L'agricoltura è fonte del 10% delle emissioni dell'UE e le superfici su cui viene praticata hanno un significativo potenziale di assorbimento del carbonio attraverso le due componenti suolo e soprassuolo. Questi pool di carbonio sono molto vulnerabili alle perdite, ma possono essere preservati e accresciuti attraverso una gestione attenta e dedicata che può essere favorita dai diversi strumenti di sostegno e incentivazione previsti dalla Politica Agricola Comune.
Nell'ambito della riforma della PAC la questione ambientale rappresenta, dunque, uno degli aspetti cruciali. Il "new delivery model" proposto dalla Commissione costringe ad una serie di riflessioni sul ruolo che gli interventi in termini di sostenibilità produttiva, tutela della biodiversità, del paesaggio e delle aree marginali avranno nell'architettura complessiva del nuovo Piano strategico nazionale.
Il capitolo ambientale, come noto, è stato tra i più complessi nella corrente programmazione ed ha generato non poche difficoltà di gestione per tutti gli attori del comparto, pubblici e privati e non sono mancate, soprattutto nel settore produttivo, le voci che hanno messo in discussione l'efficacia di un sistema di obblighi e sanzioni così costruito.
Appare dunque opportuno, nell'ottica di una nuova programmazione che va verso un modello differente, cercare di analizzare quanto le misure previste nella PAC 2014-2020 siano state efficaci dal punto di vista ambientale.
Lo studio "Evaluation study of the impact of the CAP on climate change and greenhouse gas emissions", pubblicato dalla Commissione Europea il 27 maggio scorso, prova ad analizzare l'impatto che alcune misure della PAC hanno avuto sulla riduzione delle emissioni di gas serra dall'attività agricola, sul carbon stock, sulla riduzione della vulnerabilità dell'agricoltura ai cambiamenti climatici e sul rafforzamento della capacità dell'agricoltura stessa di fornire servizi di adattamento e di mitigazione a tutta la società.
Il lavoro interessa tutti i 28 Stati membri dell'UE e si concentra in particolare su dieci di essi attraverso "case history" che sono state effettuate per raccogliere informazioni di attuazione più dettagliate in specifici contesti.
Il focus principale dello studio è quello di valutare il contributo alla sfida climatica di 24 "misure" della PAC. Nel dettaglio, lo studio valuta il contributo del I Pilastro (pagamento di base, componenti varie dei pagamenti diretti e misure "greening"), dei diversi criteri di Condizionalità (CGO e BCAA) e delle misure PSR (sia ambientali in senso stretto che "orizzontali").
Va sottolineato che la maggior parte delle misure considerate dallo studio non ha "l'azione per il clima" come obiettivo prioritario, ma può avere su questo tema un effetto anche solo secondario o indiretto. Alcune misure, come ad esempio le misure ACA (M.10) dei PSR o gli impegni del "greening", invece, impattano direttamente sulla priorità climatica e per esse lo studio fornisce una stima più puntuale del contributo diretto assicurato in termini di mitigazione del problema climatico.
Nonostante per alcune misure considerate vada sottolineata l'assenza di una motivazione legata al clima, lo studio ha rilevato che tutte le 24 misure considerate sono state in grado di generare un certo impatto sulla priorità climatica. Per ognuna di esse, lo studio ha stimato il potenziale di mitigazione partendo da un recente studio per la DG CLIMA [1], aggiornato utilizzando letteratura più recente in tema di stima di emissioni e assorbimenti di gas serra.
