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SCAMBI COMMERCIALI
 

L'italian sounding riempie gli scaffali brasiliani

Imitazioni evocative e contraffazione, dazi e barriere non tariffarie: sempre più difficile per l'export agroalimentare made in Italy conquistare nuove posizioni nel promettente mercato sudamericano

Il Brasile ha conosciuto nell´ultimo decennio una crescita sostenuta, con un aumento della classe media (oggi oltre il 57% della popolazione) accompagnata da una netta riduzione della povertà (circa 40 milioni di persone in 10 anni). Nel 2014 il trend si è però invertito: l'economia brasiliana è entrata in una fase di stagnazione, e di possibile recessione, che perdurerà per tutto il 2015. Il Pil dello scorso anno è cresciuto solo dello 0,2%) e la previsione per quest'anno è di una diminuzione, stimata da 0,6 a 1,5%. I fattori che hanno contribuito a questa brusca frenata dell'economia sono di natura sia esterna sia interna. Il rallentamento dell'economia cinese (1º partner commerciale) e dell'Europa, la crisi argentina (1º mercato di sbocco dei prodotti manifatturieri brasiliani) e l'apprezzamento del dollaro hanno certamente influenzato la performance economica, ma è soprattutto all'interno che sono venuti al pettine tutti i nodi strutturali, rimasti per anni irrisolti.
Al ristagno dell'economia si accompagna un elevato tasso di inflazione che alla fine del 2014 é stato pari al 6,5%, limite superiore consentito rispetto all'obiettivo di riferimento (4,5%). Ma giá i primi aumenti dell'anno 2015 nei prezzi amministrati hanno fatto salire l'inflazione al 7,5%. Il tasso di inflazione in Brasile è concentrato nel settore dei servizi ed è di difficile riduzione senza una maggiore concorrenza, una riduzione degli stipendi e un alto aumento del tasso d'interesse con implicazioni negative per la crescita e conseguentemente per le entrate.
I consumi interni - in passato vero motore del Pil - hanno cominciato ad essere penalizzati sia dalla contrazione del credito al consumo sia - come accennato - dall'alto livello dell'inflazione, mentre la formazione lorda del capitale fisso ha presentato una diminuzione di ben il 7,4%.
Nonostante questi problemi, il Brasile resta un importante player sullo scacchiere del commercio internazionale, al quale l'Italia guarda con molto interesse, in una fase di relazioni attualmente positiva, confermata dai buoni risultati del VI Consiglio di Cooperazione, svoltosi a Brasilia il 15 aprile 2015, da cui sono scaturiti progetti ed iniziative utili per l'ulteriore approfondimento della collaborazione in un ampio ventaglio di settori. Tra cui anche il settore agroalimentare, di cui ci occuperemo in questo articolo, approfondendo in modo particolare le prospettive di crescita del made in Italy alimentare sul mercato brasiliano e le problematiche legate agli ostacoli posti dal sistema di dazi e barriere non tariffarie e alla concorrenza sleale rappresentata dall'Italian sounding che nel mercato brasiliano ha trovato un terreno molto fertile, grazie anche a una normativa compiacente.
IL SETTORE AGROALIMENTARE
L'agricoltura può vantare prospettive di crescita: dopo aver archiviato un incremento del 2% nell'ultimo anno, si prevede infatti che tale trend si rafforzi ulteriormente tra il 2016 e il 2019. Le notevoli risorse naturali pongono il Brasile in una posizione di vantaggio competitivo nella lavorazione di prodotti agricoli e primari. Tra i prodotti agricoli di prima necessità figurano soia, zucchero, arance, tabacco, cacao, carne e pollame. La forza del settore agro-alimentare è legata allo sviluppo di collegamenti tra l'industria alimentare e il settore agricolo.
In Brasile anche il mercato del settore dell'agroalimentare è tendenzialmente in crescita. Le vendite di prodotti alimentari importati rappresentano una parte consistente nel mix di prodotti venduti nei supermercati brasiliani. Negli ultimi anni le importazioni dal mondo hanno registrato un trend di crescita ininterrotto ed anche le importazioni provenienti dall'Italia mostrano un andamento simile.
