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Agricoltura e alimentazione

Food policy per le città, un'opportunità per lo sviluppo dell'agricoltura metropolitana e delle aree rurali limitrofe

La proposta di una Food Policy per Roma, presentata ad ottobre scorso in occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione indetta dalle Nazioni Unite, offre spunti per riflettere sulle opportunità derivanti per lo sviluppo agricolo e rurale dentro e fuori le città, grazie all'esistenza di programmi politici d'azione unitari e intersettoriali.

Le Food Policy, che dall'inizio dell'attuale decennio sono state adottate da varie città del mondo - come New York, Vancouver, Toronto e anche Milano (quale eredità dell'Expo 2015)[1]  - nascono come risposta agli importanti cambiamenti, problemi e sfide che oggi stanno sempre più coinvolgendo i sistemi cittadini, dove risiede oltre la metà della popolazione mondiale, in una fase di crescita esponenziale.
Esse costituiscono uno strumento (piano strategico) a cui si ricorre per delineare una posizione comune sul rapporto che le città devono avere con il cibo, definendo anche le azioni chiave per attuare tale visione condivisa e armonizzando iniziative e progetti che le amministrazioni sostengono in tema di alimentazione.  

Le politiche alimentari sinora adottate sono naturalmente specifiche per i vari sistemi cittadini: a  New York, per esempio, si pone l'accento su un'alimentazione più salutare e sostenibile per contrastare il problema dell'obesità; a Vancouver il cibo viene posto al centro della green economy e degli obiettivi ambientali, di salute, sociali ed economici; analogamente a Toronto, la cui strategia mira a cogliere le opportunità offerte dal cibo per risolvere le problematiche cittadine legate a nutrizione, società, ambiente ed economia; anche la città di Milano punta a creare un sistema alimentare che sia in grado di garantire cibo sano per tutti, persegua la sostenibilità delle produzioni e della logistica, preveda l'educazione alimentare, riduca gli sprechi e sostenga la ricerca scientifica. 

Pur nella loro diversità, le food policy sono quindi tutte accomunate dal concetto di una sostenibilità economica, ambientale e sociale da costruire attorno ai sistemi "locali" del cibo: pertanto, il sostegno ad una agricoltura di tipo eco-friendly, allo sviluppo della ruralità e alla produzione di alimenti salutari e accessibili a tutti, rappresentano sempre il core attorno a cui sono incentrate le diverse strategie messe in campo per migliorare la qualità della vita dei cittadini. È evidente poi che il cibo, coinvolgendo chi in città lo consuma, chi lo commercializza e chi lo produce (nei contesti urbani, ma anche e soprattutto periurbani e rurali limitrofi)[2], è considerato in grado di catalizzare trasversalmente e in modo virtuoso politiche e interventi pubblici intersettoriali - su salute e nutrizione, relazioni città-campagna, rapporti di filiera, diritti sociali di consumatori e lavoratori, pianificazione di aree verdi, prevenzione, raccolta e redistribuzione di eccedenze alimentari - e, pertanto, le decisioni di politica alimentare delle città incidono sul sistema economico interno e del circondario.

Una proposta per la capitale, il comune agricolo più grande d'Italia

Sulla scia di quanto già avvenuto in altre capitali, le associazioni ambientaliste Onlus "Terra!" e "Lands" [3] hanno lanciato ad ottobre scorso "Una Food Policy per Roma", costituendo un comitato promotore che coinvolge oltre 50 fra organizzazioni e singoli individui (del mondo della ricerca, della produzione e della società civile) attivi sui temi dell'agricoltura, del cibo e della solidarietà. Si tratta di un'analisi del sistema alimentare romano-laziale e delle sue criticità e prospettive, che lancia poi alle istituzioni - Comune, Città metropolitana e Regione- 10 proposte per avviare una politica del cibo basata sulle necessità della capitale.

Esso rappresenta pure la prima tappa di un percorso condiviso, che auspica la partecipazione anche come elemento di governance successiva, durante il processo di pianificazione vero e proprio in obiettivi specifici, azioni, misure e progetti: nel documento viene infatti proposto di istituire un organo consultivo (Consiglio del cibo), che rappresenti innanzitutto uno spazio di dialogo fra decisori politici, operatori economici, studiosi, cittadini e organizzazioni della società civile e dell'attivismo ambientale, per poter ragionare insieme e strutturare una organica politica alimentare.  