Lo studio si è avvalso di un modello quantitativo costruito e utilizzato per simulare le riduzioni delle emissioni e gli assorbimenti associati alle singole misure della PAC considerate. Il modello opera definendo prima il percorso di riduzione delle emissioni associato agli impegni previsti da ciascuna misura considerata, e poi associando tale percorso di riduzione agli impegni di attuazione previsti dalle autorità di gestione per ognuna di tali misure (superfici target e dotazioni finanziare previste per le singole "misure" considerate). Un fattore di emissione (derivato dallo studio della DG CLIMA) è stato individuato per ciascun percorso di riduzione. L'impatto sulle emissioni associate alle singole misure è stato così calcolato moltiplicando tale fattore di emissione per il numero di ettari (o numero di capi zootecnici) a cui si applica una determinata misura della PAC, così come programmato dagli Stati membri.
Così come specificato dallo stesso studio, questo modello non è in grado di simulare bene gli effetti di mitigazione di misure il cui impatto è molto indiretto (es. M.2 dei PSR "servizi di consulenza") o di quelle che sono capaci di generare simultaneamente una vasta gamma di impatti diretti (co-benefits).
Nei casi in cui il modello non si è dimostrato capace di quantificare adeguatamente l'efficacia delle misure della PAC in termini di riduzione delle emissioni di gas serra, lo studio ha provveduto a realizzare approfondimenti attraverso l'analisi di casi-studio.
Questi studi di caso hanno previsto sondaggi tra agricoltori e consulenti in dieci Stati membri (Repubblica Ceca, Croazia, Francia, Germania, Ungheria, Irlanda, Lituania, Paesi Bassi, Romania e Spagna) al fine di recupere informazioni sull'esposizione agli stress climatici e sulla conoscenza/adozione delle misure della PAC utili alla sfida climatica.
Tra le misure che hanno un impatto positivo sulle emissioni, lo studio rileva il particolare contributo delle misure del greening e, in particolare, della misura di mantenimento dei prati-pascoli permanenti e di quella di conservazione delle aree benefiche per la biodiversità (EFA). Utilizzando il modello di simulazione, lo studio ha concluso che tali misure hanno ridotto le emissioni del 2% su base annua in tutta l'UE.
Anche i PSR hanno dimostrato di contribuire a una riduzione delle emissioni in maniera significativa. Lo studio ha concluso che le misure dei PSR maggiormente dedicate al clima hanno ridotto le emissioni dell'1,5% su base annua sul territorio dell'Unione.
Per quanto riguarda il sostegno accoppiato volontario, lo studio sottolinea che i risultati sono invece contrastanti, a seconda del settore di intervento. L'analisi ha rilevato, per esempio, che i pagamenti accoppiati in zootecnia portano di fatto ad un aumento netto delle emissioni di gas serra, anche se lo studio stesso non è in grado di quantificare tale incremento. Il lavoro dimostra, invece, che il sostegno accoppiato volontario per le colture proteiche sia stato in grado ridurre le emissioni, anche se attuato solo su una scala molto piccola nel quadro dell'UE a 28.
Le riduzioni delle emissioni che lo studio è stato in grado di attribuire alle singole misure della PAC, attraverso la simulazione, sono in gran parte legate al cambiamento dello stock di carbonio nel suolo e al cambiamento delle emissioni di N2O che queste misure riescono a garantire ponendo impegni connessi alle tecniche di coltivazione e all'uso più oculato degli input produttivi.
Lo studio stima che nel 2016 gli assorbimenti di CO2 attribuibili alle misure della PAC sono ammontati complessivamente a 20,2 Mt CO2eq, mentre le riduzioni delle emissioni sono state di 6 Mt CO2eq.
Utilizzando il modello quantitativo lo studio ha simulato riduzioni delle emissioni (rispetto ai dati 2016) pari a 15,8 Mt di CO2eq attribuibili alla misura di mantenimento dei prati (greening) e di 4 Mt di CO2 eq per le EFA.
Questi risultati devono essere trattati con cautela poiché il modello di simulazione non stima alcuni effetti zavorra, giudicati rilevanti anche nel caso del greening (Corte dei Conti europea, 2017). Le riduzioni delle emissioni, infatti, sono vere finché sono in corso le misure e possono non avere un effetto cumulativo anno dopo anno. Le emissioni di gas serra dai pascoli permanenti, ad esempio, dipendono fortemente dal fatto che tali pascoli vengano arati o meno all'inizio o al termine dell'impegno.