L'Argentina continua ad essere il principale Paese esportatore, seguito dagli Stati Uniti e dall'Uruguay.
I prodotti alimentari (così come quelli della moda) sono fortemente penalizzati dai dazi all'importazione e dal sistema di tassazione "a cascata", oltre che da barriere invisibili e da esasperanti controlli doganali. Nonostante questo, la concorrenza è già presente e, in alcuni casi, ben affermata e ben posizionata.
Considerando, come vantaggio comparato, il fatto che il Paese vanta quasi un terzo della popolazione di origine italiana, la produzione made in Italy può senz'altro proporre le sue eccellenze (non solo vino ed olio d'oliva, ma anche altri prodotti tradizionali), in un mercato emergente, influenzandone le attitudini di acquisto.
Il crescente benessere, insieme all'aumento della classe media, si è tradotto in una crescita dei consumi, favorita anche da una politica di facile accesso al credito. Nel canale dell'HO.RE.CA., attualmente dominano marchi portoghesi, francesi e spagnoli, in stridente contrasto con la cucina offerta, che spesso richiama il prodotto italiano.
Vino
Durante il 2014 le importazioni di vino in Brasile sono cresciute del 12,15%, rispetto al 2013, anno nel quale è stato registrato un calo del 3,22%. È importante notare il successo di 3 tipi di vini: champagne, spumanti e vini di alta qualità in generale.
L'Italia occupa il 5° posto nella classifica dei Paesi fornitori di vini per il Brasile: dopo una caduta delle vendite nel 2013, é stata registrata una crescita del 3,97% nel 2014 (11,13% in valore e 11,69% in volume). Il più tradizionale Lambrusco, rappresentava quasi il 50% del volume totale dei vini venduti in Brasile, mentre il Prosecco ha una quota di mercato del 12,34%.
Tuttavia gli sforzi sono nel senso di promuovere una più vasta gamma di prodotti, maggiormente legati al territorio ed alla diffusione della cultura regionale.
ACCESSO AL MERCATO
Barriere tariffarie
I settori dei beni di consumo (principalmente moda, calzature e casa/arredo) e dei prodotti agroalimentari - cavalli di battaglia italiani in molti mercati mondiali - hanno difficoltà di penetrazione nel mercato brasiliano, soprattutto a causa dell'incidenza dei dazi doganali - che generalmente li rendono accessibili solo ad una ristretta élite di consumatori.
Il 70% dell'export italiano verso il Brasile è composto da 204 linee tariffarie. Nella composizione settoriale del nostro export spiccano i macchinari che rappresentano oltre il 30% del totale, seguono i prodotti del'automotive (10,9%), chimico-farmaceutico (7,8%) e i prodotti petroliferi (5,8%). Percentuali più ridotte riguardano il settore dell'arredamento, la ceramica e gioielleria.
Oltre la metà delle voci analizzate rientra nella fascia tariffaria medio - alta (19% - 10%). Dall'analisi dettagliata del dazio applicato alle voci del nostro export  si evidenziano picchi tariffari (35%) per barche a motore e yacht e autoveicoli; dazi al 27% per i vini, dazi al 20% per occhiali da sole e preparati di cioccolato; dazi del 18% riguardano una gamma più variegata di prodotti, tra i quali articoli di gioielleria, prodotti per l'illuminazione, articoli di profumeria, arredamento in legno e montature per occhiali. Numerosi prodotti del nostro export sono colpiti da un dazio del 14%, principalmente macchinari.
Dazi mediamente bassi (compresi tra il 9,8% e lo 0,5%) riguardano 50 linee di interesse per il nostro export (alcune tipologie di macchinari e prodotti del settore chimico-farmaceutico). Infine, tra i prodotti esportati duty free figurano turboreattori e velivoli. La legislazione brasiliana in materia non oppone particolari difficoltà alle importazioni di prodotti italiani. Tuttavia, oltre alle lungaggini burocratiche che incidono notevolmente su tempi e costi di gestione, le tariffe d'importazione elevate sono molto spesso penalizzanti a causa della particolarità della nostra produzione.

