 equivalente mostrano un'elevata variabilità nel periodo 1990 - 2019, notevolmente influenzata dal verificarsi annuo degli incendi che hanno mostrato un trend in crescita a causa dei mutamenti climatici. Le aree colpite dagli incendi, infatti, vengono conteggiate come perdita di capacità di assorbimento di carbonio.

Il fattore chiave per l'incremento delle rimozioni di CO2 è dipeso dall'espansione delle superfici coperte da foreste (l'area rientrante nella categoria foreste è cresciuta del 24.5%). Tale dato si spiega con la ricolonizzazione di aree marginali e di terre non più coltivate.

 

Fig. 1 -  Assorbimenti ed emissioni di CO2 nel settore LULUCF dal 1990 al 2019 (kt CO2)

Fonte: ISPRA (2021)
 

La transizione energetica e il ruolo della PAC

Nel 2019 i settori maggiormente coinvolti nelle emissioni totali di gas serra sono stati quello energetico, dei trasporti, dei processi industriali, dell'edilizia, dei rifiuti e dell'agricoltura, di cui una significativa quota, con la percentuale pari a circa l'80%, è da attribuire all'utilizzo dei combustibili fossili e, conseguentemente, al settore energetico, residenziale, industriale e dei trasporti (Fig. 2).

Dall'analisi dei dati sopra menzionati si evince che, per raggiungere il nuovo target di riduzione delle emissioni al 2030 (-55% rispetto ai livelli del 1990) prefissato dall'Unione Europea e la neutralità climatica al 2050, occorre attuare azioni in grado di migliorare il livello degli assorbimenti da parte del settore LULUCF, incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili, sviluppare l'uso di nuove tecnologie e processi nel comparto industriale e di generare nuove infrastrutture in grado di accumulare l'energia e trasportarla.

In particolare per il settore agricoltura occorre incentivare la diffusione delle pratiche conservative ed incrementare la capacità di sequestro di carbonio da parte dei suoli agricoli, delle praterie, delle torbiere e delle foreste.
Nell'ambito del sistema energetico, gli impianti di gestione anaerobica agricoli svolgono un ruolo centrale poiché permettono di combinare la produzione elettrica con quella di produzione di biocarburanti, di biometano e di biomateriali.

L'introduzione del regime ecologico o eco-schemi nel I Pilastro della futura programmazione della Politica Agricola Comune, infatti, rappresenterà una soluzione sostenibile ed una risorsa per gli agricoltori sia per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici che per salvaguardare la qualità delle produzioni agricole, nonché per incrementare la sostanza organica e la fertilità dei suoli.
Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), infatti, sostiene che il sequestro di carbonio nel suolo di terreni coltivati e praterie ha una capacità potenziale di mitigazione climatica compreso tra 0.4 e 8.6 CO2 equivalenti all'anno.
Nel Report Speciale su Clima e Suoli dell'IPCC si rileva che la terra che stiamo già adoperando potrebbe nutrire il mondo in un clima mutevole e fornire biomassa per la produzione di energia rinnovabile o per la fertilizzazione del suolo, ma occorre una lunga e tempestiva azione su vari fronti.

Nell'ambito delle pratiche agricole sostenibili previste dagli eco-schemi si annoverano quelle inerenti l'agricoltura biologica, la rotazione delle colture con leguminose e/o culture foraggere, lo sviluppo di pratiche di tipo conservativo quali, ad esempio, l'adozione di sistemi colturali innovativi ed efficienti basati sull'inserimento di coltivazioni in grado di favorire la più ampia copertura vegetativa nell'annata agraria, quali quelle di integrazione, intercalari, consociate (erba medica, trifoglio, ecc..), e cover crop nelle rotazioni; la gestione e il recupero dei terreni marginali con l'introduzione di nuove colture; la pacciamatura organica; l'uso estensivo di prati permanenti; l'adozione di coperture vegetali nei periodi invernali e/o di prati permanenti; la protezione delle funzioni dell'ecosistema forestale, delle risorse genetiche, dei bacini idrici e del paesaggio; la salvaguardia della biodiversità, inclusa la conservazione degli alberi secolari e del legno morto; l'evitare la conversione dei terreni forestali ad altri usi del suolo o la conversione da popolamenti forestali a cedui.

Gli eco-schemi rappresenteranno, quindi, uno strumento in grado di sostenere azioni in linea con gli obiettivi climatici e con la transizione ecologica prevista nel Green Deal e nelle Strategie dell'Unione Europea.

 
 

Note

  • [1]Trattato internazionale volto alla riduzione della produzione e l'uso delle sostanze ozono lesive come i clorofluorocarburi.
 
 

Ilaria Falconi
CREA-PB

 
 

PianetaPSR numero 102 maggio 2021