Tuttavia, per illustrare il potenziale contributo della misura, lo studio ha calcolato l'impatto che questa misura di greening avrebbe avuto se avesse portato a non arare almeno l'1% dei prati permanenti in UE. Questo calcolo ha prodotto un risultato di potenziale di mitigazione che oscilla fra 1,1 Mt CO2eq e 4,5 Mt CO2eq / anno.
Per quelle misure del secondo pilastro per le quali può essere quantificato direttamente l'effetto di mitigazione (M.4, 8, 10.1, 11,12.1,13), lo studio ha stimato un potenziale di riduzione delle emissioni di circa 6,4 Mt CO2eq / anno. Questi risultati, ovviamente, devono essere trattati con cautela a causa dell'influenza delle ipotesi che vengono assunte nel processo di modellizzazione. Questo è particolarmente vero per la M.12 "Indennità Natura 2000" e per quelle misure in cui gli impegni di gestione possono essere determinati anche da altra normativa diversa dalla PAC.
Per le misure PAC per le quali sono stati stimati gli impatti climatici, lo studio ha anche effettuato una valutazione di efficienza (in termini di costi). Dal confronto fra la spesa e la riduzione stimata delle emissioni emerge che a 6,1 miliardi di euro di spesa "greening" sono associati a una riduzione di 19,8 milioni di tonnellate all'anno di CO2 equivalente, con un rapporto complessivo di circa 274 € / t CO2eq. I costi stimati per le singole misure di inverdimento sono pari a circa 44 €/ t CO2eq per il mantenimento dei prati e di circa 437 € / t CO2eq per le EFA.
La spesa per il clima nell'ambito del secondo pilastro è tracciata per area di interesse anziché per misura. Attraverso un confronto di spesa per le aree di interesse pertinenti con la riduzione delle emissioni, lo studio valuta che a ogni tonnellata di CO2eq risparmiata grazie agli impegni previsti dalle misure PSR è associata una spesa PSR di circa 195 euro.
Lo studio evidenzia come l'efficacia delle misure della PAC potenzialmente utili per l'adattamento climatico sia stata probabilmente ostacolata dall'assenza di logiche di intervento chiare ed efficaci nei diversi Stati. A livello di Stati membri, infatti, è molto debole l'integrazione fra le misure del primo pilastro utili all'adattamento (greening e BCAA) e quelle PSR (M.5, M.8, M.10, M.16 e M.17). In aggiunta, lo studio sottolinea come le misure più importanti di "gestione" (M.10 e M.11) siano state mirate troppo spesso a obiettivi di gestione ambientale molto ampi (biodiversità, acqua e gestione del suolo), piuttosto che esplicitamente a priorità di adattamento, anche se in molti casi hanno poi comunque generato benefìci in termini di adattamento. Proprio sotto questo punto di vista, lo studio evidenzia anche come si possano verificare effetti positivi dal I pilastro, anche se non espressamente attesi. È il caso, ad esempio, del sostegno al reddito che, consentendo la diversità e la vitalità dei sistemi agricoli, può dimostrarsi utile e vantaggioso anche per alcuni tipi di strategie di adattamento.
Le misure "soft" dei PSR sono essenziali per supportare l'adattamento, ma lo studio sottolinea come M.1, M.2 e M.17 non siano state efficacemente programmate in UE, invitando a ripensarne le modalità di attuazione per le prossime programmazioni.
