Nel corso degli ultimi tre anni (2020-2022) abbiamo dovuto affrontare emergenze sanitarie e geopolitiche, con impatti finanziari e sull'economia reale che hanno generato incertezza e preoccupazioni su ampie fasce della popolazione. Il rimbalzo dell'economia post Covid aveva determinato una congestione della logistica, con conseguente aumento dei relativi costi, la carenza di alcuni prodotti e la tensione sui prezzi delle materie prime e semilavorati industriali. Quando nei mesi a cavallo tra la fine del 2021 e l'inizio del 2022 sembrava che il Covid-19 e le sue conseguenze fossero ormai, tutto sommato, sotto controllo, l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022 ha determinato l'entrata in gioco di nuove variabili che hanno avuto grande impatto sull'economia mondiale, con particolare riferimento alla crisi energetica e al forte incremento dei prezzi del gas.
Tuttavia, a fine anno si è registrata una graduale decelerazione delle spinte inflazionistiche, innescata dal calo dei prezzi dei prodotti energetici e da una politica monetaria restrittiva nei principali paesi[1]. In particolare, la quotazione del Brent ha continuato a diminuire a fine anno (80,9 dollari al barile a dicembre, 99,8 la media del 2022) mentre i listini del gas naturale europeo sono rimasti sui 36 $/mmbtu[2], valore comunque decisamente inferiore a quelli dei mesi estivi (con il massimo di 70 $/mmbtu raggiunto ad agosto). A gennaio 2023 si è invece registrato un netto ulteriore calo, con il prezzo che è sceso a 20 $/mmbtu. I listini delle commodity agricole, misurati dall'indice FAO, dopo gli aumenti di inizio 2022 imputabili a fattori diversi (scarsità di offerta per alcuni prodotti agricoli e aumenti dei costi logistici) e ulteriormente gravati nel corso dell'anno delle conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina, nella seconda metà dell'anno hanno cominciato a ridursi, registrando nel terzo trimestre un calo congiunturale (-12% rispetto al secondo trimestre), confermato anche nell'ultimo trimestre del 2022 (-2,8% sul trimestre precedente); è importante sottolineare tuttavia che le quotazioni restano ben al di sopra rispetto a quelle medie degli anni 2020, 2019 e precedenti.
Facendo particolare riferimento ai cereali e semi oleosi, anche i mercati nazionali nel 2022 sono stati spinti dalle dinamiche internazionali. Tuttavia, a fine anno i prezzi all'origine hanno evidenziato una tendenza flessiva, dopo i picchi raggiunti la primavera dello scorso anno. In particolare, il prezzo del frumento duro si è attestato a 414,53 euro/t a febbraio 2023, in flessione del 16,5% rispetto marzo 2022 mantenendosi, tuttavia, più elevato del 16% rispetto al prezzo medio del 2021. Per tale prodotto, il conflitto non ha alcuna connessione diretta in ragione del fatto che produzione ed esportazione mondiale sono influenzate dal Canada, che nel 2021 ha perso il 54% dei propri raccolti, spingendo quindi al rialzo i prezzi. Nel caso del frumento tenero, invece, la possibile indisponibilità per i mercati mondiali di circa il 30% della produzione russa e ucraina destinata all'export, aveva ulteriormente impattato sui mercati internazionali spingendo in Italia le quotazioni sfiorare 410 euro/t a maggio 2022.
