Home > Il punto sui PSR > L'agricoltore come custode del suolo, con le buone pratiche contrasta i cambiamenti climatici: due casi studio in Emilia-Romagna
Cambiamenti climatici

L'agricoltore come custode del suolo, con le buone pratiche contrasta i cambiamenti climatici: due casi studio in Emilia-Romagna

La conoscenza del suolo e la sua buona gestione sono le carte vincenti per una gestione agro-ambientale del territorio.

La tabella di marcia del nuovo Green Deal europeo intende rendere il territorio dell'UE climaticamente neutrale ed economicamente sostenibile entro il 2050 trasformando le problematiche climatiche e le sfide ambientali in opportunità. I cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia enorme per l'Europa e il mondo, e tra le principali iniziative promosse per la Conservazione della Natura vi è la "Strategia sulla Biodiversità per il 2030", volta ad avviare una gestione più sostenibile delle risorse naturali, tra cui il suolo. Già nel 1972 il Consiglio d'Europa emise la "Carta Europea del suolo" che raccoglieva i punti fondamentali per la salvaguardia del suolo definendolo come "uno dei beni più preziosi dell'umanità" e riconoscendolo come "una risorsa limitata che si distrugge facilmente" e pertanto definendo che "I governi e le autorità amministrative devono pianificare e gestire razionalmente le risorse rappresentate dal suolo". Attualmente sempre più si parla dell'importanza del suolo e della sua buona gestione e la stessa Comunità europea suggerisce ai singoli Stati e alle Regioni di promuovere buone pratiche (best practices) che conducano alla salvaguardia dei suoli. La Soil Thematic Strategy [Eu-Com(2006) 231] ha individuato nella perdita di sostanza organica dei suoli (principalmente agrari), e nella conseguente perdita di biodiversità, una forte minaccia che può innescare e portare alla completa degradazione dei terreni e quindi alla desertificazione. Durante la Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi nel 2015, è stato stimato che se si riuscisse ad aumentare ogni anno del 4 per mille (4‰) la quantità di carbonio dei suoli saremmo in grado di contrastare le emissioni antropogeniche prodotte. 
Anche l'Agenzia ONU ha stabilito che un suolo sano, che pertanto può consentire produzioni sostenibili, si riconosce per "la capacità di sostenere produttività, diversità e i servizi ambientali degli ecosistemi terrestri". Al suolo, infatti, sono correlati e riconosciuti diversi servizi ecosistemici: la produzione di cibo e di biomasse; la purificazione delle acque; la regolazione del microclima, dei cicli biogeochimici, del deflusso superficiale e dell'infiltrazione dell'acqua, il controllo dell'erosione, la ricarica delle falde, la cattura e lo stoccaggio del carbonio e la conservazione della biodiversità. La consapevolezza dell'importante ruolo rivestito dalla buona gestione del suolo ha portato la FAO a definire le "linee guida volontarie per la gestione sostenibile del suolo" (FAO 2015) che chiariscono il fondamentale ruolo della gestione sostenibile del suolo nel contribuire agli sforzi collettivi per la mitigazione e l'adattamento al cambiamento climatico, per la lotta alla desertificazione e la protezione della biodiversità.  

L'Europa ha attivato strategie e politiche di sviluppo rurale fornendo gli strumenti tecnici ed economici per poter sviluppare attività a diversi livelli rivolte alla tutela e salvaguardia dei suoli. In questo contesto, all'interno dello schema di Programma di Sviluppo Rurale per il periodo 2014-2020, è stata concepita la focus area 5E Promuovere la conservazione e il sequestro del carbonio nel settore agricolo e forestale, declinando il compito di sviluppare iniziative di studio a scala regionale a gruppi operativi per l'innovazione (GO) formati da enti di ricerca e aziende agricole.  Qui di seguito sono presentati due esempi di GO attivati con i finanziamenti del Piano Regionale di Sviluppo Rurale misura 16.1 della Regione Emilia-Romagna che hanno avviato un metodo di lavoro partecipativo favorendo momenti di confronto e dialogo tra agricoltori, ricercatori e funzionari pubblici volti a condividere le linee guida per la buona gestione del suolo atte a favorire la sostenibilità del sistema agricolo sia in termini produttivi che ambientali.

