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FILIERE CORTE
 

Prodotti locali in cerca di strategie commerciali

Bruxelles avvia il dibattito su un sistema di etichettatura mirata a valorizzare qualità e sostenibilità ambientale del cibo locale - In Italia sono 270mila le aziende agricole con vendita diretta

La Commissione europea ha aperto il dibattito sulla possibilità di introdurre uno strumento di etichettatura UE del "cibo locale" con una relazione e un documento di lavoro pubblicati lo scorso 6 dicembre. Un atto dovuto, visto che all'art. 55 del reg. (UE) n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari è stabilito che entro il 4 gennaio 2014 la Commissione presenta «una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'opportunità di istituire un nuovo regime di etichettatura relativo all'agricoltura locale e alla vendita diretta al fine di assistere i produttori nella commercializzazione dei loro prodotti a livello locale».

 

Tale relazione, si legge nell'articolo, «si concentra sulla capacità degli agricoltori di conferire valore aggiunto ai loro prodotti grazie alla nuova etichetta e dovrebbe tenere conto di altri criteri, tra cui le possibilità di ridurre le emissioni di carbonio e i rifiuti», tramite filiere corte di produzione e distribuzione.
Il ritorno alla filiera corta, a un passato in cui, in assenza di conoscenze e strumenti idonei alla conservazione dei cibi, la circolazione degli alimenti avveniva essenzialmente in un ristretto ambito territoriale, non è solo una moda, in un momento in cui la crisi economica ha indebolito prima di tutto la capacità di acquisto delle famiglie. Se, da un lato, questa forma di commercializzazione in tutte le sue declinazioni - farmers' market, consegne settimanali di cassette di prodotti alle famiglie (box schemes), vendite attraverso i Gruppi di acquisto solidale (GAS) e i Gruppi organizzati di distribuzione (GODO), raccolta dei prodotti direttamente nei campi (pick-your-own), distributori automatici di latte crudo, forniture al circuito Ho.Re.Ca (hotel, ristoranti, alberghi) e alle cooperative di consumo, nuove modalità di associazione fra produttori e consumatori (Community Supported Agricolture) - diventa uno strumento di sostegno del consumo alimentare, oltre che una risposta alla crescente domanda di prodotti agroalimentari naturali e di qualità elevata, dall'altro consente all'agricoltore, solitamente anello debole della filiera, di riappropriarsi del suo ruolo attivo nel «sistema» del cibo, con l'attribuzione del giusto prezzo per le sue produzioni e la garanzia di sbocchi di mercato.
La domanda di prodotti agricoli tipici, stagionali, locali e di qualità è crescente in Europa ed è spesso accompagnata da aspettative ambientali, climatiche e sociali, in quanto le filiere corte locali con produzioni stagionali e che utilizzano metodi di produzione a basso impatto ambientale contribuiscono alla riduzione di emissioni inquinanti e del fenomeno dello spreco del cibo. Per questi motivi la Commissione ritiene necessario che i prodotti delle filiere corte e la vendita diretta siano identificabili attraverso segni distintivi dell'UE (termini, etichettatura, logo).
Secondo la relazione della Commissione, un regime di etichettatura volontaria potrebbe essere uno strumento utile per tutelare le produzioni locali e fornire informazioni in merito, ma dovrebbe essere di semplice utilizzo per i produttori e di immediata comprensione per i consumatori. Tuttavia, ci si sofferma sul fatto che limitare un regime di etichettatura unicamente alla filiera corta potrebbe avere un impatto molto limitato, visto che la vendita diretta già implica una stretta relazione tra produttore e consumatore perché non ci sono altri intermediari.

 

Aziende agricole con vendita diretta al consumatore per regione e tipologia di vendita

Fonte: elaborazioni INEA su dati ISTAT, Censimento Agricoltura, 2010.