Tra le 10 priorità di intervento indicate, almeno 8 - strettamente interconnesse fra di loro - appaiono rilevanti per le loro implicazioni dirette sullo sviluppo agricolo e rurale, riguardando:

  • l'accesso alle terre per la nascita di nuove imprese agricole con giovani e donne;
  • l'agricoltura sostenibile, efficiente e "circolare" (pratiche biologiche e agroecologiche, a tutela della biodiversità e delle risorse produttive);
  • le filiere corte e i mercati locali per favorire nuove relazioni produzione-consumo, come quelle di farmers' market, gruppi di acquisto solidale, CSA (Community Supported Agriculture), aziende agricole con vendita diretta e agricoltori presenti in mercati rionali; 
  • le relazioni città-campagna e l'approvvigionamento di prossimità (mediante forme di cooperazione tra gli operatori delle filiere oppure appalti pubblici per scuole, ospedali o altre strutture cittadine che favoriscano i produttori locali);
  • le specificità agro-alimentari legate al territorio, per le quali sperimentare sistemi di qualificazione, di tracciabilità e di etichettatura che ne garantiscano l'origine "locale"; 
  • gli sprechi alimentari (anche in fase di coltivazione, raccolta, trasformazione e distribuzione, oltre che di consumo), con accesso al cibo anche per fasce sociali deboli; 
  • le iniziative multifunzionali (agriturismo, forme di agricoltura sociale) e un'offerta turistica alternativa a quella di massa, fondata sul cibo tradizionale e sulle pratiche agricole sostenibili; 
  • i sistemi ecologici agro-silvo-pastorali cittadini (inclusi quelli di aree protette comunali, regionali o statali) da tutelare nell'azione di pianificazione territoriale, per la loro funzione positiva anche sul benessere umano.

Food policy e sviluppo rurale: alcune riflessioni

L'esistenza di un piano di azione unitario, quale è appunto la food policy di una città, rappresenta senza dubbio una nuova opportunità di sviluppo territoriale, anche in ambiti rurali. Tuttavia, per conseguire quella massa critica capace di fare la differenza in termini di impatti ottenibili, una politica alimentare non dovrebbe essere "lasciata sola" e a carico soltanto dell'amministrazione comunale che la pianifica: ed è la stessa food policy che, nell'analizzare risorse e strumenti finanziari disponibili e/o potenzialmente accessibili, potrebbe dare alle istituzioni regionali e nazionali (e, perché no, anche comunitarie) concrete indicazioni per poter essere in tal senso rafforzata.

In effetti, quanto emerge dalla proposta della Food Policy per Roma già richiama alcune riflessioni che possono contribuire ad alimentare il dibattito in tema di sviluppo agricolo e rurale, inquadrandolo appunto alla luce di una politica del cibo. Infatti, il richiamo ad interventi ritenuti importanti - come il ricambio generazionale in agricoltura, le filiere corte e solidali, i prodotti di qualità e l'educazione alimentare, le pratiche di agricoltura multifunzionale, ecc. - non possono non riportare lo sguardo di studiosi e analisti anche su quanto viene offerto in termini di aiuti diretti PAC e di sostegno allo sviluppo rurale (attraverso i PSR), per i territori che già ne beneficiano e che sono in diretta connessione con le città, ma anche per nuove aree potenzialmente ammissibili al sostegno. 

In proposito, è noto che tali politiche hanno sinora privilegiato aree rurali considerate svantaggiate rispetto ai poli urbani. Nonostante infatti i relativi regolamenti comunitari non escludano le aree metropolitane dai benefici di varie misure, gli aiuti PAC sono stati nella pratica erogati per agricoltori attivi di dimensioni minime e in base a criteri storici, mentre le misure PSR sono state solitamente concepite per essere applicate solo in alcune zone, mediante condizioni di ammissibilità territoriale o, in mancanza, con specifici criteri di selezione e premialità: ciò ha reso di fatto inapplicate determinate misure nelle aree urbane.