Il GO CASTANI_CO

Il Gruppo operativo (GO) CASTANI_CO, costituito da I.TER, capofila, Università di Bologna, 5 aziende castanicole e Consorzi di castanicoltori ha evidenziato l'importante ruolo che il castagneto da frutto tradizionale riveste per la sostenibilità del territorio e dei suoli montani. La castanicoltura da frutto tradizionale emiliano-romagnola è caratterizzata da piante, spesso secolari, prevalentemente innestate con marroni e varietà autoctone di castagne, e da suoli saldi, mai arati. Essa rappresenta un vero e proprio presidio di tradizione, cultura e cibo. La coltivazione del castagneto da frutto tradizionale prevede uno scarsissimo utilizzo di macchine agricole, in quanto non si eseguono arature o lavorazioni del terreno e la raccolta avviene prevalentemente a mano o, talvolta, tramite speciali macchine aspiratrici. Le operazioni colturali prevedono le sole potature autunno invernali, eseguite spesso con strumenti dotati di batteria elettrica, e lo sfalcio del cotico erboso prima della raccolta, mentre la difesa fitosanitaria non necessita l'uso di prodotti chimici. L'emissione minimale di gas serra, l'assenza di lavorazioni e la buona gestione del suolo fanno sì che la castanicoltura tradizionale da frutto emiliano-romagnola rappresenti un esempio concreto di agricoltura neutra in termini di emissioni di carbonio. Gli studi e le ricerche di CASTANICO sono stati volti a rafforzare le conoscenze pedologiche in connessione con la gestione dei suoli monitorando il contenuto di sostanza organica e il relativo sequestro di carbonio.
Lo studio dei suoli ha evidenziato che l'assenza di lavorazioni favorisce la formazione di orizzonti organici (Oe e Oa) e organico minerali (A) che contengono elevati contenuti di sostanza organica, mentre, oltre i 30 cm di profondità il contenuto di sostanza organica cala drasticamente. Inoltre, nelle situazioni morfologicamente stabili e maggiormente preservate è stato possibile ritrovare suoli molto antichi, i cosiddetti "paleosuoli" la cui genesi e formazione si è protratta per decine di migliaia di anni. Essi si sono conservati anche grazie alla buona gestione del castagneto da frutto che li ha protetti favorendo l'azione dei processi pedogenetici.

Questi suoli si rilevano in paleosuperfici poco inclinate e sono stati interessati da processi pedogenetici intensi. Sono caratterizzati da tessitura franca o franco sabbiosa, sono molto profondi, non calcarei, da moderatamente acidi a fortemente acidi; scheletro assente. Il substrato è costituito da stratificazioni arenacee siltose della Formazione del Bismantova.
Sono presenti accumuli di argilla illuviale e di idrossidi di ferro negli orizzonti profondi. L'evoluzione si è pro- tratta per un lungo tempo grazie anche alla morfologia e alle condizioni di drenaggio dei suoli che hanno favorito il dilavamento delle basi. La disponibilità di ossigeno per le piante è buona.

Classificazione Soil Taxonomy (2014): fine loamy, mixed , mesic Fragic Oxiacquic Hapludalfs 

Classificazione WRB (2014): Fragic Luvisol

 
 

Per monitorare il contenuto di sostanza organica nel suolo sono stati eseguiti specifici monitoraggi in 45 siti selezionati all'interno delle 5 aziende partner, da cui sono stati prelevati 90 campioni composti alle profondità 0-15 cm e 15-30 cm nel 2018.   Nel gennaio 2021 è stato ripetuto il campionamento all'interno di 3 castagneti ritenuti maggiormente distintivi per gestione, selezionando, in ciascuno, 6 siti di campionamento tra i 9 campionati nel 2018 per un totale di 36 campioni composti. 
La figura 1 mostra la variabilità dei valori di sostanza organica riferiti allo strato 0-30 cm rilevati nel 2018 in confronto con le classi di dotazione della sostanza organica (Tabella 1): i dati ricadono prevalentemente nella classe di dotazione elevata e secondariamente normale.