Sebbene lo sviluppo della vendita diretta, delle filiere corte e dei mercati locali sia supportato dalla politica di sviluppo rurale in tutta la UE - attraverso il sostegno agli investimenti, la formazione, certe forme di organizzazione, l'approccio LEADER - e rappresenti una priorità di sviluppo nella nuova programmazione per il periodo 2014-2020 con una serie di strumenti specifici e innovativi,  esistono ampie disparità tra Stati membri (e tra Regioni) sull'attuazione delle misure dedicate ed attualmente sussistono diversità nell'implementazione e consolidamento di queste forme di vendita locali, probabilmente dovuti alle differenze, a livello nazionale e regionale, sia sul piano culturale, sia in termini di canali di distribuzione e di struttura delle aziende agricole.
In alcuni casi, le politiche pubbliche tendono a favorire le aziende agricole più grandi e le filiere convenzionali e l'approccio degli agricoltori verso forme di filiera corta è reso difficoltoso non solo dall'assenza di risorse finanziarie e dalla mancanza di infrastrutture, ma anche da ulteriori elementi quali l'età avanzata, la mancanza di conoscenze e competenze, lo scarso interesse a scegliere nuovi canali di vendita di cui non se ne comprendono le dinamiche.
La Commissione ha dunque chiamato le istituzioni comunitarie e nazionali a riflettere sulle politiche esistenti e sulla loro efficacia nell'assicurare lo sviluppo e la promozione dell'agricoltura locale e della vendita diretta, proponendo alcuni temi di discussione: l'inadeguatezza e/o l'incoerente attuazione degli strumenti introdotti nell'UE a sostegno dell'agricoltura locale e della vendita diretta; la pluralità di forme di certificazione nazionali e regionali a sostegno dell'agricoltura locale; la necessità di adottare un regime di etichettatura che non sia oneroso per gli agricoltori e che possa offrire sufficienti garanzie ai consumatori; l'esistenza di norme ostative in materia di igiene e di appalti pubblici, soprattutto per le produzioni su piccola scala

Proprio la definizione di regole comunitarie sulla commercializzazione e vendita diretta per assistere gli agricoltori in queste attività, attraverso un logo comune e un sistema di identificazione, si inserisce nel contesto più ampia della presentazione e nei messaggi pubblicitari dell'alimento acquistato.
Da un lato, l'indirizzo del legislatore comunitario verso questi aspetti può cogliersi nell'annunciata revisione della normativa sulla sicurezza (igiene di prodotti alimentari e mangimi, procedure di polizia sanitaria, sistema dei controlli ufficiali di alimenti e mangimi) e dall'altro, nel reg. (UE) n. 1169/11 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, in vigore dal prossimo anno, che porterà a una complessa riorganizzazione del settore, semplificando la commercializzazione dei prodotti alimentari e - si spera - anche la regole per la vendita diretta.

 

