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Biodiversità

Il sistema agroalimentare italiano e i prodotti di montagna: il caso della patata

Il progetto RESILIENT, cofinanziato dal Psr Lombardia, punta al recupero e alla re-introduzione di due varietà di nicchia coltivate in Lombardia.

Il sistema agroalimentare, inteso complessivamente come agricoltura, silvicoltura e pesca, si conferma settore chiave della nostra economia.  Negli ultimi decenni ha avuto una profonda ripresa, attribuibile sicuramente alle politiche di sostegno al settore agricolo ma anche al tessuto imprenditoriale che ha saputo sfruttare le opportunità di mercato.

La preferenza nella scelta dei prodotti da parte dei consumatori è tanto più alta se si parla di prodotti di montagna; una tendenza condivisa è infatti quella di associare il territorio montano a prodotti salubri e autentici realizzati nel pieno rispetto dell'ambiente. La ragione di ciò è da ricercarsi nella convinzione diffusa che vede la montagna come un luogo incontaminato e ricco di natura; infatti, non a caso nelle aree montuose 2/3 delle attività economiche più diffuse sono quelle legate al settore primario, come allevamento e agricoltura, caratterizzate spesso da tecniche produttive a basso ambientale. 

La tutela della montagna non può prescindere dalla tutela di una delle maggiori eccellenze alimentari che l'agricoltura d'altura tradizionalmente ci offre, ovvero la patata, annoverata a pieno titolo come prodotto tipico di montagna. Al fine di tutelare le produzioni del territorio e le esternalità a essa connesse e incrementare la competitività delle aziende montane l'EU ha promosso l'uso del termine "prodotto di montagna". Il corretto utilizzo di questa indicazione garantisce un valore aggiunto per i prodotti di queste realtà, innalzando la redditività delle aziende agricole.

Il ritorno delle varietà tradizionali grazie al progetto Resilient

In questo contesto si inserisce il Progetto RESILIENT (Buone pratiche per la salvaguardia e la coltivazione di varietà locali lombarde tradizionali di patata e mais in aree interne). Cofinanziato dall'operazione 1.2.01 "Progetti dimostrativi e azioni di informazione" del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 della Regione Lombardia, il progetto nasce dalla collaborazione tra l'Università di Pavia, capofila del progetto, il CREA- Centro di Ricerca di Cerealicoltura e Colture Industriali, sede di Bologna, l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e la Comunità Montana della Valchiavenna.

Spesso coltivati in alta quota, gli ecotipi italiani di patata rappresentano infatti non solo un importante pool genetico da preservare dall'erosione tipica degli ultimi decenni ma anche un'opportunità economica da non perdere per le cosiddette aree marginali. A partire dagli anni '50, la costituzione e diffusione delle moderne varietà ha infatti determinato l'abbandono di molti genotipi coltivati localmente. Il loro recupero sul territorio nazionale e la loro salvaguardia come agro-biodiversità da conservare ex-situ è stato oggetto di specifiche azioni da parte del CREA-Centro di ricerca Cerealicoltura e Colture industriali di Bologna che oggi conserva nella sua collezione in vitro un'ottantina di genotipi, tra i quali una decina di ecotipi italiani.

Pataticoltura montana nel comune di Starleggia (1550 m s.l.m; Sondrio)
Pataticoltura montana nel comune di Starleggia (1550 m s.l.m; Sondrio)
 

Però, poiché quasi sempre i tuberi utilizzati localmente dagli agricoltori derivano da coltivazioni di patata realizzate per il consumo, senza effettuare ripetute operazioni di epurazioni di piante virosate, la maggioranza di questi ecotipi presenta un decadimento virale con possibili infezioni multiple che si manifestano con ridotta vigoria delle piante e loro scarsa produttività. La patata infatti risulta estremamente soggetta a infezioni virali; attualmente si contano oltre 40 specie di virus in patata, alcune delle quali estremamente dannose dal punto di vista economico. La riduzione di resa quantitativa dovuta a infezioni virali può superare il 70%: elevate perdite sono dovute soprattutto il potato virus X (PVX), potato leaf roll virus (PLRV), potato virus S (PVS) e ad alcuni ceppi di potato virus Y (PVY), tutti diffusi in Italia. Il risanamento da fitovirus per gli ecotipi moltiplicati per decenni "on farm" è un passaggio quindi ineludibile per ripristinare livelli di rese ad ettaro adeguate per rendere più conveniente economicamente al produttore la coltivazione.

