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ECONOMIA & TERRITORIO

Rurali o agroalimentari, la forza dei distretti

Sono 37 le iniziative riconosciute in 11 Regioni per aggregare  aziende locali anche di diversi settori o valorizzare i prodotti di qualità - Un modello sul quale scommette anche la nuova Pac

La pubblicazione della "Disciplina dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualità" ha portato a undici (tabella 1) il numero delle Regioni che hanno recepito le indicazioni del d.leg. n.228/01 che prevede la possibilità di istituire distretti rurali e agroalimentari di qualità.
Il suddetto decreto legislativo da alle Regioni la possibilità di individuare e promuovere distretti rurali e quelli agroalimentari di qualità:
 
 - i primi sono sistemi produttivi caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali;

- per distretto agroalimentare di qualità si intende, invece, un area produttiva caratterizzata da significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agro-alimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche.
 
La definizione di distretto agro-alimentare corrisponde, in linea di massima, a quella di distretto industriale istituito dalla legge n. 317/91 (art. 36 modificato dall'art. 6 della legge n. 114/99), che attribuisce lo stato di distretto ai territori in cui si riscontra:

 
  • una elevata concentrazione di imprese, prevalentemente, di dimensioni medio - piccole;
  • una peculiare organizzazione interna del sistema produttivo;
  • la specializzazione produttiva del sistema di imprese.

Il distretto agroalimentare coinvolge anche le imprese di produzione agricola e ne prevede il riconoscimento solo nel caso in cui il sistema produttivo di riferimento sia incentrato su prodotti di qualità riconosciuti dalla normativa comunitaria e nazionale, fortemente radicati al territorio di produzione e che abbiano già dato vita a un processo di relazione e integrazione delle attività produttive.
Del tutto originale è, invece, la definizione di distretto rurale, il cui riconoscimento implica l'integrazione tra attività primarie e altre attività locali, la produzione di beni specifici, la dimensione territoriale omogenea, l'identità storica comune e un contesto produttivo e istituzionale fortemente integrato e interdipendente, tutti elementi difficilmente misurabili e non definibili univocamente. E' certo che il distretto rurale nasce per dare "voce e vita" alle tante realtà rurali italiane lontane dai circuiti produttivi competitivi e che possono contare esclusivamente, quindi, sulle risorse endogene per innescare processi di sviluppo.
La definizione degli elementi organizzativi, delle caratteristiche strutturali, produttive e territoriali è però di assoluta competenza regionale che, nella definizione dei singoli dispositivi hanno dato vita a modelli di riferimento assai eterogenei e a riconoscere sistemi produttivi e territoriali molto differenti tra loro.
I distretti riconosciuti, a norma del d.leg. n.228/01 sono 37 (tabella 2), 22 agroalimentari e 15 rurali.
Il numero dei distretti riconosciuti è in continuo divenire e spesso risulta difficile averne dimensione specifica. Nell'ambito delle attività del GdL "progetti integrati" della RRN è stato creato uno specifico data base che raccoglie le informazioni relative ai distretti agricoli riconosciuti a norma del d.leg.228/01. Le informazioni riportate nell'articolo sono desunte da tale archivio.
Le Regioni che hanno proceduto al riconoscimento dei distretti, hanno variamente definito le caratteristiche di classificazione degli stessi - ci sono, per esempio, distretti florovivaistici classificati come rurali e distretti rurali in cui la specializzazione di filiera è fortissima - e hanno riconosciuto distretti con caratteristiche assai differenti, alcuni sono estremamente specializzati, altri hanno una forte caratterizzazione socio-culturale, altri ancora nascono da esperienze pregresse di progettazione dello sviluppo locale.

La mappa regionale dei distretti rurali e agroalimentari di qualità

 

Gli elementi che hanno portato all'individuazione e al riconoscimento dei distretti sono estremamente differenti, in quanto non esiste ancora una metodologia univoca di identificazione delle caratteristiche distrettuali. Se i distretti rurali toscani nascono per creare occasioni di sviluppo di un territorio delle Province a forte vocazione rurale, nel Lazio così come in Calabria e Lombardia rispondono ad esigenze di sviluppo di un territorio ricco di storia e tradizione.
Per quanto riguarda quelli agroalimentari di qualità, tutti sembrano svilupparsi dal forte radicamento territoriale dell'attività produttiva di riferimento, l'industria delle bevande (vino e acque minerali) nel Vulture; le produzioni ortofrutticole nel Metapontino, nella piana di Sibari, nell'Alessandrino e nella pianura Padana lombarda; il florovivaismo nei distretti del Ponente Ligure, del Lago Maggiore e del lago di Garda, la tradizionale coltura risicola delle Province Piemontesi e lombarde, la specializzazione zootecnica e vitivinicola tipica, rispettivamente, dell'agricoltura lombarda e di quella veneta.
La mappa della distrettualità agricola è ampissima e sicuramente non può prescindere dall'annoverare anche distretti industriali a specializzazione agroalimentare il cui riconoscimento avviene a norma della legge 317/91. Tra questi vanno ricordati, a titolo di esempio, i distretti del prosciutto di Parma e San Daniele, del Parmigiano Reggiano, quello del Pomodoro Padano, della Pasta di Gragnano. In questo caso cambia il riferimento normativo di partenza che tende a privilegiare le interrelazioni degli attori del settore alimentare e a coinvolgere marginalmente gli agricoltori in senso stretto.
Il modello organizzativo: la chiave di successo del distretto
Tra le numerose differenze che presentano i vari distretti riconosciuti, la più importante riguarda la reale funzionalità del sistema produttivo. Il distretto, infatti, non è un mero "contenitore" di imprese specializzate e cooperanti. Affinché si possa parlare di distretto è necessario che le imprese siano organizzate tra loro; abbiano formalizzato rapporti di collaborazione produttiva e di scambio commerciale secondo regole che sanciscano rapporti di collaborazione; facciano riferimento ad una rete di servizi comune; indirizzino il proprio operato verso un obiettivo comune e condiviso. La letteratura sull'argomento è ampia, il distretto per funzionare deve poter contare sui seguenti elementi:

  1. Le persone. Un sistema territoriale esiste solo nel caso in cui le persone sono soggetti attivi e protagonisti. Si tratta di persone che condividono saperi e cercano relazioni per meglio affrontare le sfide che altrimenti non sarebbero capaci di gestire da sole (in un ottica di competizione-collaborazione). Gli attori sono forti ma mai predominanti, consci della necessità di collaborare per crescere.
  2. Cultura e tradizioni locali, fatte di conflitto e confronto, relazioni sociali e rapporti con l'esterno, di condivisione di problemi e divisione di profitti e nello stesso tempo trovare elementi innovativi entro cui ridefinire la propria identità.
  3. Il fattore tempo. La creazione di un sistema non si improvvisa. I rapporti tra soggetti che spesso hanno interessi differenti non sono mai scontati. E' necessario trovare luoghi e temi di discussioni che possano sviluppare un linguaggio comune, favorire la convergenza degli interessi, permettere la circolazione di idee, conoscenze e informazioni.
  4. Le istituzioni. Il quadro entro cui agisce il sistema deve essere accompagnato da una saggia politica di valorizzazione e sostegno.
  5. Le politiche pubbliche che dovrebbero rispondere in maniera efficace alle esigenze del territorio e degli attori locali ed offrire strumenti (semplici) di intervento.

Il distretto è prima di tutto un luogo ideale dove operatori di varia natura interagiscono tra loro definendo regole flessibili di interazione. 
Organizzare e sviluppare i distretti agroalimentari con la futura politica di sviluppo rurale
Ed è proprio su quest'ultimo elemento che sembra voglia agire la politica di sviluppo rurale post 2013, che con l'art.36 della proposta di regolamento darà la possibilità di intervenire con strumenti integrati anche nelle realtà distrettuali (cluster e reti d'impresa). Come è emerso già in altri articoli di PIANETAPSR, il nuovo regolamento tende a promuovere interventi di sistema che concentrino l'intervento pubblico su specifici fabbisogni e obiettivi di sviluppo produttivo o territoriale.
L'articolo 36 è, per certi versi, il fulcro di tale strategia e in tal senso introduce nella politica di sviluppo locale il concetto di distretto produttivo, finalizzando ad esso una "cassetta degli attrezzi", tutta da definire visto la complessità e varietà di azioni che propone.
In ogni caso l'intervento è finalizzato ad articolarsi su tre elementi chiave:

In realtà, l'art.36 della proposta di regolamento oltre a promuovere il concetto di azione integrata è anche strumento operativo di più articolati interventi sistemici: il Partenariato europeo per l'innovazione (PEI) e il Community-led local development.

  1. Il rafforzamento delle relazioni tra gli attori del sistema produttivo, mettendo a disposizione risorse per l'avviamento e la definizione del partenariato che opera per organizzare e guidare il sistema produttivo.
  2. l'innovazione dei sistemi produttivi favorendo la collaborazione proattiva del sistema della ricerca con quello produttivo;
  3. il rafforzamento dei legami tra sistema produttivo e territorio, favorendo la partecipazione dei principali attori territoriali, pubblici e privati, alla definizione dei processi di sviluppo che, per quanto legati al sistema produttivo, tendono a condizionare le dinamiche socio economiche e che, nello stesso tempo, spesso necessitano della mediazione degli stakeholders di riferimento del territorio.
 
 

Bisognerà partire dai suddetti elementi per creare uno strumento di intervento agevole che risponda ai fabbisogni degli operatori del distretto e nello stesso tempo assicuri l'efficacia dell'intervento pubblico, soprattutto nell'attuale momento di crisi economica che rischia di mettere in ginocchio intere aree a vocazione produttiva agroalimentare.

Serena Tarangioli

 
 
 

PianetaPSR numero 14 - ottobre 2012