Tabella 1: classi di dotazione della sostanza organica Disciplinari di Produzione integrata Regione Emilia-Romagna 2020

Figura 1 : variabilità del contenuto di sostanza organica nei primi 30 cm di suolo di 45 siti monitorati

 

La figura 2 rappresenta la variabilità del contenuto di sostanza organica rilevato alle profondità: 0-15 cm e 15-30 cm.  È  innegabile che, trattandosi di suoli non lavorati, in tutte le aziende i primi 15 cm di suolo presentano un elevato contenuto in sostanza organica, sempre maggiore rispetto allo strato compreso tra 15-30 cm.

figura 2

Per comprendere meglio i fattori che possono condizionare il contenuto di sostanza organica sono stati raffigurati in un grafico, per ciascuna azienda, i dati raccolti in ciascuno dei 9 siti di campionamento selezionati in modo da rappresentare le situazioni morfologiche e stazionali maggiormente presenti nel castagneto monitorato. L'analisi di questi dati evidenzia che la variabilità spaziale della sostanza organica è determinata dai processi versante (zone di colluvio, zone di erosione), dalla morfologia e dalla copertura vegetale che caratterizzano le diverse stazioni di campionamento. La figura 3 mostra un esempio della variabilità riscontrata in campo: il sito di campionamento C3, caratterizzato dal più basso contenuto di sostanza organica, presenta una minor copertura dello strato erbaceo, probabilmente determinata dai processi di erosione idrica superficiale a cui è sottoposto. Mentre, il sito C4, il più ricco in sostanza organica, è caratterizzato da una folta copertura vegetale di felci. Il sito C2 rappresenta, invece, una situazione intermedia di copertura e di processi di versante.

Figura 3 : Studio della variabilità del contenuto di sostanza organica in un castagneto tradizionale da frutto
 

Ciò evidenzia l'importanza dell'adozione delle giuste tecniche gestionali volte a facilitare la migliore copertura vegetale per contrastare i processi di erosione idrica superficiale intervenendo ad esempio con la riduzione degli sfalci e delle pulizie eccessive da foglie e ricci. Le buone pratiche di gestione atte a favorire il sequestro di carbonio nel suolo rimarcano la necessità di evitare di bruciare foglie e rami di risulta delle potature e auspicano il mantenimento di una buona copertura erbacea in raccordo con le necessarie pulizie utili a favorire la raccolta e il contenimento di attacchi parassitari.

Il Go FRUTTIFI_CO

Il gruppo operativo "FRUTTIFI_CO" (Frutticoltura Finalizzata Impronta Carbonio Organico) è composto da organismi di ricerca (CRPV, capofila, I.TER e Università di Bologna) e da cinque aziende agricole afferenti alle principali organizzazioni produttive ortofrutticole (Apofruit Italia, Agrintesa e Granfrutta Zani).  Le aziende partner sono collocate in diversi ambienti pedoclimatici, sia di collina che di pianura, e sono rappresentative di diverse tipologie di produzione (integrata, biologica e biodinamica). La frutticoltura emiliano-romagnola, con i suoi circa 50.000 ettari di frutteti, produce frutta di qualità, tra cui pere e pesche, che detengono il marchio IGP. Essa fornisce un interessante esempio di pratiche di gestione del suolo che contribuiscono, oltre a produrre un cibo di qualità, anche al contrasto dei cambiamenti climatici, favorendo l'immagazzinamento del carbonio organico nel terreno. Gli studi e le ricerche di FRUTTIFICO hanno, infatti, dimostrato che il frutteto gestito con interfilari inerbiti o trattati a sovescio rappresenta un ottimo esempio di gestione sostenibile, mantenendo il carbonio organico nel suolo.