Uno dei principali strumenti PSR utili a favorire la diffusione di pratiche utili all'incremento degli stock di carbonio del suolo è la M.10. Questa misura, oltre ad essere obbligatoria, sostiene impegni pluriennali (da 5 a 7 anni) e può incentivare l'adozione di una serie molto diversificata di pratiche benefiche per il clima. Sebbene le regole del FEASR consentano di estendere questi impegni a un periodo più lungo "al fine di raggiungere o mantenere i benefici ambientali ricercati", lo studio sottolinea come gli Stati membri non abbiano adeguatamente utilizzato questa opzione, riducendo sensibilmente il contributo che questa misura può offrire alla sfida climatica.
Lo studio offre un quadro dei principali impegni della Misura 10 previsti in UE per favorire l'accumulo del carbonio nel suolo (Tabella XIX).
Così come fatto per tutte le misure PAC considerate, lo studio ha realizzato anche una stima del potenziale di assorbimento connesso agli interventi programmati per favorire il carbon stock nei suoli(t/ha/y di CO2eq).
La Tabella 21 dello studio riepiloga così il potenziale di mitigazione di una serie di pratiche finanziate dai PSR. Dalle stime riportate, il mantenimento in campo e la non-bruciatura dei residui colturali risultano essere le due pratiche con il maggiore potenziale di mitigazione (da 0.11 a 2.2 t/ha/y di CO2eq).
Per le tecniche di non lavorazione del suolo (No Tillage), invece, lo studio evidenzia un potenziale di mitigazione significativamente più alto nelle aree semi-aride come Spagna, Portogallo, Grecia e Cipro (ed evidentemente, sud-Italia).
Altre pratiche utili al carbon stock sono quelle di "conversione dei terreni arabili in pascoli" (da 0.87 a 7.3 t/ha/y di CO2eq), la realizzazione di nuovi impianti agroforestali, gli imboschimenti, la gestione sostenibile dei boschi esistenti, la realizzazione di siepi e fasce tampone su terreni agricoli.
Lo studio, oltre a fornire dati preziosi sul contributo della PAC alla sfida climatica, fornisce in primo luogo un quadro metodologico "validato" dalla Commissione utile a programmare, monitorare e valutare in modo efficace gli impatti degli interventi vocati alle priorità agro-climatico-ambientali.
Nel quadro del new delivery model proposto per la programmazione post-2020, il set di informazioni e il metodo proposti dallo studio risultano essere preziosi per programmare una Strategia nazionale complessiva I-II pilastro capace di affrontare in modo organico la sfida climatica, valorizzando sinergie fra strumenti di intervento e risorse programmate. Lo studio richiama la necessità di costruire una strategia nazionale PAC che affronti le grandi sfide proposte dall'Unione per mezzo di equilibrati mix di strumenti e interventi, anche diversificati, ma sinergici e integrati da comuni logiche di intervento e impatto.
La possibilità di stimare (o misurare) il valore climatico delle varie misure PAC dimostrata dallo studio, invita infatti a ragionare sulla possibilità di valorizzare l'effetto additivo che l'attuazione sinergica di più misure può avere in termini di impatto su un determinato obiettivo strategico. In pratica, "convogli" di misure che partono con i criteri di condizionalità per arrivare alle misure volontarie PSR, passando per le varie componenti del pagamento del primo pilastro, che possono e devono essere indirizzati ad hoc per dimostrarne meglio gli impatti rispetto alle priorità chiave.
In questo percorso, le simulazioni sull'efficienza delle misure proposte dallo studio (in termini di contributo erogato per tonnellata di co2 equivalente evitata), invitano a considerare anche gli aspetti di convenienza degli interventi e a valutare l'opportunità di indirizzare le misure verso le priorità per le quali può essere più facilmente garantita un adeguata efficienza di spesa rispetto agli impatti conseguibili.
Note:
[1] Martineau et al, 2016: Effective performanceof tools for climate action policy - meta-review of Common Agricultural Policy(CAP) mainstreaming.
Danilo Marandola
CREA, Centro di politiche e bioeconomia - Scheda CREA-RRN 5.1
Matteo Tagliapietra
Pianeta PSR-RRN
PianetaPSR numero 81 giugno 2019