La mappa delle aziende con vendite dirette per tipologia di prodotti

Fonte: elaborazioni INEA su dati ISTAT, Censimento Agricoltura, 2010

La vendita diretta in Italia

In Italia la vendita diretta dei prodotti agricoli si declina nella possibilità da parte degli imprenditori agricoli di vendere al dettaglio - a consumatori, dettaglianti o esercizi di somministrazione - i prodotti provenienti in misura prevalente dalle proprie aziende. La vendita può essere effettuata direttamente in azienda, in locali esterni all'azienda (es. negozio in città), in forma itinerante su aree pubbliche o private, ma anche via Internet (e-commerce) e su catalogo. 
Secondo i dati del 6° Censimento dell'Agricoltura, le aziende agricole che effettuano la vendita diretta in Italia sono 270.579, pari al 26% del totale delle aziende che commercializzano i prodotti aziendali, percentuale che sale al 35% nelle regioni del Centro e al 31% in quelle del Sud Italia. A livello regionale, la Calabria concentra il 16,3% sul totale delle aziende, seguita dalla Sicilia (12,2%) e dalla Campania (11,7%).
La vendita diretta - che interessa soprattutto prodotti trasformati e vegetali freschi - avviene per il 78% dei casi nei locali aziendali, mentre per il 12% in strutture esterne. Si segnala una maggiore frequenza della vendita diretta nelle aziende di piccole dimensioni, fino a 3 ettari di superficie (76% del totale), e nelle imprese individuali (94% del totale), a conferma della frammentazione del tessuto produttivo italiano.
In una situazione generale di evoluzione del mondo agricolo e, in particolare, di scarsa redditività, il potenziale beneficio che viene generalmente riconosciuto dai produttori alla filiera corta e, in particolare, alla vendita diretta, è fortemente legato alla localizzazione delle aziende e alle loro caratteristiche strutturali e produttive. Se, infatti, il rapporto diretto che si instaura tra produttore e consumatore presenta quali punti di forza per chi vende la possibilità di controllare il prezzo e il valore aggiunto, di valorizzare la qualità e la tipicità del prodotto e di poter fidelizzare il cliente offrendo anche servizi correlati (ampiezza dell'offerta, puntualità nelle consegne, disponibilità di ricette in base ai prodotti stagionali), non mancano elementi di criticità legati alla logistica (soprattutto per prodotti freschi o aziende lontane da centri abitati o da vie di comunicazione), all'ampiezza e alla quantità dell'offerta (legata alla stagionalità dei prodotti) e, naturalmente, alla dimensione delle aziende e alle loro possibilità di adottare adeguate strategie di marketing.
È gioco-forza che le aziende più grandi possono sostenere i costi di produzione a fronte della disponibilità di innovazione tecnologica e di volumi adeguati di produzione; esse hanno un approccio non esclusivo alla filiera corta, affiancandola ai tradizionali canali di sbocco sul mercato. Mentre per le aziende più piccole il circuito breve e la vendita diretta, in particolare, rappresentano una valida alternativa per la loro stessa sopravvivenza, la quale, oltre tutto, rappresenta un requisito fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio.
Queste ultime, però, devono confrontarsi con l'aspetto organizzativo delle forme di filiera corta che richiede sia la calibrazione dell'ordinamento produttivo relativamente all'allocazione dei prodotti, sia l'organizzazione del lavoro in relazione alle modalità di vendita che si intendono praticare. Naturalmente, hanno il loro peso in queste scelte la disponibilità economica dell'azienda agricola, le caratteristiche, le conoscenze e la disponibilità del conduttore e della sua famiglia, la localizzazione geografica, il contesto socio-economico, ambientale e paesaggistico, la vicinanza a vie di comunicazione e a centri urbani e l'attrattività turistica della zona.
Un regime di etichettatura - seppure volontaria - con un logo identificativo sarebbe effettivamente utile per tutelare le produzioni locali e fornire informazioni ai consumatori, anche tante, a fronte di una pluralità di marchi, loghi e bollini già esistenti su confezioni ed espositori? Il rapporto di fiducia che si instaura tra produttore e consumatore nella vendita diretta non sembra avere bisogno di una "codificazione"...Il rischio è che un segno identificativo diventi il solito marchio collettivo a beneficio delle imprese più grandi con maggiori risorse da investire, soprattutto nella promozione della propria immagine.
La legge 9 agosto 2013, n.98, che ha convertito per il rilancio dell'economia il c.d. «decreto del fare», si auspica possa dare maggiore impulso alla vendita diretta perché ha semplificato le procedure e gli oneri burocratici per gli agricoltori che la praticano. Ma al di là delle risorse comunitarie messe a disposizione e dell'impegno dei decisori politici nel promuovere l'agricoltura locale e la vendita diretta, le aziende agricole, soprattutto quelle di dimensioni molto piccole, dovranno fare una scelta che richiede di uscire dagli schemi abituali, pianificando la loro attività in modo strategico e dotandosi di un piano di sviluppo nel settore distributivo, cogliendo le occasioni offerte dalle varie forme di filiera corta.

 
 
 
 

Sabrina Giuca
giuca@inea.it

 

PianetaPSR numero 27 - dicembre 2013