INTERSCAMBIO  AGROALIMENTARE ITALIA-BRASILE  (I dati si riferiscono al 2014)
I principali prodotti italiani esportati

E i prodotti provenienti dal Brasile

BARRIERE NON TARIFFARIE
Le esportazioni italiane del settore agroalimentare risultano particolarmente penalizzate non solo dal punto di vista daziario ma, soprattutto, per quanto riguarda le barriere non tariffarie.
La necessità che i prodotti importati soddisfino standard sanitari e fitosanitari stringenti costituisce un deterrente per le esportazioni di diversi prodotti del Made in Italy, causando in alcuni casi una vera e propria chiusura alle importazioni di generi alimentari italiani.
Tra gli adempimenti più vincolanti vi è la regolamentazione che prevede una procedura piuttosto complessa per l'etichettature dei prodotti di origine animale importati, che include anche l'obbligo di utilizzo della lingua portoghese.
Altro aspetto importante è l'assenza di una normativa che regoli l'importazione di campioni di prodotto che si traduce in complessità amministrative decisamente anomale e prive di trasparenza, inclusa l'applicazione, talvolta arbitraria, delle procedure doganali.
Infine, particolarmente significativo e penalizzante per i nostri prodotti è il fenomeno dell'Italian sounding che riguarda circa il 40% dei prodotti alimentari commercializzati nel paese, per un giro d'affari di 1,46 miliardi di dollari.
Il settore della pasta evidenzia ostacoli tariffari molto importanti con dazi anche fino al 65% (da un iniziale 16%) per la pasta della categoria "Piatti pronti" a causa della pressione fiscale interna, con conseguenti ridotti margini di ricavo per i nostri operatori a vantaggio delle produzioni locali anche di qualità inferiore.
Per quanto riguarda le barriere non tariffarie, quelle principalmente segnalate dal settore in generale riguardano l'obbligo di etichettatura in lingua portoghese che fornisca informazioni di dettaglio sui valori nutrizionali e sull'importatore, da aggiornarsi regolarmente e il vincolo di analisi per ogni singola tipologia di pasta presente in container. Inoltre, le modalità per la registrazione dei marchi risultano difformi dalle procedure standard.
Con riferimento agli alimenti surgelati, le Autorità brasiliane richiedono un certificato di origine e veterinario che - per ciascun prodotto e lotto - attesti i risultati delle analisi microbiologiche e sulle micotossine, spesso con soglie di tolleranza inferiori rispetto a quelli internazionalmente riconosciute.
Anche in questo caso sono particolarmente onerosi e complessi i requisiti di etichettatura che variano in base allo Stato/porto di ingresso (ad esempio, richiesta di nomi per esteso laddove normalmente sono richiesti simboli numerici; diverse dimensioni/proporzioni per caratteri e numeri; traduzione in portoghese; packaging e grafica ad hoc).
Le importazioni nel mercato brasiliano delle carni lavorate e salumi sono limitate dal divieto di ingresso ai prodotti stagionati per periodi inferiori a 10 mesi. Nonostante la decisione di riapertura ai prodotti provenienti da alcune regioni del Nord Italia del marzo 2013 (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche e Valle d'Aosta più le Province autonome di Trento e Bolzano), il mercato risulta ancora chiuso data la mancata formalizzazione, ad oggi, del provvedimento.
Un ulteriore ostacolo riguarda la necessità di registrazione di etichette e prodotti presso il Ministero dell'Agricoltura (DIPOA) per la quale le informazioni richieste sono spesso disomogenee e i tempi previsti oltremodo dilatati (con tempi di risposta anche fino a 60 giorni). Tali procedure rendono quasi sempre imprescindibile l'utilizzo di operatori locali.