I Monitoraggi del contenuto di sostanza organica hanno interessato in tutto 30 siti selezionati all'interno delle 5 aziende e hanno dimostrato che il contenuto di sostanza organica all'interno del sistema frutteto varia  tra sottofila lavorato o diserbato e interfilare inerbito.

 
Figura 4 esempio di confronto del contenuto di sostanza organica rilevato nel sottofila e interfila in una azienda a produzione integrata di pianura e in una azienda a produzione integrata di collina

Inoltre, i risultati (Figura 5) hanno evidenziato che in pianura il contenuto di sostanza organica è migliorato se confrontato con le informazioni delle caratteristiche chimico fisiche disponibili sul Catalogo dei suoli della Regione Emilia-Romagna risalenti agli anni 90, periodo in cui gli interfilari venivano lavorati tutti gli anni.

Poiché è riconosciuto a livello mondiale che "nel solo primo metro di suolo del pianeta c'è più carbonio di quello presente nell'atmosfera e in tutte le piante terrestri" il GO FRUTTIFI-CO ha voluto stimare la capacità dei suoli emiliano romagnoli dedicati alla frutticoltura di immagazzinare carbonio. Tale capacità è stata stimata nei suoli delle aziende partner tramite lo studio di dieci profili di suolo rappresentativi del panorama pedologico della frutticoltura emiliano- romagnola. Ciascun orizzonte riconosciuto è stato campionato e analizzato. Dalle analisi della sostanza organica e dalle misure di densità apparente è stato possibile determinare il carbonio stoccato nel primo metro distinguendo lo strato 0-15, 15-30 e 30-100 cm. Lo studio ha evidenziato che nei suoli di collina l'eventuale presenza di roccia o del substrato geologico entro 100 cm diminuisce il volume di suolo in grado di immagazzinare carbonio; per tale motivo è stata stimata una inferiore capacità di immagazzinamento nei suoli di collina rispetto alla pianura.

La figura 5 evidenzia la capacità media di stoccaggio dei suoli rilevati nelle aziende partner di FRUTTIFI_CO distinta tra pianura (124 ton/ha) e collina (67 ton/ha). La figura 6 mostra l'interessante potenziale capacità di immagazzinamento di carbonio del sistema frutticolo emiliano-romagnolo rapportando la capacità media di stoccaggio dei suoli agli ettari di pianura e di collina dedicati alla frutticoltura

Figura 5 - Stima della capacità media di immagazzinare carbonio nei primi 100 cm di suolo nei frutteti in pianura e in collina

Figura 6 - stima della capacità potenziale della frutticoltura emiliano romagnola di immagazzinare carbonio

 

Il lavoro dei gruppi operativi ha senz'altro consentito l'avvio di un procedimento di condivisione partendo dalle necessità degli agricoltori (il cosiddetto approccio "bottom up") attivando un confronto «pratico" da cui è emersa l'utilità di conoscere e monitorare le caratteristiche dei suoli per individuare e condividere la scelta delle buone pratiche di gestione del suolo.  La valutazione e stima della importante capacità dei suoli di immagazzinare carbonio ha una ricaduta diretta su tutto il sistema castanicolo e frutticolo emiliano-romagnolo che ha potuto acquisire la consapevolezza dell'effetto delle buone pratiche agricole sul suolo e sulla possibilità di svolgere un ruolo importante per il contrasto dei cambiamenti climatici. 

I risultati dei due GO hanno, inoltre, evidenziato che il contenuto di sostanza organica, e quindi di carbonio organico, dipende sia dall'uso del suolo ma soprattutto dalla gestione agronomica consentendo di enfatizzare il ruolo degli agricoltori in quanto custodi del suolo, del territorio e del paesaggio nonché produttori di cibo. Un ruolo che sempre più è necessario valorizzare e riconoscere.

 
 

Carla Scotti I.T.E.R
Maria Valentina Lasorella, Rete Rurale per l'Emilia-Romagna 

 
 

PianetaPSR numero 102 maggio 2021