PianetaPSR
classe universitaria
Formazione

Vino, formazione universitaria e competitività dell'agroalimentare italiano: un'analisi empirica dei corsi di laurea per futuri enologi

Un'innovativa ricerca realizzata dall'Università degli Studi di Palermo e dal CREA-Politiche e Bioeconomia apre nuove frontiere nella valutazione del mismatch tra le competenze offerte dalle università e quelle richieste dal mondo del lavoro.

Nello scenario mondiale quella italiana è considerata un'economia industrializzata ad alto reddito, ma a bassi livelli di istruzione e competenze: i tassi di occupazione dei laureati sono molto indietro rispetto ai valori medi dei paesi dell'area OCSE; allo stesso tempo, molte aziende si trovano costrette ad assumere dipendenti con competenze di livello non adeguato perché sottoqualificati o sovraqualificati (Marconi e Trapasso 2017; Istat 2018). Circa il 35% del totale dei dipendenti addirittura lavora in un settore per niente collegato alla propria formazione. 
In questo contesto, le università giocano certamente un ruolo cruciale nella formazione di capitale umano e intellettuale e nella trasmissione della conoscenza alle generazioni successive. Infatti, la laurea è il cosiddetto "biglietto da visita" più frequentemente utilizzato per segnalare la propria competenza ai potenziali datori di lavoro. In economia si fa riferimento, in particolare, alla Signalling Theory di Arrow (1973) e Spence (1973).
Le università sono peraltro fondamentali nella creazione di legami tra le imprese e i vari attori della ricerca, dello sviluppo tecnologico, della consulenza e dell'innovazione, ciò che in una parola definiamo Agricultural Knowledge and Innovation System (AKIS).
Una recente ricerca, condotta in collaborazione tra l'Università degli Studi di Palermo e il CREA Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia, ha analizzato in profondità il grado di allineamento tra le competenze richieste dalle imprese del comparto vitivinicolo e l'offerta formativa universitaria messa in campo in Italia per l'ottenimento della qualifica di enologo secondo gli standard dell'International Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV).

Il contesto di mercato e della formazione

Con un valore di oltre 5,8 miliardi di euro (ISMEA 2019) il comparto del vino rappresenta la prima voce della bilancia agroalimentare commerciale nazionale. Dovendo fronteggiare pressioni concorrenziali di portata globale, esso richiede davvero competenze altamente specializzate e al passo con i tempi (Gilinsky et al. 2019). I nuovi esperti del vino sono chiamati a destreggiarsi in diritto commerciale internazionale, marketing, comunicazione, networking, pianificazione strategica e operativa, negoziazione/contrattazione, ambidestrismo organizzativo, gestione delle risorse umane, qualità del prodotto, sostenibilità dei processi di produzione e via dicendo.
Secondo l'indagine di Winemonitor Nomisma (2018), questa professionalità dovrebbe essere principalmente spesa nei seguenti obiettivi aziendali specifici: l'accesso ai mercati esteri e a nuovi canali distributivi, la vendita diretta dalla cantina, lo sviluppo del turismo enogastronomico, l'ottimizzazione di risorse e costi.
In Italia le università progettano i loro corsi di laurea nel rispetto dei requisiti previsti dal Decreto Ministeriale del 22 ottobre 2004, n. 270 (MD 270/ 04) e dal Decreto Ministeriale del 16 marzo 2007. 
L'offerta universitaria in Viticoltura ed Enologia consiste in corsi di laurea di primo livello (corsi triennali, di classe L) finalizzati a fornire agli studenti una padronanza dei metodi e dei contenuti scientifici generali, oltre che competenze professionali specifiche, e corsi di laurea di secondo livello (corsi di laurea "magistrale", di classe LM) che puntano a fornire agli studenti un livello avanzato di istruzione per l'esercizio di attività altamente qualificate in aree specifiche [1]. Ogni classe di laurea comprende un gruppo di corsi di studio con gli stessi obiettivi formativi. Come si può osservare dalla Tabella 1, nell'anno accademico 2018-2019 le università italiane avevano attivato 19 corsi di primo livello, di cui 10 della classe L-25 "Scienze e Tecnologie Agrarie e Forestali", 8 della classe L-26 "Scienze e Tecnologie Agroalimentari" e un corso di laurea interclasse (L-25 e L-26). Vi erano poi 4 corsi di laurea di secondo livello: 2 della classe LM-69 "Scienze e tecnologie agrarie" (tra cui un corso interuniversitario offerto in collaborazione tra le università di Udine, Padova, Verona e Bolzano) e 2 della classe LM-70 "Scienze e tecnologie alimentari" (tra cui un corso interuniversitario offerto in collaborazione tra le università di Torino, Milano, Palermo, Foggia e Sassari).
La distribuzione geografica di questi corsi è piuttosto eterogenea e riflette le diverse specificità produttive regionali.
Prese a riferimento le classi di laurea L-25 e L-26, la ricerca dell'Università di Palermo e del CREA-PB è stata finalizzata a valutarne l'efficacia sotto due diversi aspetti: l'efficacia interna vista in funzione di quanto pianificato dagli atenei nel rispetto del core curriculum (ossia l'insieme minimo di settori scientifici-disciplinari obbligatori) imposto dal DM 270/04 e dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN 2017); l'efficacia esterna o "fit for purpose" (Loreti 2004; Harvey e Green 1993) intesa come capacità di soddisfare le esigenze e le aspettative degli stakeholder.