Infine, si rileva l'inadeguatezza delle informazioni fornite dalle Autorità locali in merito alle modifiche della normativa sui prodotti importati e le condizioni per il loro ingresso nel mercato e dei tempi con cui tali informazioni vengono rese disponibili agli operatori.
Il settore dei vini e alcolici è soggetto a dazi elevati (27% vini tranquilli; 20% per vini e spumanti; 20% bevande spiritose) cui si aggiungono imposte ed accise variabili in base allo Stato di destinazione e della tipologia di prodotto (ad esempio per grappe e distillati, fino a oltre 20 tipologie di diversa tassazione). L'importazione di bevande alcoliche è soggetta al rilascio di una licenza che ha una durata di 60 giorni, rinnovabile per un periodo di tempo equivalente. Inoltre, a partire dal 1° gennaio 2011, le bottiglie di vino devono avere un bollo anti-contraffazione della "Receita Federal" (Agenzia Doganale brasiliana), la cui apposizione appesantisce ulteriormente le procedure di sdoganamento dei vini importati.
Inoltre, le bevande spiritose, unitamente ai vini, sono soggette alle analisi di controllo al momento dell'importazione. Alcune tipologie di vini e le bevande spiritose devono rispettare l'obbligo di apporre un contrassegno a seconda del tipo di prodotto e della categoria fiscale di appartenenza, tale procedura risulta essere molto macchinosa. Sia i vini che le bevande spiritose devono presentare dettagliati certificati di origine e di analisi.
Infine, la legislazione brasiliana prevede che al momento dell'importazione del vino (che deve essere accompagnato da un certificato unificato di analisi e di origine) possano essere prelevate due bottiglie per ogni partita per effettuare le analisi di controllo.  Il prodotto non può essere venduto sul territorio nazionale prima del risultato delle analisi che, in alcuni casi, sono resi noti anche dopo un anno dall'accertamento. L'atteggiamento del governo brasiliano nei confronti delle importazioni di vino è stato sempre piuttosto ambiguo. Ad alcuni momenti di relativa apertura se ne sono alternati altri di protezionismo estremo.
L'industria saccarifera e dell'etanolo brasiliana gode di misure fiscali particolarmente rilevanti che discriminano i prodotti importati e garantiscono sostegno sovvenzionato alle esportazioni di tali prodotti. Tali misure, basate sulla possibilità degli zuccherifici di aumentare o diminuire alternativamente la produzione di zucchero a discapito di quella di bioetanolo e viceversa in funzione dei loro rispettivi prezzi di mercato, rendono particolarmente competitivo il paese che è divenuto il primo esportatore mondiale di zucchero, detenendo oltre il 50% di tutte le esportazioni mondiali.
Altri comparti alimentari che hanno segnalato ostacoli per l'accesso al mercato brasiliano sono quelli della frutta secca con barriere tariffarie medie del 18% e, sul fronte dei vincoli non tariffari, certificazioni onerose che rendono inevitabile, anche in questo caso, doversi rivolgere ad operatori locali con conseguente innalzamento dei costi. Per l'esportazione di spezie, si evidenzia l'obbligo di utilizzo dei nomi scientifici dei prodotti per le certificazioni fitosanitarie.
Indicazioni Geografiche
Nel contesto multilaterale, va segnalato che esiste un punto importante di contatto fra Italia e Brasile.
Nel contesto delle relazioni bilaterali, va segnalato che il negoziato fra UE e Mercosur (Brasile-Paraguay-Uruguay-Argentina-Venezuela e Boliva in fase di adesione) sta vivendo una fase di scarsa attività. Uno dei temi delicati per l'Italia è la registrazione e la protezione delle Indicazioni Geografiche italiane in tutti i mercati e gli accordi bilaterali o regionali possono essere, se ben strutturati, una buona base per facilitare l'ingresso e l'aumento delle quote di vendita in quadro di concorrenza il meno possibile sleale. Sono note le alte ambizioni dell'Italia (e del MIPAAF) riguardo al citato obiettivo e al negoziato con il Mercosur.
