Il censimento 2010 ha rilevato l'ormai nota cifra di 1.620.884 aziende agricole in Italia. Un numero certamente alto, se paragonato ad esempio con quello della Francia (516.000), Germania (299.000) o Spagna (989.000). Ma più che soffermarsi su paragoni extra-territoriali che dovrebbero tenere conto anche della diversa struttura delle aziende presenti nei diversi Paesi, uno studio a cura di Andrea Arzeni e Franco Sotte, dal titolo "Imprese e non imprese nell'agricoltura italiana - una analisi sui dati del Censimento Agricoltura 2010, ha cercato di far luce su quelle presenti nel nostro Paese. Come? Distinguendole in base al concetto di "imprenditorialità".
In poche parole, i caratteri qualificanti di un'azienda, per poter esser definita "impresa" vera e propria dovrebbero essere: la dimensione economica (non fisica); l'impegno professionale ad essa dedicato (una certa quantità di giornate/uomo); la proiezione al mercato (non solo autoconsumo ad esempio); la proiezione verso le politiche agricole (e quindi la ricerca del sostegno dell'azione pubblica); l'assunzione del rischio di impresa; l'efficienza e quindi la massimizzazione del profitto; una strategia negli anni; la qualificazione professionale.
E allora quali sono le non-imprese? Ad esempio le aziende rivolte all'autoconsumo, o quelle che operano solo occasionalmente sul mercato, quelle semi-abbandonate o quelle affidate per la coltivazione (spesso con rapporti informali) ad imprese vicine o contoterziste, in maniera passiva. E, ancora, quelle a carattere hobbistico-ricreativo.
E' chiaro che sarebbe stato difficile arrivare a una elaborazione numerica sulla base di questi indicatori, ci voleva una discriminante. Lo studio l'ha trovata nella dimensione economica (standard output), che è data dalla somma delle produzioni standard dei singoli processi aziendali. E in questa ricerca sono considerati "critici" due valori-soglia della dimensione economica: 10.000 e 20.000 euro. Le aziende che non superano la soglia annua dei 10.000 euro sono le non imprese: difficilmente potranno andare oltre l'autoconsumo e, da sole, non hanno futuro di impresa. Ma anche fra i 10.000 e i 20.000 euro siamo in presenza solo di imprese "potenziali", anche se, spesso, con rilevanti funzioni sociali, ambientali, paesaggistiche e culturali: queste vengono chiamate "aziende intermedie". E' sopra la soglia dei 20.000 euro che cominciamo ad essere in presenza delle imprese vere e proprie.
Ebbene: su 1.620.000 aziende solo 310.000 potrebbero considerarsi (in base a questa suddivisione) propriamente imprese: di queste, 84.000 sono le imprese "grandi" (sopra i 100.000 euro) e 226.000 quelle piccole. Insieme, rappresentanto meno del 20% del totale, ma coprono più dell'80% del valore della produzione. A queste vanno aggiunte altre 100.000 aziende intermedie che, adottando una definizione più estensiva, potrebbero aggiungersi alla lista. Le non-imprese (autoconsumo e con attività commerciale) sono 1.086.000. Il resto ricade nelle altre tipologie di aziende intermedie.
Andando più in profondità, si può osservare quanto, in media, "lavorino" e quale sia in termini economici la produzione aziendale di queste realtà: la media totale (imprese, non imprese, aziende intermedie) è di 155 giorni lavorativi annui e 197 euro a giornata. Quelle ad autoconsumo esclusivo o prevalente hanno rispettivamente 53 e 86 giorni/anno lavorativi e 35 e 42 euro a giornata. Le non-imprese con attività commerciale prevalente hanno 71 giorni/anno e 53 euro. Poi ci sono le aziende intermedie (quelle fra i 10.000 e i 20.000 euro di dimensione economica): 213 giornate/anno e 68 euro a giornata.
Si arriva così alle imprese: quelle piccole con 344 giornate/azienda, e che offrono occupazione a più di una persona a tempo pieno, hanno 134 euro a giornata. Quelle grandi, con 784 giornate/azienda, in media offrono lavoro a più di tre persone a tempo pieno, e hanno una produttività di tutto rispetto: 463 euro a giornata.
L'età media passa da più di sessant'anni per le non-imprese a 50,1 per le grandi imprese. Insomma, più aumenta la dimensione economica dell'azienda, più scende l'età dell'imprenditore.
Per quanto riguarda la specializzazione produttiva, è evidente come presso le non-imprese non compaiano praticamente le attività più intensive di lavoro e bisognose di cure costanti nel corso dell'anno (ortofloricoltura e zootecnia in particolare), mentre molto presenti sono le colture permanenti come vigneti e oliveti. Più si va verso la grande impresa, più aumentano le specializzazioni ortofloricole e zootecniche. Nelle imprese, invece, sono sottorappresentate le specializzazioni nella cerealicoltura e nella policoltura, sintomo di un atteggiamento imprenditoriale che mira a ordinamenti produttivi specializzati.
Capitolo diversificazione: sia le attività remunerative connesse come agriturismi, produzione di energie rinnovabili, fattori didattiche ecc., che il contoterzismo attivo crescono notevolmente passando dalle non-imprese alle imprese. Tuttavia, a testimonianza di come realmente queste attività possano dirsi "integrative", la loro presenza è rilevante anche nelle aziende intermedie (10-20.000 euro).
Sul sostegno pubblico, la media dell'incidenza dei pagamenti diretti sui ricavi lordi aziendali è del 29,2%: per le non-imprese arriva al 39,1%, per le grandi imprese scende al 12,7%. Per finire, un excursus panoramico sulla disposizione geografica delle aziende, che è molto significativo: il 60% delle aziende rilevate dal censimento è concentrato nel Sud e nelle isole, che però hanno il 48% in termini di Sau e il 34% in termini di Produzione standard. Secondo lo studio, è nel sud che le non-imprese sarebbero prevalenti (76,4%), mentre le imprese vere e proprie coprono solo l'11,5%. Nel Centro le non imprese sarebbero il 70,6% e le imprese il 16,4%. Al Nord Ovest le non imprese il 46,6% e le imprese il 36,3. Al Nord est le non-imprese il 51,6% e le imprese il 31,7%.
Lo studio si chiude analizzando la possibilità, anche per le non-imprese di evolvere in impresa, in presenza soprattutto di servizi specifici e politiche volte all'aggregazione. E poi il riconoscimento del ruolo di protagoniste dell'integrazione rurale e del riallaccio di rapporti diretti con l'agricoltura anche da parte di soggetti extra-agricoli. Inoltre, la possibilità di evolversi in imprese vere e proprie viene riconosciuta a tutte le aziende intermedie come assolutamente possibile, escludendo quelle di fatto "disattivate".
Andrea Festuccia
PianetaPSR numero 20 - aprile 2013