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Milano Wine Week, l'indagine Ismea sulle prospettive post pandemia

Un'analisi della situazione del comparto e delle esigenze per il futuro.

Si è chiusa il 16 ottobre la quinta edizione della Milano Wine Week, manifestazione a carattere non fieristico che punta alla diffusione della cultura del vino sia verso un pubblico qualificato e di operatori che he al consumatore finale. La kermesse ha tenuto banco nei più noti quartieri della città, con il ritorno dello storico quartier generale da Palazzo Bovara, polo di riferimento nell'ambito business, a cui si affianca Palazzo Serbelloni, che ha accolto le principali iniziative rivolte al pubblico di consumatori. Palazzo Serbelloni è stata anche sede di "Casa Mipaaf", lo spazio dedicato da Milano Wine Week al Ministero delle Politiche Agricole, che tra le numerose attività ha ospitato Ismea per parlare dei "numeri" che delineano l'attuale situazione del vino italiano.  

È stata quindi l'occasione per Ismea di toccare alcuni degli aspetti che caratterizzano uno dei settori di chiave dell'agroalimentare italiano: rappresenta infatti il 10% dell'intero fatturato agroalimentare ed il 14% dell'export del comparto. 

Numeri di tutto rispetto che conferiscono al settore prestigio, ma anche una responsabilità, visto che l'Italia è sempre più leader mondiale nella produzione mentre sul fronte del commercio con l'estero si posiziona seconda in valore, dietro la Francia, e seconda in volume dietro la Spagna. Statisticamente, quindi, la leadership produttiva è un'altra medaglia, ma praticamente questo cosa comporta?

La questione del valore

Poco o nulla sembrerebbe, perché il problema vero resta il mercato e la capacità di creare valore, o meglio di aumentare il valore delle produzioni nostrane. Da considerare che l'Italia resta ancora molto lontano dalla Francia in termini di valore delle esportazioni, 8 euro al litro in media per il vino francese a fronte dei 4 di quello italiano.  Su questo aspetto molti si stanno già interrogando da tempo e ci si chiede se non fare una seria riflessione sulla possibilità di adottare scelte vendemmiali che limitino i volumi. Da una parte quindi c'è da elaborare una strategia commerciale di medio termine che possa permettere all'Italia di guadagnare spazio nelle fasce più alte di mercato, soprattutto in quelli esteri, e dall'altra su politiche di contenimento delle produzioni. 

Tutto questo in un momento tutt'altro che facile, che vede il settore vinicolo affrontare, al pari dell'intero mondo produttivo, aumenti dei costi fuori controllo, ai quali si aggiungono anche temi più specifici, come la difesa del prodotto dai costanti attacchi che vogliono demonizzare il vino come fosse un prodotto di per sé dannoso alla salute, senza fare alcuna distinzione tra l'uso moderato del come alimento durante i pasti e l'abuso di sostanze alcoliche. C'è poi tutta la partita della sostenibilità che il vino sta affrontando già da tempo ma che richiede tempo e investimenti.

I mercati del vino

Quello del vino italiano è quindi un settore sicuramente solido e trainante dell'agroalimentare italiano che, però, non può permettersi di cullarsi sugli allori, ma anzi deve impegnarsi a restare al passo con i tempi e farsi trovare pronto rispetto ad un mercato che cambia molto rapidamente. Un mercato che, peraltro, presenta molte sfaccettature. Da tempo, infatti, non si parla più del mercato del vino, ma dei mercati del vino. 

I vini comuni subiscono la pressione dei Paesi competitor e hanno una variabilità dei listini molto elevata, mentre i vini DOP risultano più stabili o quantomeno con una variabilità mediamente più bassa dei vini comuni. All'interno dei vini DOP, peraltro, ogni vino ha un mercato e un comportamento a sé. 
La domanda, interna, dopo una lunga fase di contrazione, è tornato a stabilizzarsi. Nel frattempo, però, sono mutati gli stili di vita e di consumo, portando a radicali cambiamenti nel paniere della domanda, sempre più orientata al segmento dei vini IG con un ridimensionamento dei vini comuni che restano, pur sempre, una fetta importante dei consumi, soprattutto nella fascia daily.