Il Consiglio di Cooperazione Brasile Italia potrebbe diventare un'occasione per avviare una discussione sul tema e, se fattibile, di avvio di contatti anche fra operatori economici dei due Stati.
D'altro canto, sono purtroppo segnalati numerosi casi in cui sono coinvolte Indicazioni Geografiche italiane in Brasile.
Un primo esempio riguarda il "Prosciutto di Parma" dove il Consorzio di tutela del Prosciutto di Parma ha avuto problemi di tutela della denominazione, in quanto il tentativo di registrazione dell'omonimo marchio denominativo non è andato a buon fine e la domanda è stata rigettata, mentre la richiesta di registrazione della denominazione di origine è pendente dal 1997.
Sussistono problemi commerciali relativi all'uso diffuso della denominazione e di altre similari (tipo Parma, Parma style, ecc.) su prodotti locali. Ma il problema maggiore è rappresentato da una legge locale che legittima l'uso di questi riferimenti ad un prodotto particolare.
Questo contesto rende assolutamente impossibile mettere in campo strategie efficaci contro queste evidenti frodi commerciali che, oltre a violare i diritti del consumatore, violano anche quelli del Consorzio e di tutti i produttori. Si ritiene che tale normativa locale possa avere profili di scarsa compatibilità con l'art. 22 dell'Accordo Trip in ambito WTO.
Inoltre, per esportare verso il Brasile prodotti a base di carne, è necessaria l'abilitazione ad hoc per ogni singolo stabilimento, che viene rilasciata a seguito di un'ispezione di funzionari brasiliani del Ministero stesso. Allo stato attuale, risultano abilitati ad esportare solamente gli impianti che sono già stati ispezionati (l'ultima ispezione risale al 1997) ed hanno conseguentemente ricevuto l'autorizzazione all'esportazione, e che pertanto figurano negli elenchi ufficiali brasiliani (numero piuttosto esiguo).
Nonostante ripetuti tentativi di contatti diplomatici e interventi del nostro Ministero della Salute nel corso del 2002 per riuscire ad organizzare una nuova visita ispettiva e ottenere nuove abilitazioni da parte delle autorità brasiliane, la situazione è rimasta immutata e le richieste consortili prive di risposta. Questo significa, di fatto, che un'azienda interessata ad esportare e che abbia già avviato qualche contatto commerciale, risulti impossibilitata a darvi seguito, a meno che non abbia ottenuto l'abilitazione durante l'unica visita effettuata ormai dieci anni fa.
ITALIAN SOUNDING
In tutto questo contesto, trova terreno molto fertile il fenomeno dell' "Italian Sounding" (imitazione evocativa di prodotti d'origine italiana), che riguarda circa il 40% dei prodotti alimentari commercializzati in Brasile per un giro d'affari di 1,46 miliardi di dollari. Si tratta di un fenomeno che penalizza il nostro export, ma che contribuisce anche in chiave positiva a menzionare il nostro Paese più spesso rispetto a quanto potrebbe accadere se venissero commercializzati esclusivamente prodotti veramente made in Italy. Resta quindi la scommessa di trasformare questa fetta di notorietà in nuove quote di mercato, dazi e barriere tarfiffarie permettendo.       

Giorgio Starace
Massimiliano Cocciolo 
(Gli autori dell'articolo lavorano presso il Mipaaf Direzione  generale delle politiche internazionali e dell'Unione Europea - Ufficio  PIUE 2 - Rapporti internazionali e con il Csa)

 
 
 

PianetaPSR numero 45 - luglio/agosto 2015