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INTERNAZIONALIZZAZIONE

Così il Made in Italy conquista gli scaffali europei

Uno studio ha misurato il posizionamento dei prodotti di punta dell'export italiano nei principali mercati:  scalata la fascia alta dei prezzi, ma resta la mina vagante dell'Italian sounding.

La presenza del made in Italy nella GDO Europea
(dati in metri lineari di scaffale- valori %)

Che i prodotti agro-alimentari italiani, soprattutto nelle tipologie più importanti per il nostro Paese (vino, formaggi, olio extra vergine di oliva, ortofrutta fresca e trasformata, salumi) avessero una marcia in più, almeno in termini di qualità, nella competizione con i prodotti esteri, è un concetto ormai ben conosciuto e supportato anche dai dati generali sull'exxport. Ma cosa vedono realmente i consumatori svedesi, francesi, spagnoli, russi quando entrano nei loro supermercati? Fra i prodotti di quali Paesi devono scegliere e che "peso" reale hanno sullo scaffale i prodotti agroalimentari di punta del paniere Made in Italy? E ancora: quanto incidono i fenomeni di contraffazione e imitazione e l'Italian sounding? Quali le migliori strategie per aprirsi sbocchi sui mercati tradizionali e sui nuovi mercati all'estero?
Un interessante studio realizzato nell'ambito della Rete Rurale Nazionale  (Mipaaf - Ufficio DISR II), dal titolo "Risultati dello studio svolto nell'ambito del progetto internazionalizzazione e competitività",  ha provato a fare il punto su questi aspetti, attraverso un'attività di monitoraggio delle referenze italiane di prodotti alimentari, focus group con consumatori esteri e interviste face to face alle imprese esportatrici e consorzi di imprese. Otto i Paesi considerati: Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, Olanda, Svezia, Russia, Turchia, e 6-7 grandi Punti vendita appartenenti alle insegne più diffuse nell'ambito della GDO in ciascun Paese.
Partiamo da una misurazione puramente quantitativa (espressa in metri lineari, riferiti al fronte espositivo nelle grandi catene commerciali) e cominciamo col dire che i prodotti di punta dell'agroalimentare italiano ci sono e si fanno sentire, seppur con qualche differenza, e con molte difficoltà legate a una concorrenza, come vedremo, non sempre "trasparente".
Prendiamo il caso dell'olio extra vergine d'oliva: in termini di lineare il prodotto italiano occupa l'83% degli scaffali in Gran Bretagna, seguono Svezia col 69%, Germania col 67%, Francia col 45%, Olanda col 39%, Russia col 33%. In Spagna e Turchia, grandi paesi produttori, la concorrenza del paese ospitante è troppa e la presenza è pari allo zero. In generale sono comunque, come risaputo, Spagna e Grecia i principali competitor dell'Italia per l'olio extravergine di oliva. Anche sul fronte del prezzo, le referenze italiane sono in una fascia nettamente superiore rispetto ai più diretti concorrenti, come spagnoli e greci. Se si prendono come riferimento Gran Bretagna e Francia, nella prima il prezzo medio (€ Kg) è 10,52 per quello italiano e 6,20 per quello spagnolo; così anche in Francia: 10,74 per quello italiano e 6,32 per quello spagnolo.
Nella famiglia dei derivati del pomodoro (sughi compresi), altro prodotto dsi punta della dieta mediterranea,  la quota dei prodotti Made in Italy è molto elevata: in Germania arriva all'89%,  seguono Svezia (76%), Olanda (49%), Francia (40%).
I formaggi interi: la quota italiana è molto alta in Francia (33,7%), nonostante il Paese di indagine sia anche un forte competitor in materia  mentre è sempre sotto il 15% negli altri Paesi. Per i grattugiati buona la presenza in Russia (39%), Svezia (35%) e sempre sotto il 15% negli altri Paesi. Per i prezzi, sul grattugiato naturalmente spicca il prezzo del parmigiano, in media il doppio rispetto ai grattugiati di origine diversa, o addirittura il triplo (Gran Bretagna).  Per gli interi, è la mozzarella a presentare prezzi doppi o quasi tripli rispetto a formaggi simili, mentre è incerto ad esempio il confronto tra gorgonzola e altri erborinati non italiani.
Per i salumi, l'Italia si assesta su una presenza del 25,3% in Francia e Svezia e del 21,1% nel Regno Unito, mentre è sempre sotto il 10% negli altri Paesi. Per i tre prodotti riscontrati come più diffusi - prosciutto cotto, mortadella e salame - la referenza di provenienza italiana è in tutti i casi la più costosa (addirittura smisurato il prezzo del prosciutto crudo italiano in Russia e Turchia, con 79 euro al Kg e 107,26 euro al Kg).

