Il Made in Italy agroalimentare esce dalla crisi con un ruolo sempre più importante nell'economia nazionale, arrivando a generare 61 miliardi di euro di valore aggiunto, 1.4 milioni di occupati, oltre 1 milione di imprese e 41 miliardi di euro di esportazioni.
A fotografare questo scenario è il Rapporto sulla competitività dell'agroalimentare italiano presentato il 24 luglio a Palazzo Wedekind da ISMEA alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo Gian Marco Centinaio.
Il rapporto evidenzia un buono stato di salute complessivo del settore, grazie a una grande "resilienza", che lo caratterizza e ha garantito una buona tenuta economica e sociale nel corso del decennio di crisi e di capacità di ripartire per agganciare la ripresa. Di fatto, il rapporto certifica come il comparto esca molto bene nel confronto con il resto dell'economia nazionale, e il suo ruolo sia rafforzato dalla sua maggiore capacità di tenuta nel decennio di crisi economica.
Tra i principali segnali positivi che emergono dalla ricerca ci sono la produttività del lavoro in crescita nel decennio della crisi, in controtendenza rispetto agli altri settori, la ripresa degli investimenti, l'aumento della produzione in valori correnti, anche se solo grazie ad un aumento dei prezzi dei consumi intermedi, un'occupazione in sostanziale tenuta e, soprattutto un ottimo andamento delle esportazioni.
Non mancano, però, elementi negativi, a partire dagli squilibri strutturali che caratterizzano la filiera agroalimentare italiana, non solo a danno della componente agricola, ma anche della trasformazione industriale, le quali entrambe vedono compressi i loro margini a livelli preoccupanti rispetto a quelli della logistica e della grande distribuzione. Se l'agroalimentare italiano si è rafforzato nell'economia nazionale, inoltre, a livello europeo mostra ancora segnali di debolezza. Il confronto con Paesi quali Francia, Germania e Spagna rileva un gap sfavorevole ancora elevato in termini di strutture aziendali, di efficienza, di tecnologia e produttività.
Dopo la stentata ripresa iniziata nel 2015, lo scorso anno l'Italia ha agganciato l'espansione dell'economia mondiale facendo registrare una crescita del Pil reale dell'1,5%. Come sottolinea il rapporto, la situazione economica resta comunque molto difficile - con il livello del Pil reale che nel 2017 rimane oltre 5 punti al di sotto il livello pre-crisi - ed è molto diversa da quella dell'Ue nel complesso, che già nel 2014 aveva invece recuperato la perdita degli anni precedenti e oggi si trova otto punti sopra il livello di dieci anni fa.
In questo contesto, il settore agroalimentare nel decennio ha mostrato una notevole resilienza: il valore aggiunto dell'agricoltura, silvicoltura e pesca è rimasto stabile, sia in termini di incidenza sul totale dei settori economici (2,1%), sia se si guarda all'andamento in termini reali, dato che è rimasto praticamente invariato per l'intero periodo 2007-2017. L'industria alimentare, al contempo, si è presto distaccata dalla dinamica generale negativa, facendo registrare nel 2017 un incremento del valore aggiunto reale di quasi 6 punti rispetto al livello precedente alla crisi.
Nel 2017, quindi, il valore aggiunto corrente delle due fasi della produzione agroalimentare è pari a 60,4 miliardi di euro, con un peso sul totale del 3,9%, rimasto stabile per l'intero periodo e rispetto all'anno precedente, l'agroalimentare nel complesso è cresciuto dell'1,2% a valori correnti, ma le dinamiche sono state opposte nelle due fasi. La fase primaria, con un valore aggiunto di 33,05 miliardi di euro, è cresciuta in valore del 3,9% compensando la forte contrazione in volume (-4,4%), dovuta principalmente al calo della produzione agricola per le anomalie climatiche che hanno caratterizzato il 2017. La fase industriale, viceversa, con un valore di 27,35 miliardi, ha registrato un peggioramento rispetto all'anno precedente del valore aggiunto corrente (-1,8%), a fronte di un andamento positivo in termini di volumi (+1,7%).
Il ruolo importante e strategico che l'agroalimentare mantiene nell'economia italiana, anche in confronto ad altri settori considerati rilevanti del Made in Italy, può essere meglio compreso valutando il valore dei prodotti agroalimentari nel mercato finale al consumo, stimato in circa 171 miliardi di euro, con un'incidenza del 10,6% sul Pil complessivo. Tale dato non considera il valore del consumo extra-domestico (cioè gli acquisti di servizi di ristorazione) con il quale la stima sale a 219,5 miliardi di euro e la sua incidenza sul Pil al 13,5%.
Il nostro Paese si conferma a forte "vocazione agricola", con l'incidenza del valore aggiunto dell'agricoltura, silvicoltura e pesca sul Pil al 2,2%, rispetto al resto dell'Europa, dato per la media dell'Ue a 28 è pari a 1,5% e assume in Francia, il nostro più prossimo concorrente, un valore di 1,7%. Il valore aggiunto dell'agricoltura italiana rappresenta il 18% del valore totale dell'Ue a 28 con 31,5 miliardi di euro. Un valore che posiziona l'Italia al primo posto in Europa davanti alla Francia (28,8 miliardi) e alla Spagna (26,4 miliardi), con la Germania staccata di oltre 14 miliardi.
