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RIFORMA PAC/4
 

Aiuti accoppiati, l'analisi dei settori beneficiari

Dopo il check up sulla zootecnia, questo articolo approfondisce la situazione economica e reddituale degli otto comparti produttivi interessati - Le modalità del sostegno per un budget di 217 milioni

Come già anticipato nell'articolo di PianetaPSR dello scorso gennaio "Aiuti accoppiati, check up della zootecnia italiana", l'Italia dal 2015 destinerà al sostegno accoppiato più di 400 milioni di euro all'anno (430 milioni nel 2015 e 407 milioni nel 2019, a scendere negli anni per l'effetto convergenza tra Stati Membri), da distribuire su undici macrosettori secondo varie percentuali. In alcuni casi - zootecnia, riso, barbabietola da zucchero e pomodoro - gli aiuti verranno distribuiti ai beneficiari dell'intero territorio nazionale, in altri casi - soia, grano duro, proteaginose, leguminose da granella, olivo - saranno destinati agli agricoltori di determinate regioni che rappresentano le aree nelle quali lo specifico settore o tipo di agricoltura è maggiormente presente e importante per ragioni economiche, sociali o ambientali.
Dei 430 milioni di euro che l'Italia ha stanziato per gli aiuti accoppiati nel 2015, poco meno della metà (49,4%) saranno destinati alla zootecnia attraverso i premi per capo per la zootecnia da latte e da carne e per gli ovi-caprini. L'altra metà delle risorse saranno distribuite su altri otto settori con un premio impostato per superficie (1). In particolare, nel 2015, 217 milioni di euro saranno utilizzati per l'aiuto accoppiato ai settori elencati nella Tabella 1, e secondo le condizioni di ammissibilità descritte.
Nell'articolo citato era stato proposto un focus sul settore zootecnico, al fine di fornire una panoramica sulla situazione del settore in senso lato, dall'importanza economica e sociale alla redditività degli allevatori. Si ricorda, a tal proposito, che gli Stati Membri sono tenuti a motivare la scelta dei settori attraverso dati e statistiche che rilevino il momento di difficoltà economica. Inoltre, il sostegno può essere concesso solo nella misura necessaria a incentivare il mantenimento degli attuali livelli di produzione nei settori o nelle regioni interessati. In questo articolo, l'attenzione si sposta sui settori diversi dalla zootecnia, seguendo la stessa logica, ovvero fare una ricognizione delle informazioni e dei dati che segnalano la presenza di una difficoltà economica e quindi il bisogno di un sostegno accoppiato.

Tabella 1. Le misure e i budget delle misure accoppiate diverse dalla zootecnia

 

Evidenze sul settore della soia

  • L'Italia è tradizionalmente deficitaria di mangimi proteici e la produzione è diminuita sensibilmente nell'ultimo decennio (-38%); il Paese è, quindi, legato all'importazione di soia dai grandi produttori extra-UE. Nel 2013 le importazioni sono pari ad oltre 1.400.000 tonnellate, rispetto ad una produzione nazionale che non supera le 900.000 unità.
  • La superficie investita negli ultimi anni è stata sostanzialmente inferiore ai 200.000 ettari, rispetto agli oltre 230.000 ettari del 2000 e del 2001, con picchi nel 2006 e 2013 di 183.370 ettari, quest'ultimo dovuto soprattutto alle condizioni climatiche (in particolare alle piogge insistenti) che hanno impedito la semina di altre colture sarchiate concorrenti (mais, girasole, bietola, sorgo).
  • La soia d'importazione è per la quasi totalità geneticamente modificata (OGM), mentre in Italia esiste una consistente filiera di produzione di carne ed altri prodotti di origine animale certificati con alimentazione non OGM. Queste filiere si approvvigionano di soia non geneticamente modificata di origine nazionale, essendo in Italia vietata la produzione di colture OGM, e quindi, in caso di abbandono della coltura della soia, a favore di altre colture più redditizie, potrebbero incontrare difficoltà a procurarsi i mangimi previsti dai relativi disciplinari di produzione, con conseguente rischio di abbandono delle attività di produzione e di allevamento.
  • Da un punto di vista della redditività, l'indagine sui dati RICA ha riportato che il margine operativo della soia è inferiore ad altre colture concorrenti; ne consegue che il sostegno accoppiato potrebbe avere lo scopo di mantenere stabili le produzioni di soia nell'areale del nord Italia, anche in considerazione del recente calo dei prezzi della soia al di sotto dei 350 euro/tonnellata.

Evidenze sul settore del frumento duro

  • La coltivazione del frumento duro in Italia è dedicata all'approvvigionamento dell'industria nazionale, in modo preponderante (circa il 95%) per quella della pasta. Tuttavia la produzione nazionale non basta a soddisfare l'intero fabbisogno, che copre ogni anno tra il 55% e il 70% del fabbisogno. È, quindi, necessario il ricorso al prodotto di importazione, che per il 40% è di origine extra UE.
  • A causa della volatilità dei prezzi delle commodities, l'aumento dei costi di produzione e la bassa redditività della coltura in Italia le superfici coltivate a frumento duro nelle regioni del centro sud sono in costante calo: rispetto agli oltre 1,6 milioni di ettari coltivati nel 2000 e 2001, si è passati ad 1,4 milioni di ettari nel 2008 per arrivare a circa 1,2 milioni di ettari nel 2013, con al contempo un calo delle produzioni sotto la soglia dei 40 milioni di quintali.

