La recente giornata di studio "Cooperazione e coordinamento della filiera agroalimentare: lo strumento delle Organizzazioni di Produttori", organizzata dall'Accademia dei Georgofili, in collaborazione con il CREA e la Rete Rurale Nazionale, è stata occasione di un interessante confronto scientifico e operativo sulla capacità del sistema agroalimentare e delle organizzazioni di produttori (OP) in particolare di fronteggiare le nuove sfide competitive, misurandosi con il miglioramento della qualità delle produzioni e della loro tracciabilità, l'introduzione innovazioni tecnologiche in campo e nei processi di trasformazione, l'interazione con nuovi sistemi digitali e infrastrutture per la distribuzione, l'utilizzo di strumenti per la gestione dell'offerta e ridurre il rischio di impresa.
Le OP iscritte negli appositi albi ministeriali sono 586, con una distribuzione settoriale e territoriale molto differenziata (CREA, 2018; Annuario dell'agricoltura italiana) e con una forte concentrazione nel comparto ortofrutticolo, olivicolo e lattiero-caseario. A livello territoriale le organizzazioni di produttori si concentrano per il 60% nel Mezzogiorno, anche se in termini di produzioni commercializzate quelle più significative operano nelle regioni del Centro-Nord con una base sociale spesso diffusa nell'intero territorio nazionale.
Nel corso dell'iniziativa, le testimonianze portate da diverse OP e AOP italiane, operanti nei comparti ortofrutticolo, lattiero-caseario, olivicolo e cerealicolo e individuate come "casi di successo" in un contesto operativo molto eterogeno a livello territoriale e settoriale, hanno evidenziato l'importanza di tali organizzazioni nel favorire la cooperazione tra i diversi attori della filiera e nella gestione dell'offerta, oltre ovviamente all'erogazione di una pluralità di servizi a favore dei soci finalizzati a una migliore collocazione della produzione sul mercato.
La diversa operatività delle OP e AOP è ovviamente condizionata dalle caratteristiche del settore produttivo e dalla sua capacità di aggregazione, dagli strumenti normativi disponibili e ovviamente anche dal sostegno della PAC.
In termini regolatori, le deroghe alla concorrenza concesse per tutte le OP riconosciute dall'Omnibus e la Direttiva UE sulle pratiche sleali nei rapporti contrattuali tra gli operatori della filiera possono contribuire a migliorare l'efficacia dell'azione delle organizzazione di produttori.
Per quanto riguarda la PAC, la proposta di riforma post 2020 introduce interessanti novità, dando in primo luogo la possibilità di estendere il "modello OCM ortofrutta" a tutti i comparti produttivi. Gli Stati membri potranno scegliere questa opzione destinando fino al massimo del 3% del valore annuo dei pagamenti diretti (circa 105 milioni di euro/anno) al finanziamento di OP o AOP operanti in uno o più settori diversi da quello ortofrutticolo, olivicolo e vitivinicolo. Il modello proposto è sostanzialmente identico a quello già previsto per l'ortofrutta e dovrebbe prevedere il finanziamento di programmi operativi, il cui valore non potrà superare il 5% del valore della produzione commercializzata dall'OP. L'importo massimo del finanziamento comunitario non potrà essere superiore al 50% del valore del programma operativo.
Tale scelta dovrà essere formulata all'interno del futuro Piano strategico nazionale della PAC e dovrà esplicitare:
La proposta della Commissione europea appare interessante, in primo luogo perché prende atto dell'efficacia del modello «OP», in grado di far cooperare i diversi attori economici della filiera e garantire una ripartizione del valore più favorevole al settore agricolo, e potrebbe avere effetti incentivanti sui settori che verranno eventualmente interessati. La scelta dei settori di intervento dovrà tuttavia tener conto:
La proposta di riforma della PAC prevede, inoltre, alcune modifiche per il settore ortofrutticolo e quello dell'olio d'oliva e olive da tavola, che pur non stravolgendo il modello devono essere prese in considerazione per le implicazioni che potranno avere sull'attuazione dei programmi.
Per quanto riguarda l'ortofrutta si segnala in particolare la necessità di dedicare almeno il 5% delle risorse dei programmi operativi ad attività di ricerca e sviluppo, così come l'obbligo di destinare almeno il 20% per interventi a carattere climatico e ambientale, che potranno portare sicuro beneficio all'azione delle OP in una fase storica in cui le innovazioni sulla sostenibilità delle produzioni e sulla digitalizzazione dei processi produttivi, gestionali e distributivi sono fondamentali per la competitività del settore.
Per quanto riguarda l'olio d'oliva e olive da tavola, il regolamento fissa il tetto massimo dell'aiuto per l'Italia in 34,6 milioni di euro/anno, con una riduzione del 3,9% rispetto alla situazione attuale. Inoltre anche per questa OCM si propone l'adozione del modello ortofrutta che, se da un lato potrebbe essere occasione per migliorare la funzionalità delle OP del settore, dall'altro, con l'introduzione del tetto di finanziamento limitato al 5% del valore della produzione commercializzata, potrebbe portare ad una utilizzazione parziale delle risorse disponibili vista l'attuale strutturazione del settore nel nostro Paese. La proposta prevede, inoltre, la possibilità che il settore dell'olio d'oliva e olive da tavola adotti lo stesso modello previsto per gli altri settori.
Due in particolare gli aspetti "negativi" della proposta, da un lato l'assenza di incentivi dimensionali volti a superare la frammentazione delle OP, che caratterizzano molti comparti produttivi non solo nel nostro Paese, dall'altro la complementarietà e la demarcazione con gli strumenti previsti dallo sviluppo rurale, aspetto per niente trattato ma che ha creato numerosi problemi operativi in questa fase di programmazione. Su questo secondo aspetto, gli Stati membri potranno e dovranno sfruttare la definizione della strategia nazionale per una maggiore coerenza degli interventi.
Alessandro Monteleone
CREA
PianetaPSR numero 78 marzo 2019