 
 

IL CONFRONTO SUI PREZZI DI VENDITA
(Dati in €/Kg e al litro per il vino)

 

SALAMI (in corsivo le referenze italiane)

 

OLIO EXTRA VERGINE

VINO

 
 
 
 

Per quanto riguarda il vino, la quota dei prodotti italiani in termini di lineare va dal 23,7% della Germania al 18,8% della Svezia, al 13,8% del Regno Unito, al 16,7% della Russia. Sono l'1,2% in Francia, dove la concorrenza del "padrone di casa" è troppo alta.  Interessante il discorso sul prezzo di vendita: più alto della media in Turchia, Olanda, Russia, Regno Unito e Germania; leggermente più basse in Francia e Spagna, che sono anche i principali competitor.
E il consumatore? Dallo stuudio emergono alccune tendenze di cui è bene tener conto per chi vuole esportare. In Germania e Regno Unito, in confronto all'Italia, il consumatore è più orientato a prodotti "time saving", ma il Regno Unito è più propenso al fresco pronto, la Germania al pronto in busta, liofilizzato o essiccato. Inoltre, nel regno Unito vanno molto le mini-confezioni (es: macedonia, formaggio, chicchi d'uva). In Turchia vanno molto le latte da 5 litri d'olio, mentre in Spagna le bottiglie di plastica.
Ma a parte queste (importanti) differenze, dai focus group con i consumatori esteri emerge che la reputazione dei prodotti italiani è eccellente. Certo, il prezzo è alto, ma la qualità maggiore è percepita e in condizioni normali, il consumatore può scegliere se pagare di più ed avere maggiore qualità, oppure fare scelte diverse per acquisti più economici. Questo, come si diceva, in condizioni normali, in assenza cioè di quelle dannose forme di concorrenza sleale, primo tra tutti il cosiddetto "italian sounding". E proprio a questo arcinoto fenomeno, lo studio dedica un importante capitolo, arricchendo - si fa per dire - anche la lista dei prodotti, che evocando immagini che richiamano il Bel Paese o giocando sull'assonanza con i nomi dei nostri prodotti, piazzano agli ignari consumatori clamosore e scadenti imitazioni.
Il campionario, come la fantasia, non ha limiti: in Germania c'è il "Consecco", vino frizzante; per i formaggi si spazia dal "Cambozola" alla "Zottarella", in Spagna non si fanno mancare il  "Pamesello"). E che dire delle grandi località e delle icone dell'arte italiana: nel Regno Unito, il sugo di produzione locale Asda porta sulla confezione la torre di Pisa in evidenza; in Russia un formaggio duro "Parmesan" di produzione locale ha come immagine il Colosseo). Ispirazioni vendogono dallo stesso stile di vita italiano: ci sono i marchi "Dolce Vita" e "Divino" in Turchia, ma anche la passata di pomodoro italiana "Ferragosto", prodotta in Ucraina). Un trucco che induce i consumatori di quei Paesi a pensare che i prodotti siano italiani, mentre sono solo clamorose patacche.

Come difendersi? Il risultato di queste imitazioni è spesso, infatti un "inquinamento" nella percezione della qualità italiana da parte del consumatore. In questo caso l'unica arma, al momento, è sensibilizzazione del consumatore vittima delle comunicazioni ingannevoli.  Possibile anche avviare azioni legali sui mercati dei Paesi che fanno parte dell'Unione Europea, dove c'è una specifica norma comunitaria (il regolamento 1169 del 2011) secondo la quale le informazioni sui prodotti alimentari non devono indurre in errore il consumatore. Per i singoli operatori, poi, è importante puntare su una differenziazione del proprio brand.
Nella sezione dello studio dedicata alle imprese esportatrici, si sono evidenziate due tipologie di problematiche: sui mercati consolidati, bisogna fare i conti con una competizione spesso accesa, le difficoltà commerciali e di marketing, le attenzioni crescenti al prezzo e le strategie improntate a contraffazione e imitazione. Nei Paesi emergenti, con normative non sempre chiare, complicate, applicate in modo soggettivo, il rischio di insolvenza; le culture alimentari diverse e anche qui le strategie improntate alla contraffazione e all'imitazione.  Di fronte a tutti questi nodi, si sollecita le diverse istituzioni pubbliche competenti a svolgere un ruolo primario nell'applicazione di una reale reciprocità e di accordi diplomatici bilaterali, nonché nel rivedere le normative sanitarie, a volte eccessivamente rigide, imposte dai singoli governi.
Infine, vengono delineate le principali strategie per l'ingresso nei nuovi mercati: per le imprese piccole, le fiere sono il principale grimaldello, ma anche la ricerca di opportuni intermediari. Aziende più grandi tendono invece a creare laddove possibile vere e proprie joint venture.  Fondamentale, la presenza di ristoranti italiani nel Paese di esportazione anche per far conoscere il prodotto e di supermercati di matrice italiana. 

 
 
 

Andrea Festuccia


 
 
 

PianetaPSR numero 30 - marzo 2014