Situazione complessa e allo stesso tempo affascinante quella del vino, quindi, che merita approfondimenti per far sì che il primato produttivo diventi anche primato nel valore, il tutto in un contesto esterno non certo facile, tenendo conto che si esce da due anni estremamente difficili a causa del Covid 19, che ha per certi versi cambiato i paradigmi commerciali e che ha dato un'accelerazione fortissima al digitale in generale e all'e-commerce in particolare.

L'indagine Ismea

Nell'evento della Milano Wine Week, Ismea ha ripresentato anche i risultati di un'indagine su oltre 300 aziende italiane del settore vino [1], fatta in periodo di crisi sanitaria dalla quale emergono delle esigenze che restano assolutamente attuali. 

L'emergenza sanitaria ha per certi versi dato un input importante alle aziende per mettere in evidenza soprattutto i punti di debolezza della propria organizzazione e le ha un po' costrette a fare i conti con sé stesse visto che, purtroppo, il passaggio dall'emergenza sanitaria a quella attuale è stato senza soluzione di continuità. 
Andando ad indagare su quali fossero i principali punti di debolezza delle imprese intervistate prima dell'avvio della pandemia, è emerso come la inadeguatezza della propria struttura commerciale risultasse il fattore maggiormente limitante per lo sviluppo della loro competitività. Altri due fattori che sono considerati una grave debolezza dalle imprese, a prescindere dall'attuale crisi, sono la scarsa attività di comunicazione e vini poco riconosciuti dalla critica enologica. Due fattori che, in qualche misura, possono essere tra loro legati. Come pure sono risultati limiti rilevanti per le imprese del vino indagate la concentrazione in un unico canale distributivo e la sostanziale carenza di risorse umane.

Il ruolo della formazione e delle competenze e le scelte di mercato

Se i momenti di difficoltà sono quelli che costringono ad adottare soluzioni innovative, cresce anche la sensazione di incertezza stressata del fatto che l'attuale crisi economica ha reso più complesso il ventaglio dei possibili scenari per il mercato del vino. 

Riuscire a leggere le dinamiche dei mercati, compresi quello del vino, da alcuni anni rappresenta una delle attività più complesse per gli stakeholder del settore. Le ragioni di tale complessità sono numerose, ma si possono sintetizzare in due principali fattori:

  • la velocità con cui oggi si modificano i mercati rispetto al passato;
  • la straordinaria eterogeneità dei mercati sia tra di loro che all'interno di essi (una segmentazione sempre più vasta).

Bisogna quindi rispondere con lucidità ed efficienza a questa realtà che va così veloce e superare anche alcuni dei limiti strutturali descritti. Volendo riassumere le cose da fare si potrebbe partire sicuramente dalla formazione: mai come oggi è centrale il tema della competenza. Dopo decenni di centralità sul prodotto, oggi è fondamentale entrare nella fase della centralità delle competenze, che consentiranno quell'indispensabile evoluzione dell'imprenditorialità nel settore vitivinicolo italiano. Tra le competenze chiave ci sono sicuramente quelle relative alla digital transformation. Per migliorare le performance è necessario soprattutto aumentare la capacità di analisi della propria azienda e di investire nell'analisi dei mercati e dei consumatori. Sono ancora molti gli imprenditori del vino italiani che definiscono le proprie strategie attraverso l'intuito e non attraverso analisi dettagliate e questo potrebbe non esser più una carta vincente. In quest'ottica si dovrebbe analizzare anche i gusti dei consumatori rispetto a nuovo prodotti, quali il vino a basso tenore alcolico ad esempio, o i nuovi packaging anche in relazione all'aumento del costo delle bottiglie. 

Un'altra barriera caduta negli ultimi due anni e poi quella delle "ideologie" sui canali di distribuzione.  Le aziende, infatti, sono state costrette a rivedere le proprie strategie distributive con un atteggiamento molto più aperto capace di interpretare al meglio le possibili alternative. A soffrire di più durante il lockdown sono state infatti le aziende che vendevano quasi esclusivamente all'Horeca. 
Sono quindi molti gli aspetti da migliorare, con l'obiettivo di affrontare questa crisi, così complessa e unica nel suo genere, come un'opportunità di cambiamento e innovazione che possa accompagnare il settore ad essere ancora più competitivo in un'ottica di sostenibilità e qualità.

 
 
 

Note

 
 

Tiziana Sarnari
Ismea

 
 

PianetaPSR numero 117 ottobre 2022