A febbraio 2023, i prezzi si sono ridimensionati scendendo a 324,47 euro/t, ovvero il 17% in meno rispetto a inizio conflitto. A determinare la graduale flessione dei listini è stato soprattutto l'accordo che ha consentito il passaggio delle navi con produzione russa e ucraina attraverso il Mar Nero. È da considerare anche l'impatto dei fondamentali sui mercati internazionali; per la campagna 2022/23, viene indicato un livello record dei raccolti a 796 milioni di tonnellate nel 2022, che a fronte di una lieve crescita della domanda, consentirebbe un incremento anche delle scorte finali. Anche il mercato del mais ha risentito della guerra tra Russia e Ucraina, in considerazione soprattutto del fatto che l'Ucraina soddisfa circa il 13% delle richieste globali configurandosi come il terzo esportatore, dopo Usa e Argentina. Il prezzo della granella di mais è sceso dal record di 382,05 euro/t di marzo 2022 a 310,13 euro/t a febbraio 2023 (-19%), mantenendosi comunque su un livello di prezzo più elevato del 22% rispetto al valore medio del 2021. Con riferimento ai prodotti proteici a destinazione mangimistico-zootecnica, è da segnalare anche l'incremento del prezzo della soia (554,83 euro/t a febbraio 2023, cioè il 20% più basso rispetto marzo 2022), per la quale l'Italia importa in media il 70% del fabbisogno nazionale. I principali paesi di provenienza sono Brasile (il 58% dei volumi complessivi nel 2022), Canada (il 17%), USA (il 13%) e anche Ucraina, che ha soddisfatto le nostre richieste all'estero nella misura di solo il 4%; è da rilevare che il ruolo del paese nello scenario produttivo e commerciale internazionale è del tutto marginale rappresentando solo l'1% sia dei raccolti che dell'export di soia.
I flussi di approvvigionamento nazionale delle materie prime da Russia e Ucraina non hanno evidenziato i temuti sconvolgimenti; se i flussi di prodotti di provenienza russa, ancorché limitati, hanno effettivamente fatto registrare un rallentamento sensibile, i flussi di provenienza ucraina hanno molto spesso evidenziato degli importanti segni positivi. Più in dettaglio, le importazioni nazionali di prodotti agroalimentari dalla Russia sono aumentate del 2,6% in valore sul 2021 attestandosi a poco più di 229 milioni di euro (dato parziale riferito al periodo gennaio-novembre), pari allo 0,4% dell'import totale, ma la crescita è da attribuire in larga misura ai maggiori prezzi per la generalizzata spinta inflattiva, essendosi ridotti i volumi per i prodotti importati più importanti.
I fabbisogni nazionali soddisfatti dalle importazioni dalla Russia sono rilevanti solo per i panelli di estrazione di olio di girasole (il 20% dell'import totale nel 2022 sia in volume che in valore), di cui nel 2022 si rileva una riduzione del 23,5% in volume (a 133 mila tonnellate) e del 17,8% in valore (a 40 milioni di euro). Tra gli altri prodotti di provenienza russa, sono da evidenziare il frumento tenero e frumento duro che tuttavia sono molto limitate e pari, rispettivamente, a circa l'1% e 2% dei volumi complessivi delle forniture dall'estero; nel 2022 le provenienze dalla Russia si sono ridotte sia per il frumento tenero (-46% in volume e -32% in valore) sia per il frumento duro (-46% in volume e -27,6% in valore). Sempre nel 2022, le importazioni italiane di prodotti agroalimentari dall'Ucraina, contrariamente alle attese, sono cresciute in misura consistente per un valore pari a 899 milioni di euro (+72%) con aumenti dei volumi per i prodotti principali. L'Ucraina è il primo fornitore dell'Italia di olio greggio di girasole, continuando a rappresentare, anche nel 2022, il 43% dei volumi complessivamente importati dall'Italia; le richieste nazionali dall'Ucraina sono cresciute nel 2022 dell'11,3% in volume (a 237 mila tonnellate) e del 48,8% in valore (a 348 milioni di euro). L'Ucraina è anche, dopo l'Ungheria, il secondo fornitore di mais dell'Italia, soddisfacendo nel 2022 il 17% in volume delle richieste all'estero; anche in questo caso, nel 2022, le provenienze dall'Ucraina sono quasi raddoppiate rispetto al 2021 oltrepassando 1 milione di tonnellate (+79,6% sul 2021) per un valore superiore a 325 milioni di euro.
Cosimo Montanaro
PianetaPSR numero 122 marzo 2023