PianetaPSR
GREEN ECONOMY/1

Chilometro zero per quattro stagioni

Sara Paraluppi di Campagna amica replica alle critiche a questa formula che punta a valorizzare il territorio: vantaggi per l'ambiente e per i consumatori prodotti meno cari e più salubri
Sara Paraluppi

La formula della vendita a km0 sta prendendo sempre più piede in Italia, accostata di volta in volta alla spesa della famiglia, al ristorante o alla mensa di turno. Eppure, se è abbastanza facile comprendere il fatto che più un alimento viaggia, più energia consuma, non sono mancate negli ultimi anni alcune voci critiche di qualche economista (rilanciate anche da uno studio del Defra, il Ministero dell'ambiente e agricoltura britannico), che mettono in dubbio  il fatto che misurare i "chilometri percorsi" (i food miles) possa essere l'indice per valutare l'impatto ambientale di un prodotto.
In breve, le motivazioni addotte riguardano il fatto che la maggior parte dell'energia viene impiegata per la coltura, che occorre tenere in considerazione il rapporto tra  consumo del carburante e peso del carico (e che quindi una grande nave da carico consumerebbe, secondo i difensori di questa tesi, meno rispetto ai tanti furgoni e furgoncini utilizzati per piccole quantità di prodotti) o che il compratore  a sua volta consuma meno energia facendo la spesa in modo centralizzato nei grandi supermercati piuttosto che spostandosi da un negozietto all'altro. 
La realtà è molto più articolata. I numerosi sostenitori del km zero, dal canto loro, sottolineano, oltre ai benefici ambientali, la valorizzazione dei prodotti tipici e del territorio, la maggior salubrità ed anche un possibile risparmio delle famiglie, che in questo tempo di grave crisi economica non è una variabile di poco conto. Una recente stima della Coldiretti valuta in 100 euro al mese il risparmio, su un acquisto medio di 467 euro, per le famiglie che fanno acquisti con il km zero. Ne abbiamo parlato con Sara Paraluppi, coordinatrice di "Campagna amica" della Coldiretti. 
"La storia delle navi la conosco - esordisce Paraluppi - ma ci sono mille motivi per preferire l'acquisto a km zero. Ammesso e non concesso che il discorso sul rapporto consumo carburante/peso del carico sia valido, ci sono tante altre variabili da mettere in conto. Bisogna considerare che questi alimenti devono viaggiare refrigerati: quanto consumano le celle? Parliamo in molti casi di prodotti provenienti dall'Australia, dal Cile, dal Brasile, che fanno 20/30 giorni di stiva, percorrendo migliaia di chilometri. Per non parlare dei conservanti adoperati, di cui spesso non siamo a conoscenza. Arrivati poi a destinazione passano altri dieci giorni prima che arrivino al supermercato. Ecco cosa dobbiamo comparare: tutto questo percorso appena descritto, con un prodotto stagionale, arrivato ad una maturazione fisiologica; e se lo acquisto da un agricoltore (per questo il discorso km zero va accostato a quello della vendita diretta) so che è stato raccolto al giusto grado di maturazione: troverò un prodotto con più gusto, più vitamine, e ne acquisterò sicuramente in salute".

E sul reale risparmio per i consumatori?
La stima che indica, in caso di acquisti a km zero,  un risparmio medio del 20% sulla spesa media mensile per alimenti di una famiglia è reale. Ma se devo dire il motivo per cui le famiglie tornano a fare spesa nei nostri mercati di Campagna amica è soprattutto per la qualità, per il gusto. Forse in questo senso un aneddoto può servire a spiegare meglio il tutto. Molti anni fa, quando ancora l'esperienza della vendita diretta muoveva i primi passi, a Bologna nacquero dei punti vendita gestiti dalle mogli di alcuni imprenditori agricoli. Le signore andavano a chiedere le zucchine in pieno inverno, al che gli agricoltori rispondevano che quel tipo di ortaggio non era di stagione, che forse le avrebbero trovate di serra o provenienti da chissà dove, e a un prezzo sicuramente alto, ma che quel giorno avrebbero potuto preparare un primo piatto meraviglioso con il broccolo. Il giorno dopo le signore venivano a ringraziare. Ecco, da qui bisogna partire, e dall'accorciamento della filiera.

E i vantaggi per gli agricoltori?
Basti pensare al fatto che oggi, su un euro speso dal consumatore, 60 centesimi vanno alla Gdo, solo 17 all'agricoltore e il rimanente al resto del comparto industriale. Il prezzo non viene fatto naturalmente dagli agricoltori, ma dalla grande distribuzione. E, tornando al discorso di prima, se sono un produttore di pesche, per darle alla grande distribuzione dovrò coglierle quasi acerbe, mentre in un mercato di vendita diretta potrò aspettare che abbiano raggiunto il giusto grado di maturazione.

Cosa si può fare per allargare la platea dei consumatori?
Bisogna puntare sull'educazione alimentare. Le cose possono cambiare se cominciamo a pensare in maniera diversa. Le campagne educative nelle scuole, che puntano a far apprezzare la tipicità e la stagionalità dei prodotti ai ragazzi, associandole anche alla cultura enogastronomica,  sono fondamentali. Se infine vogliamo parlare di indotto, ma anche di rapporto rurale-urbano, bisogna dare atto a quelle regioni che hanno introdotto i prodotti del territorio nelle proprie mense scolastiche, un'operazione di valorizzazione della tipicità e di riscoperta delle tradizioni.

 
 
 

Andrea Festuccia
a.festuccia@ismea.it

 
 

PianetaPSR numero 6 - gennaio 2012