Obiettivo del progetto RESILIENT è il recupero e la re-introduzione di due varietà di nicchia coltivate in Lombardia: la patata bianca e quella rossa di Starleggia. A Starleggia, località del comune di Campodolcino in Valle Spluga (>1500 m di altitudine) è oggi coltivata con questi due ecotipi solo per una piccola area di 500 mq ad opera della meticolosa attività dell'Associazione Patate di Starleggia. Le due patate di Starleggia, oggi oggetto dell'azione di recupero e valorizzazione da parte di RESILIENT, si stanno recentemente affacciando come prodotto emergente riconosciuto come prodotto tipico locale P.A.T. (Prodotti Agroalimentari Tradizionali lombardi, riconosciuti dal MIPAAF, su proposta della Regione Lombardia). Ai primi saggi molecolari condotti i due genotipi sono subito risultati positivi alle infezioni virali. E' stato quindi avviato un processo di risanamento che consiste nell'espianto e nell'ottenimento di vitro-piante che vengono sottoposte a trattamenti di coltura di meristema e se necessario chemoterapia con ribavirina, rigenerazione e controlli diagnostici e trattamenti ripetuti fino a completo risanamento, ottenuto il quale, dopo la rigenerazione della pianta, il suo acclimatamento in ombraio, è stata possibile la produzione vivaistica di materiale sano e la sua restituzione al territorio con la conseguente immediata ricaduta economica su territori che sono a rischio di abbandono. E' importante tenere conto che l'attività di risanamento può avere tempi molto variabili e dipendenti dal livello di infezione (spesso miste di 2 o più virus) rilevato dall'indagine sierologica, per cui il ritorno in campo con materiale di propagazione sano (piantine o tuberi) è strettamente vincolata alla durata dell'attività di risanamento che può durare da pochi mesi a svariati anni.

In ordine: vitropiante di patata conservate in tubi sterili monouso, gel di agarosio che evidenzia la positività del saggio molecolare alle fitovirosi, apice meristematico di un germoglio di patata, vasi di vetro per la micropropazione in celle climatiche.
In ordine: vitropiante di patata conservate in tubi sterili monouso, gel di agarosio che evidenzia la positività del saggio molecolare alle fitovirosi, apice meristematico di un germoglio di patata, vasi di vetro per la micropropazione in celle climatiche.
 

Accanto al primo importante risultato raggiunto, si è inoltre provveduto a verificare se ci fossero le condizioni perché questi territori potessero rendersi indipendenti, ovvero senza passare da aziende sementiere, con lo specifico obiettivo di valorizzare localmente l'intera filiera pataticola anche nella fase di moltiplicazione di tubero-seme autoctono. Queste verifiche sono state effettuate grazie all'allestimento di due campi localizzati presso due aziende agricole una a Madesimo, SO (1550 m s.l.m.) e una a Romagnese, PV (850 m s.l.m.). In questi campi dimostrativi sono state valutate alcune tecniche agronomiche (copertura delle piante con tunnel antiafidi o agrotessile-TNT) volte a limitare le infezioni da virus. Tali attività hanno inoltre permesso di avviare un ciclo di attività di formazione rivolte ad agricoltori e stakeholders dell'intera filiera pataticola al fine di verificare l'importanza di usare tubero-seme sano. I pataticoltori, infatti, spesso sottovalutano l'importanza di usare tubero-seme certificato e la finalità del progetto è proprio quella di aumentare la consapevolezza che l'utilizzo di tuberi, ad esempio, a bassissima infezione virale, significa maggiore resa ad ettaro e quindi maggior guadagno per l'azienda agricola

 
 
 
 

Maria Valentina Lasorella, Daniela Pacifico e Bruno Parisi
CREA

 
 

PianetaPSR numero 116 settembre 2022