Evidenze sul settore delle colture proteiche e oleaginose nel centro Italia

  • Le colture proteiche ed oleaginose nel centro Italia (Toscana, Umbria, Marche, Lazio) rivestono una notevole importanza economica in termini di produzione lorda vendibile - oltre 90 milioni di euro all'anno - ed una valenza per l'ambiente nel migliorare la fertilità dei suoli e nell'interrompere le monosuccessioni di cereali nelle regioni del centro Italia.
  • I dati sulle superfici investite a colture leguminose mostrano una certa variabilità negli anni, ed una fragilità della tenuta degli ettari coltivati. Considerando che fino al 2015, le colture leguminose hanno beneficiato del sostegno all'avvicendamento biennale pari a circa 100 euro/ha, che ha permesso una tenuta delle superfici coltivate, e considerati i bassi margini operativi di tali colture (Grafico 1), sussisterebbe un concreto rischio di abbandono senza un adeguato sostegno nella PAC dal 2015-2020.
 
Fonte: elaborazioni su dati RICA-INEA.

Evidenze sul settore delle colture leguminose nel sud Italia

- Le colture leguminose e azotofissatrici (pisello, fava, favino, favetta, lupino, fagiolo, cece, lenticchia, vecce, erbai monofiti di leguminose) nelle regioni del sud Italia hanno una notevole importanza economica nella filiera agricola. Svolgono un'importante azione ambientale, in particolare in riferimento al miglioramento della fertilità dei suoli, al contrasto all'erosione e all'interruzione delle monosuccessioni dei cereali autunno-vernini.
- Il sud Italia è caratterizzato da un livello medio basso di precipitazioni, ed è molto diffusa la pratica della monosuccessione di cereali autunno-vernini, in quanto sussistono poche colture alternative non sufficientemente redditizie per un appropriata rotazione colturale. Le conseguenze dell'abbandono delle colture leguminose nel sud Italia sono di tipo economico per la filiera ed ambientale per areali caratterizzati da un livello molto basso di sostanza organica.
- Tali produzioni sono importanti per avere la disponibilità di mangime ad alto tenore proteico, essenziale per la filiera della produzione di carne bovina, dal momento che la fase finale dell'ingrasso dei ristalli richiede non solo rilevanti apporti energetici, ma anche la somministrazione di importanti quantitativi di alimenti proteici necessari per la crescita muscolare dei bovini.
- La produzione italiana di tali alimenti non è sufficiente a soddisfare i fabbisogni nazionali e ciò comporta per gli allevatori la necessità di rivolgersi anche al mercato extra-UE. Il difficile approvvigionamento degli alimenti proteici e il loro costo elevato sono i principali fattori di rischio abbandono del settore della zootecnia bovina da carne, oltre che da latte.

 

Evidenze sul settore del riso

  • L'Italia è di gran lunga il maggior produttore risicolo dell'Unione europea e sia le produzioni, sia le superfici investite sono circa il 50% di quelle dell'Unione. Il prodotto, per la sua specificità e qualità, è da sempre esportato in numerosi paesi all'interno (82% nel 2013) e all'esterno dell'Unione.
  • Il settore è una importante fonte di occupazione, non solo in agricoltura ma anche nella trasformazione, impegnando numerosi addetti in grandi stabilimenti o in impianti semiartigianali ed artigianali strettamente collegati all'approvvigionamento di materia prima locale.
  • Il settore è in crisi a causa della concorrenza di grandi produttori asiatici, primi tra tutti Cambogia, India e Myanmar, che pur producendo varietà diverse da quelle italiane, sono in grado di fornire un prodotto economicamente molto competitivo: il prodotto italiano, infatti, non può competere con quello asiatico, che si avvantaggia di costi di produzione ampiamente inferiori.
  • Nella campagna 2013/2014 le importazioni di riso lavorato in Italia risultano pari a 29.144 tonnellate (+43%) rispetto all'anno precedente, dovuto quasi esclusivamente all'incremento delle importazioni di riso lavorato dai Paesi Meno Avanzati.
  • Da settembre 2013 ad aprile 2014 le consegne del prodotto italiano verso il mercato dell'Unione Europea si sono ridotte di 24.827 tonnellate (-6,49%), in particolare quelle di riso di tipo Indica, che hanno subito una diminuzione di 20.195 tonnellate (-10%), essendo passate da 201.441 a 181.246 tonnellate.

