Il contributo dell'agricoltura al Prodotto Interno Lordo (PIL) Europeo può sembrare debole rispetto ad altri settori, ma la produzione agricola, nel suo insieme, rappresenta la principale fonte di reddito per circa il 20% della popolazione che vive in zone prevalentemente rurali. D'altro canto, l'importanza del settore agricolo non si può però misurare solo in termini di contributo al valore della produzione perché le produzioni primarie sono fondamentali per la sicurezza alimentare dell'Europa.
Inoltre il settore primario racchiude conoscenze, pratiche e relazioni che costituiscono il fondamento dell'identità dei territori e quindi sono alla base della coesione sociale.
Non serve invece motivare il ruolo del settore per la preservazione dell'ambiente.
Nonostante ciò si tratta di un settore che attrae poco chi si offre sul mercato del lavoro.
Il progetto di ricerca "l'attrattività dei mestieri dell'agricoltura: nuova occupazione e inclusione sociale" coordinato dall'ALPA cui l'INEA ha partecipato come partner e finanziato dall'Unione Europea,
Salari orari medi per qualifica e genere. Anno 2010
si è proposto di evidenziare quali sono le criticità e le opportunità sulla quali si può intervenire per migliorare l'attrattività del settore in riferimento in particolare ai tre aspetti:
Dai dati emerge un quadro europeo con luci e ombre:
Salari orari medi per regione. Anno 2010
Nell'ambito di questo progetto, l'INEA si è occupato in particolare dell'equità di genere in riferimento al contesto italiano. Secondo i dati Istat gli occupati in agricoltura nel 2010 sono circa 900.000, ma la quota femminile rappresenta solamente il 29% del totale degli occupati. Tuttavia nelle aziende agricole nazionali, caratterizzate prevalentemente da una conduzione familiare, la presenza delle donne ha un peso di maggiore rilievo (circa il 43%). Inoltre, la partecipazione a volte informale dei familiari rende difficile valutare con precisone il ruolo delle donne nell'agricoltura italiana. Infatti le donne spesso appaiono come coadiuvanti dell'azienda, ma in realtà hanno una ruolo di conduzione.
Accade anche il contrario, cioè figurano come responsabili giuridici mentre sono solo prestanome dell'attività del marito e dei due aspetti è difficile capire quello prevalente. È quindi possibile che a livello aziendale l'attività della donna rimanga sottostimata nonché sotto-remunerata così come sembrerebbe avvenire nell'insieme dell'economia[1].
La discriminazione non riguarda l'aspetto normativo, infatti la legge tutela i lavoratori senza distinzione di genere in tutti i settori come in agricoltura e, rispetto a quest'ultimo, tenendo conto delle sue specificità, accanto ai lavoratori indipendenti prevede un certo numero di contratti, a tempo indeterminato, determinato e su base stagionale, che vedono coinvolti diverse categorie di lavoratori: dirigenti, quadri, impiegati e in via principale lavoratori più o meno specializzati.
L'analisi ha riguardato i salari percepiti dai dipendenti ed è stata condotta attraverso le informazioni raccolte dall'indagine campionaria RICA (Rete di informazione contabile agricola). La RICA, istituita con Regolamento (CEE) n. 79/65 e in Italia gestita dall'INEA, è uno strumento comunitario finalizzato a monitorare la situazione economica delle aziende agricole professionali. Ogni anno la RICA fornisce i dati di un campione rappresentativo di aziende agricole professionali, caratterizzate da una dimensione economia superiore a 4.000 euro di produzione standard.
I dati raccolti sono molteplici, sia di natura economica e finanziaria, che fisica, strutturale e a carattere sociale. Nella banca dati sono registrate anche informazioni relative agli addetti presenti nelle aziende agricole e al costo del lavoro che queste sostengono per i propri dipendenti, consentendo così un'analisi dei salari per sesso.
In particolare, le informazioni raccolte hanno consentito la distinzione per genere dei salari percepiti dai dipendenti a tempo indeterminato e dei salari percepiti dai dipendenti con contratto non a tempo indeterminato: ovvero quelli a tempo determinato e con contratto di collaborazione (CO.CO.CO.). Restano esclusi i lavoratori avventizi per i quali non è possibile la distinzione per genere.