La ricerca

Il protocollo della ricerca è stato assolutamente innovativo, trattandosi in buona sostanza della triangolazione tra tre metodologie - analisi desk, social network analysis (SNA) e cluster analysis (CA) - applicate a dati e informazioni provenienti da fonti molto eterogenee (es. dai portali Almalaurea e Universitaly, dalle pagine web delle università e da vari documenti ufficiali).La fase dell'analisi ha messo a fuoco la composizione e la variabilità dei corsi di laurea, calcolando per ciascuna disciplina, tirocinio o altra attività formativa il numero minimo di CFU stabilito per legge, il minimo tra tutte le università, il massimo, la media e la deviazione standard. Attraverso la SNA sono state costruite delle matrici rettangolari attività educative x università nelle cui celle è stato riportato il valore 1 se il numero di CFU era superiore alla media nazionale (valore 0 nel caso contrario). Quindi è stato calcolato l'indice di centralità come misura dell'importanza attribuita alle varie attività educative all'interno dei percorsi di studio; infine, partendo dal presupposto che le università hanno lo stesso ruolo istituzionale, ovvero "sono simili perché fanno cose simili", attraverso specifiche procedure di confronto per coppie, è stata eseguita una loro clusterizzazione in base al profilo di similarità.
L'ultima parte dell'analisi si è poi concentrata sulle opinioni, i bisogni di competenze e le aspettative espresse dagli stakeholder nei processi di consultazione pubblica condotti dalle università nel periodo 2009-2018.
I risultati della ricerca hanno dimostrato che, nell'assoluto rispetto delle linee guida dell'OIV e della normativa italiana, molti atenei italiani hanno cercato di adattare i loro programmi di studio alle esigenze del mercato del lavoro. In termini di centralità, le attività didattiche che più frequentemente hanno ottenuto un numero di CFU superiore alla media sono state: "Competenze digitali" e "Tirocini formativi e di orientamento" per i corsi di laurea L-25; "Studi economici e giuridici", "Discipline chimiche", "Scienze e tecnologie alimentari" e "Conoscenza di almeno una lingua straniera" per i corsi di laurea L-26.
Il risultato generale è però un parziale allineamento tra quanto offerto e quanto richiesto dagli stakeholder. I corsi di laurea L-25 sono più orientati a fornire competenze pratiche nel campo, mentre quelli L-26 cercano di sviluppare competenze più adatte alla gestione della cantina. In entrambi i casi, alcune attività educative riconosciute importanti per aumentare la probabilità di essere occupati a un anno dalla laurea (Consorzio Interuniversitario Almalaurea 2017) o nel mettere in collegamento imprese e mercati (Winemonitor Nomisma 2018) hanno ottenuto un numero di CFU molto basso. Si tratta delle attività formative per le competenze linguistiche, per quelle digitali (in particolare per L-26) e le cosiddette "altre richieste per entrare nel mondo del lavoro", come stage e tirocini presso aziende, organizzazioni pubbliche o private, associazioni professionali.
Nella classe di laurea L-25, i corsi con maggiore valore di similarità sono quelli delle coppie di università Salento-Udine e Cattolica Sacro Cuore-Milano. L'Università di Padova ha delle caratteristiche intermedie perché come la coppia Salento-Udine ha scelto di puntare di più su "Competenze digitali" e "Formazione e Apprendistato di orientamento", mentre come la coppia Cattolica Sacro Cuore-Milano ha investito anche su "Matematica, Fisica, Informatica e Statistica". L'Università di Palermo potrebbe essere considerata un "outlier" per aver erogato la maggior parte di attività didattiche con un numero di CFU inferiore alla media nazionale.
Nella classe L-26 l'Università di Pisa e l'Università Cattolica Sacro Cuore sono le più strutturalmente equivalenti, con un numero di CFU superiore alla media per le seguenti discipline: "Discipline Chimiche"; "Matematica, Fisica, Informatica e Statistica"; "Attività scelte dallo studente" e "Competenze digitali.
Molte implicazioni potrebbero derivare dalla equivalenza strutturale tra università. Per esempio, gli studenti potrebbero scegliere il corso di laurea più appropriato alle loro aspirazioni educative e lavorative, ritenendo alcune università "intercambiali" rispetto ad altre.
Il parziale allineamento tra quanto offerto dalle università e quanto richiesto dagli stakeholder potrebbe essere dovuto al fatto che in Italia i corsi di laurea di primo livello sono spesso organizzati per essere propedeutici ai corsi di laurea di secondo livello piuttosto che per offrire uno sbocco lavorativo.
Come progettare la formazione in funzione delle esigenze di competitività delle imprese è una questione completamente aperta sia per gli analisti economici che per i policymaker (Potestio 2014).
La ricerca proposta dall'Università di Palermo e dal CREA-PB aiuta in questa "missione impossibile" rivelandosi innovativa, affidabile e trasferibile anche ad altri contesti (ad esempio ad altri curricula accademici, nel campo dell'istruzione scolastica o della formazione professionale).


Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla lettura integrale dell'articolo on line: Valeria Borsellino, Valentina Carta & Francesca Varia (2022): Skills for competitiveness: an empirical analysis of the educational provision for oenologists offered by Italian universities, pubblicato il 23 febbraio 2022 nella rivista The Journal of Agricultural Education and Extension, doi: 10.1080/1389224X.2022.2039245.

 
 

Note

 
 

Bibliografia

 
 

Francesca Varia e Valentina Carta
CREA Politiche e Bio-economia

 
 

PianetaPSR numero 112 aprile 2022