Evidenze sul settore della barbabietola da zucchero

  • L'importanza economica della barbabietola da zucchero risulta pari a 100 milioni di euro in termini di valore della produzione a prezzi correnti, facendo registrare un calo del 14% anche nell'ultimo anno di dati consolidati (2012/2013).
  • La produzione è strettamente legata alla presenza di uno zuccherificio nell'area di coltivazione. Pertanto la produzione di barbabietola risulta concentrata in determinati areali e connessa alle attività di trasformazione. Il settore oggi impiega direttamente circa 2.000 addetti, tra fissi ed avventizi, oltre a quelli che prestano la loro opera nell'indotto e nei trasporti.
  • Il programma di ristrutturazione del settore saccarifero, che ha determinato la riduzione della quota di produzione nazionale dell'Italia al 67,4%, ha portato alla dismissione di 15 zuccherifici, passando dai 19 zuccherifici nazionali agli attuali 4, con gravissime conseguenze sul piano occupazionale e sociale in determinati areali.
  • In termini di superfici coltivate, i 91.230 ettari coltivati nel 2006 si sono ridotti a 60.614 nel 2009, scendendo ulteriormente fino ai 40.712 ettari investiti nel 2013 (-55% rispetto al 2006 e -33% rispetto al 2009).
  • La vitalità economica del settore sarà messa in grave pericolo dall'abolizione del regime delle quote zucchero al 30 settembre 2017, che produce già effetti sul mercato interno, con un notevole calo (-30%) dei prezzi di vendita dello zucchero.

Evidenze sul settore del pomodoro da trasformazione

  • Il settore del pomodoro da industria è di vitale importanza nell'economia agricola italiana, l'Italia è il primo produttore europeo ed il primo esportatore di prodotto trasformato, con alti standard di qualità. Negli ultimi anni però si è assistito all'ingresso sul mercato di prodotto extra UE, con prezzi e con standard di qualità più bassi del prodotto nazionale.
  • L'interesse delle aziende a mantenere la coltivazione del pomodoro rispetto alle possibili alternative dipenderà anche dal livello dei prezzi sul mercato e dal livello del sostegno accoppiato. Senza una ripresa dei prezzi di mercato, oggi intorno ai 90 euro/tonnellata, la contrazione delle superfici coltivate sarà più marcata per le aziende più marginali e meno produttive.
  • La coltura, nel 2013, ha interessato 68.900 ettari, con la trasformazione di quasi 5 milioni di tonnellate di prodotto e con l'impiego di decine di migliaia di occupati, tra agricoltura, industria e servizi (16.900 nel 2009 e 15.800 nel 2013).
  • Le elaborazioni sui dati RICA, indicano che il margine operativo è in diminuzione: nel 2009 si attestava a 3.193 euro mentre nel 2013 registra un valore pari a 2.188 euro.
 
Fonte: Istat (2009-2013) e stime Ismea (2014)

Evidenze sul settore dell'olio d'oliva
 
- Nel mondo l'Italia è il secondo paese per superficie coltivata e per produzione, dopo la Spagna, ed è il secondo esportatore mondiale di olio d'oliva, sia come quantità, sia come valore. L'industria olearia è integrata con la filiera, ma i fabbisogni di materia prima non sono coperti dall'insufficiente produzione nazionale, da anni in continuo calo. Dal 2009 al 2013, la superficie olivicola è scesa più del 3%, mentre la produzione registra una variazione pari a circa il 10%.
- Per la mancanza di una sufficiente produzione nazionale l'Italia è il primo importatore al mondo di olio d'oliva. La filiera è molto strutturata, con 900.000 aziende agricole, molte molto piccole, 220 industrie olearie e 4.600 frantoi, in calo dagli oltre 4.800 nel 2011.
- In particolare, in Puglia, Calabria e Liguria la produzione di olio d'oliva è scesa al minimo storico nel 2013, inferiore alle 300.000 ton, e le stime per il 2014 indicano un ulteriore significativo calo al di sotto delle 250.000 ton (grafico 15.3).Si tratta di livelli produttivi che mettono in crisi l'industria olearia, considerando che il solo consumo interno di olio d'oliva in Italia è pari a circa 660.000 tonnellate all'anno.
- In molte regioni del paese, gli oliveti sono un elemento paesaggistico nettamente caratterizzante, un habitat fondamentale per la biodiversità e una risorsa economica oltre che sociale: infatti, in molte aree rappresenta l'unica possibilità di fornire occupazione, a causa delle difficili condizioni climatiche, altimetriche e topografiche dei terreni.
- La vitalità economica del settore è spesso garantita dall'apporto di manodopera dell'intera famiglia e per lo più è l'unica o la principale fonte di reddito dei gruppi familiari o di interi paesi, mantenendo, inoltre, attive e produttive comunità vegetali sovente secolari.

 
 
 
 

Giampiero Mazzocchi

 
 
 
1. Articoli 23-27 del Decreto Ministeriale del 18 novembre 2014: disposizioni nazionali di applicazione del Regolamento (UE) n. 1307/2013 (prot. 6513). Nel momento in cui si scrive, le scelte sono in fase di approvazione da parte dei servizi della Commissione.
 
 
 

PianetaPSR numero 40 - febbraio 2015