L'analisi è stata condotta sul campione RICA 2010 che è risultato composto da 2.282 dipendenti dei quali l'86% rappresentato da forza lavoro di genere maschile, da cui si rileva subito la prevalenza numerica degli uomini rispetto all'occupazione femminile. Secondo i dati RICA risulta una sostanziale equivalenza di remunerazione tra uomini e donne.
Entrambi i generi sono prevalentemente occupati con la qualifica di operaio comune, per la quale risulta un compenso orario pari a 8 euro sia per gli uomini che per le donne. Anche i salari relativi ai braccianti, gli operai qualificati e agli operai specializzati, occupazioni prevalenti nel genere maschile, risultano di pari importo: rispettivamente 7, 9 e 10 euro/ora. Al contrario le donne prevalgono per numerosità nei lavori di impiegato semplice e di concetto, qualifiche per le quali anche in questi casi i salari, rispettivamente di 11 e 13 euro, si equivalgono nei due i generi. In relazione alle altre qualifiche, le differenze di importo risultanti tra i due generi non sono valutabili data la bassa numerosità di dipendenti appartenenti alle categorie.
I risultati sono compatibili con quanto emerge nella citata pubblicazione della Commissione Europea (vedi nota 1) che mette in evidenza come il divario appaia meno rilevante dove i tassi di partecipazione femminile sono più bassi (come ad esempio in Italia, Malta, la Polonia o Romania) mentre è maggiore nei Paesi con elevati tassi di partecipazione delle donne al mercato del lavoro (come la Germania, la Paesi Bassi, Austria, Finlandia e Regno Unito). Evidentemente nei Paesi dove il mercato del lavoro è più femminilizzato, le donne trovano più facilmente occupazione, ma sono impiegate in settori o mansioni meno pagate. Inoltre, a causa della mancanza di servizi alle famiglie le donne ricorrono più diffusamente al part-time aggravando la propria fragilità economica.
In effetti l'analisi condotta sui dati RICA non evidenzia discriminazioni di genere, e il salario medio è lo stesso a parità di mansioni, ma la presenza delle donne è inferiore in questo settore come negli altri.
Inoltre, va anche considerato che i dati RICA si riferiscono a realtà produttive regolari, mentre la probabilità di discriminazioni a carico delle categorie più deboli, soprattutto gli immigrati extracomunitari, sono più elevate all'interno dei contesti non regolari dove, però, sfuggono alle statistiche.
In quei contesti anche il lavoro regolare trova un trattamento peggiore e, in effetti, l'analisi dei dati Rica mette in evidenza differenze salariali tra le diverse regioni proprio a carico dell'area meridionale che presenta realtà economiche più deboli perché meno capitalizzate e dunque meno produttive, nonché con un più elevato tasso di irregolarità (vedi figura 1), ma sembrerebbe riguardare maschi e femmine indistintamente.
In conclusione per rendere più appetibili il settore agricolo per le donne come per i giovani serve investire in formazione e professionalizzazione, garantire tutele contributive e previdenziali, nonché mettere in campo un impegno serio nella lotta al sommerso. Inoltre per permettere alle donne una maggiore partecipazione al mercato del lavoro è indispensabile potenziare i servizi alle famiglie e in particolare l'assistenza agli anziani e ai bambini, particolarmente nei contesti rurali.
Una risposta alla carenza di servizi alle famiglie sta emergendo all'interno dello stesso settore con le esperienze degli agri-nido che rappresentano una possibilità di diversificazione per le aziende e un accrescimento dell'offerta di servizi in aree marginali. Pertanto, lo sviluppo dell'agricoltura sociale con la sua offerta di nuovi servizi a vantaggio di soggetti deboli potrebbe costituire uno strumento di contrasto tanto della disoccupazione quanto dello spopolamento delle aree rurali.
Simonetta De Leo - Maria Carmela Macri
PianetaPSR numero 25 - ottobre 2013