Il trend dell'occupazione nel comparto è positivo: complessivamente il numero di addetti è cresciuto tra il 2013 e il 2017 del 3,0%, in linea con il totale degli occupati in Italia (+3,2%). Il contributo del settore primario all'aumento dell'occupazione è stato particolarmente rilevante nel biennio 2015 e 2016, mentre nel 2017 il calo degli occupati (-0,8%) si spiega con la riduzione della produzione che ha determinato un minor impiego di unità di lavoro indipendenti e occasionali. A fine 2017, sono 919 mila gli addetti in agricoltura, silvicoltura e pesca, pari al 3,7% degli occupati in Italia.
Questo andamento positivo assume ancor più valore se lo si confronta con quanto avvenuto nell'Ue a 28: l'agricoltura dell'Ue, si legge nel rapporto, nel complesso è interessata da un declino di medio-lungo termine del numero di occupati, che sono diminuiti del 7,4% tra il 2013 e il 2017 e del 17,5% in totale tra il 2007 e il 2017, mentre nello stesso periodo l'agricoltura italiana ha perso il 6,7% (66 mila posti di lavoro).
Quanto al confronto del costo del lavoro in agricoltura tra l'Italia e i suoi principali competitor europei (Francia, Germania e Spagna), il nostro Paese si colloca al terzo posto, alle spalle di Francia e Germania, con 10,2 mila euro per addetto. Francia e Italia sono invece accomunate per l'elevata incidenza degli oneri sociali sul costo del lavoro complessivo, rispettivamente il 29% e il 23%, contro il 16% della Germania e addirittura l'11% della Spagna.
Il divario tra le retribuzioni in agricoltura e nel complesso dei settori economici è consistente in tutti e quattro i paesi presi in esame. In Italia il salario annuo per il lavoratore agricolo è di 7.930 euro (sempre misurato in PPA), rispetto ai 20.133 per la media di tutti i settori di attività economica, con un differenziale 12.200 euro circa; questo differenziale salariale è ancora maggiore e sale a oltre 18 mila euro negli altri tre Paesi.
Il rapporto evidenzia come la prolungata crisi economica abbia determinato una ricomposizione del tessuto d'imprese a favore di quelle finanziariamente più solide che, secondo l'Istat, coincidono in larga misura con le imprese esportatrici. Si tratta di una logica conseguenza: la capacità di vendere sui mercati esteri ha compensato la scarsa dinamicità della domanda interna, a lungo depressa dagli effetti della crisi, rappresentando un fattore fondamentale sia per la sopravvivenza sia per la competitività delle imprese italiane.
Negli ultimi cinque anni le esportazioni agroalimentari italiane sono aumentate del 23%, più di quelle dell'Ue a 28 (+16%), superando la quota dei 41 miliardi di euro a fine 2017. Nel frattempo, le esportazioni agroalimentari dell'Ue a 28 sono arrivate a quasi 525 miliardi di euro, un ammontare considerevole, di cui l'Italia detiene una quota pari all'8%. Al contrario, nello stesso periodo le importazioni agroalimentari dell'Ue a 28 sono cresciute di più di quelle italiane (+16% vs +10%). Il saldo commerciale agroalimentare del Paese, pur restando strutturalmente negativo, in ragione della dipendenza dall'estero per alcune materie prime agricole e semilavorati, è quindi notevolmente migliorato, passando da -7,3 miliardi di euro del 2013 a -4 miliardi nel 2017, dando un consistente contributo al miglioramento del saldo commerciale italiano di tutte le merci. Nel solo 2017 le esportazioni di prodotti agroalimentari sono cresciute del 6,8% rispetto all'anno precedente; si è registrata anche un'accelerazione delle importazioni (+4,5%), fenomeno che sempre si accompagna alle fasi di ripresa della domanda di prodotti agroalimentari nel nostro Paese e che è spiegato dalla vocazione trasformatrice che ci caratterizza.
Se si vanno a isolare gli scambi di prodotti agricoli dal dato complessivo, il valore delle esportazioni italiane, quasi 7,1 miliardi nel 2017, è aumentato del 3,4% nel 2017 rispetto al 2016 e del 18% rispetto al 2013 (contro il 12% di quelle dell'Ue a 28). L'import agricolo italiano, di poco inferiore ai 14,5 miliardi nel 2017, è aumentato del 4,5% nell'ultimo anno e del 14% rispetto al 2013, meno di quello europeo, cresciuto del 18% nello stesso quinquennio. Di conseguenza i deficit di Ue e Italia hanno subìto un peggioramento nel periodo analizzato, ma il contributo dell'Italia sul disavanzo agricolo dell'Ue a 28 è si è ridotto, passando dal 25% nel 2013 al 19% nel 2017.
