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INNOVAZIONE IN CAMPO

Agricoltura bio, la sfida per abbattere il rame

In corso il progetto finanziato dal Mipaaf, con sei partner coordinati dal Crea  - Obiettivo: ottimizzare  i trattamenti sulla base di modelli previsionali e individuare molecole alternative naturali
Prove sperimentali in un vigneto a conduzione biologica

L'agricoltura biologica senza rame è la sfida delle sfide per la comunità scientifica chiamata a raccolta per risolvere il difficile rebus. Si chiama Altr.RameinBio il progetto, coordinato dal Crea, Consiglio ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economa agraria, nato per trovare nuove strategie per limitare o eliminare totalmente il metallo pesante largamente utilizzato nella difesa delle colture bio per combattere funghi e batteri. Tra i principali nemici da combattere ci sono la peronospora della vite, responsabile di gravissimi danni alle produzioni viticole segnalata in Europa per la prima volta nel 1878, la Phytophthora infestans della patata e del pomodoro, la ticchiolatura del melo.
Un lavoro di equipe partito un anno fa da sei partner (l'Università della Tuscia di Viterbo, il Centro di Laimburg di Bolzano, la Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige e la Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica  - Firab - il Crea Ing, l'Unità ricerca ingegneria agraria e il Crea Pav, Centro di ricerca per la patologia vegetale), che hanno concentrato la ricerca sulle colture per le quali l'uso del rame risulta indispensabile. I risultati che scaturiranno da questa ricerca andranno a supportare la politica italiana ed europea in vista del dibattito sull'uso del rame nell'agricoltura biologica, per il quale l'Unione Europea aveva già fissato, con il Regolamento Ce n.473/ 2002, un limite massimo di impiego.
Un settore, quello del bio, dai grandi numeri. Secondo gli ultimi dati contenuti nel 'Bioreport', strumento di analisi realizzato dal Consiglio per la ricerca nell'ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale, sono quasi 1,4 milioni gli ettari coltivati in Italia nel 2014 da poco più di 49 mila aziende agricole (+2,5% rispetto al 2013) e oltre 55.400 operatori certificati. 
L'agricoltura senza rame è quindi un argomento di grande attualità e interesse, su cui si stanno concentrando teste e risorse, tanto che il progetto Altr.RameinBio rientra tra i quattordici progetti finanziati dal Ministero delle Politiche agricole nell'ambito del Piano nazionale per la ricerca e l'innovazione in agricoltura biologica e biodinamica, che coinvolge diversi enti vigilati da via XX Settembre, primo tra tutti, per l'appunto, il Crea.
Nello specifico Altr.RameinBio è iniziato nel 2015 e terminerà nel giugno 2017,  in tempo per arrivare a fornire un supporto operativo all'ufficio agricoltura biologica del Ministero che lo ha finanziato. ''L'utilizzo di questo metallo pesante è uno dei cardini su cui si basa l'agricoltura biologica, ma nello stesso tempo è in antitesi con i suoi stessi principi'',  spiega Anna La Torre del Crea-Pav, coordinatrice del progetto che coinvolge anche due ricercatori europei, un francese e un tedesco perché il dibattito sarà a livello di Unione europea, "di fatto vogliamo rispondere ad un bisogno reale e concreto degli operatori nei campi, perché la ricerca deve andare dal basso verso l'alto; per questo stiamo cercando di individuare strategie innovative da mettere in campo. Probabilmente non riusciremo ad eliminare totalmente il rame sostituendolo con prodotti di derivazione naturale alternativi, ma a ridurlo ci stiamo provando con buoni risultati". 
Secondo recenti studi condotti in vari Paesi dell'Unione europea, l'uso continuativo dal 1800 a oggi dei composti di rame, come i fitofarmaci, avrebbe portato a concentrazioni tossiche del metallo nei terreni agricoli, con livelli che variano tra 100 fino a 1.280 milligrammi per chilo di suolo, contro valori di 5-20 mg per kg di suolo in quelle aree non usate per attività agricole.  Oltre alla tossicità diretta dovuta al bio-accumulo del metallo nel terreno, l'uso ripetuto in agricoltura dei composti di rame come fungicidi e battericidi potrebbe avere effetti collaterali: da qui l'importanza di avere dei risultati dal progetto in corso.
I prodotti fitosanitari contenenti rame come sostanza attiva usati in agricoltura biologica sono entrati nel mirino dell'Unione Europea a partire dal 2002 con varie disposizioni volte a ridurne i possibili effetti negativi. Di fatto sono ammessi cinque composti, ricorda la ricercatrice, ossia l'idrossido di rame, l'ossicloruro di rame, il solfato di rame tribasico, la poltiglia bordolese e l'ossido rameoso dal diverso tenore di metallo contenuto. Regolamenti che riguardano anche il quantitativo massimo annuo del metallo pesante impiegabile per ettaro sulle colture pari a 6 kg. Un calcolo che però, al momento, può essere effettuato anche su base quinquennale.   
''Si tratta di una vittoria dell'Italia aver portato questo limite 'spalmabile' nell'arco dei 5 anni per le colture perenni, a tutto vantaggio del lavoro nei campi - spiega la ricercatrice, nel precisare che - questa modalità , infatti, agevola gli agricoltori che possono utilizzare ridotti quantitativi di rame in annate poco favorevoli all'insorgere dei patogeni. Il 2015, ad esempio, è stato un anno particolarmente asciutto dove è stato possibile usare poco rame, che invece potrebbe essere richiesto negli anni successivi''.
Oggi, quindi, è previsto che ogni Stato membro possa autorizzare in deroga il superamento del limite in un dato anno, a condizione che la quantità media effettivamente impiegata sia rispettata nel quinquennio.
Entrando nel merito del progetto, i fronti su cui i ricercatori stanno lavorando sono due. ''O riduciamo le dosi di rame da somministrare  - spiega La Torre - oppure riduciamo il numero dei trattamenti da fare sulla base di modelli previsionali che stiamo mettendo a punto''.
A questo proposito, l'equipe ne sta costruendo uno da applicare contro la peronospora della vite; si tratta di individuare i momenti ottimali  per effettuare i trattamenti in campo, in modo da renderli più efficaci, riducendoli quindi nel numero. L'altro fronte su cui si lavora, spiega ancora La Torre, ''è individuare delle alternative al rame, ossia molecole di derivazione naturale in linea con i principi dell'agricoltura biologica, da poter usare in alternanza o in associazione al rame per ridurne le dosi o addirittura da sole, qualora si rivelassero in grado di sostituire completamente l'uso del rame".
Cercare di eliminare il rame è un problema anche di immagine per l'Italia, tiene ancora a precisare la coordinatrice del progetto, ''perché un'agricoltura biologica di qualità, la cui domanda è in costante crescita, non può utilizzare come principio cardine una molecola che crea impatto ambientale''.

 
 
 

Sabina Licci

 
 
 

PianetaPSR numero 53 - maggio 2016