Il ruolo del Made in Italy nelle esportazioni del settore primario europeo emerge chiaramente disaggregando i prodotti in uscita dai confini nazionali. Prendendo le prime cinque voci delle esportazioni agricole italiane e considerando il corrispettivo valore dell'export europeo, l'Italia è sempre il primo esportatore. Allo stesso tempo, i principali prodotti agricoli importati dall'Italia sono riconducibili a materie prime (caffè, frumento duro, tenero e altri cereali) che vengono trasformate e valorizzate dall'industria alimentare nazionale.
L'agricoltura italiana produce valore ma la ripartizione dei margini lungo la filiera presenta ancora forti squilibri a favore delle fasi più a valle (logistica e distribuzione). Dall'analisi della catena del valore di ISMEA emerge che su 100 euro destinati dal consumatore all'acquisto di prodotti agricoli freschi, rimangono come utile solamente 6 euro, contro i 17 euro in capo alle imprese del commercio e del trasporto. Nel caso dei prodotti alimentari trasformati, dove la filiera si allunga, l'utile per l'imprenditore agricolo si contrae ulteriormente, scendendo sotto i 2 euro, al pari di quello realizzato dall'industria alimentare, mentre la quota preponderante del valore è destinata alla fase della distribuzione e della logistica che, prese insieme, trattengono 11 euro.
L'analisi della composizione della produzione agricola mette in evidenza come il fenomeno della diversificazione aziendale assuma un ruolo particolarmente rilevante in Italia. Se mediamente per l'Ue a 28 il valore delle attività secondarie e dei servizi incide rispettivamente del 3,8% e del 4,8% sulla produzione agricola totale, per l'Italia le quote salgono all'8,2% e all'8,8%, con un distacco consistente rispetto ai principali competitor.
Tra le attività più diffuse ci sono , in particolare, agriturismo, attività ricreative e sociali, fattorie didattiche, artigianato, prima lavorazione dei prodotti agricoli, trasformazione dei prodotti aziendali, produzione di energia rinnovabile, lavorazione del legno, acquacoltura, lavoro conto terzi, servizi per l'allevamento, sistemazione di parchi e giardini, silvicoltura, produzione di mangimi.
Dai dati censuari risulta che nel 2010 erano 76 mila le aziende coinvolte (il 5% dell'universo) le tipologie di attività connesse più diffuse sono il contoterzismo e l'agriturismo. Sempre secondo la stessa fonte, circa 124 mila aziende (l'8% dell'universo) sono coinvolte nella vendita diretta. Le stime dell'indagine campionaria SPA 2013 mostrano inoltre un aumento rispetto al 2010 della percentuale di aziende agricole coinvolte in attività connesse, che passerebbe dal 5% all'8%.
L'agricoltura biologica coinvolge in Italia 1,8 milioni di ettari e 72 mila operatori certificati, con un aumento per entrambe le variabili del 40% circa rispetto al 2013. Anche sul fronte dei consumi, il biologico ormai non è più né una moda né una nicchia di mercato: 9 famiglie italiane su 10 hanno acquistato durante l'anno un prodotto certificato. Complessivamente l'incidenza del biologico nei consumi complessivi degli italiani ammonta al 3%, con settori che continuano a crescere e fare da traino come gli ortaggi (+11,5%) e la frutta (+18,3%) e altri, che seppur partiti con ritardo, mostrano performance di tutto rilievo: vino (+109,9%), carni fresche (+65,2%) e trasformate (+35,4%), oli e grassi vegetali (+41,1%). Quando parliamo di biologico l'Italia risulta divisa in due: con il Nord della penisola che esprime il 64% della domanda di prodotti biologici e il Sud che ne rappresenta solo l'11%, pur essendo l'area del Paese da cui proviene gran parte della produzione certificata.
IL COMMENTO DEL MINISTRO GIAN MARCO CENTINAIO
"Il rapporto dell'ISMEA - ha affermato il Ministro delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo Gian Marco Centinaio - non è solo la fotografia dello stato di salute del settore nel nostro Paese, ma uno strumento concreto di analisi per guardare oltre, avere una visione d'insieme e pianificare il rafforzamento e il rilancio del comparto. I numeri parlano chiaro: abbiamo un potenziale enorme in termini di valore della produzione, denominazioni registrate, crescita del bio. Ma dietro le cifre c'è di più. C'è tutto il 'peso' della qualità. Ci sono la passione, la storia, la tradizione che rendono unico il Made in Italy agroalimentare nel mondo. C'è il sistema Italia. La nostra agricoltura è la più multifunzionale d'Europa. Allora rendiamo più competitive le imprese agrituristiche, potenziamo l'export, garantiamo una filiera sicura ed equilibrata per offrire anche nuovi posti di lavoro ai più giovani, tuteliamo il reddito delle nostre imprese. I dati dell'ISMEA ci dicono questo. Che c'è tanto da fare e che dobbiamo lavorare insieme."
Matteo Tagliapietra
PianetaPSR numero 73 luglio/agosto 2018