Oggi si sta assistendo ad una riforma della PAC che sembra lasciare maggiore libertà agli Stati membri di operare scelte diverse rispetto al passato, con il possibile ingresso di nuovi beneficiari (es. sostituzione dei diritti storici con un pagamento uniforme, maggiore considerazione degli agricoltori pluriattivi, ecc.). La programmazione nazionale/regionale che ne discenderà, potrebbe quindi tener conto dell'importante ruolo delle città nel condizionare i sistemi agricoli e rurali dentro e fuori di esse, aprendo concretamente il sostegno anche alle aree cittadine - mediante criteri di selezione meno stringenti per interventi relativi all'insediamento di giovani agricoltori, all'avvio di attività diversificate e multifunzionali, all'adozione di pratiche produttive ecocompatibili, ai sistemi e alle produzioni di qualità, alla promozione di filiere corte e mercati locali, a forme di cooperazione e aggregazione tra produttori, e così via - e adottando così soluzioni coerenti con le food policy.

Oltre a fornire input per la definizione delle politiche a valere sugli specifici "fondi agricolo-rurali", una food policy può - anzi dovrebbe - costituire una cornice programmatica a cui far riferimento per la messa a punto di progetti integrati che siano finanziabili anche con fondi complementari (europei, come FESR e FSE, ma anche nazionali e regionali), con quella necessaria integrazione che una politica alimentare richiede per sua stessa natura. Ciò riguarda non solo i diversi livelli istituzionali (dal locale al sovranazionale), ma anche le stesse attuali politiche europee (di sviluppo regionale, sociale, per la pesca), le quali - a dispetto di un'annosa e ampiamente riconosciuta necessità di integrazione - hanno fatto sinora fatica a renderla operativa: il motivo risiede soprattutto nel notevole fabbisogno aggiuntivo di governance che essa comporta, in risposta alla frammentazione istituzionale delle competenze amministrative, alla diversità dei sistemi finanziari-gestionali dei vari fondi e alle conseguenti difficoltà di sincronizzazione degli interventi.

Questo significa prevedere meccanismi più flessibili e agevoli da gestire, eventuali nuovi soggetti intermedi di governance, criteri di premialità, o al limite anche una potenziale "invasione" delle misure di competenza della politica di sviluppo rurale su quella di sviluppo regionale (FESR) o sociale (FSE) e viceversa, ove tali scelte fossero più funzionali al "disegno alimentare" da conseguire: si sta parlando, in pratica, di strumenti specifici o di "deroghe" auspicabili proprio nei contesti in cui ci si trovi ad operare sotto la cornice di una food policy, di cui però nella proposta per la PAC 2021-27 non sembra finora esservi esplicitamente traccia.

D'altro canto, l'introduzione di "deroghe" e meccanismi specifici quali canali preferenziali per l'attuazione di progetti rispondenti a una food policy, potrebbe avere l'effetto virtuoso di spingere varie altre amministrazioni a costruire e approvare una propria politica alimentare.

Sarebbe un percorso più complesso ma più interessante, perché - ove mai fosse possibile (ossia sposato dall'UE) - le food policy comporterebbero un processo di concertazione anche con il livello comunitario che, se da un lato ne allungherebbe i processi di definizione e adozione, dall'altro aprirebbe certamente ad altre e maggiori prospettive di sviluppo.

 
 

NOTE

[1] Peraltro Milano è stata anche la sede della sottoscrizione, nell'ottobre 2015, del "Milan Urban Food Policy Pact", un patto internazionale fra i sindaci di 160 città del mondo (dove abitano 470 milioni di persone), impegnandoli a lavorare per rendere sostenibili i sistemi alimentari, garantire cibo sano e accessibile a tutti, preservare la biodiversità, lottare contro lo spreco. 

[2]
Nel caso del Comune di Roma, per es., emerge l'importanza di tutto il territorio regionale per il consumo cittadino di cibo, il quale proviene dall'agro-romano e dalle aree rurali laziali per ben il 25% (Terra, Lands, "Una food policy per Roma", ottobre 2019).

[3]
 "Terra!" è impegnata a livello locale, nazionale e internazionale in progetti e campagne sull'agricoltura e lo sviluppo ecostenibile a tutela delle risorse naturali. "Lands" sviluppa reti e attività tra tutti coloro che lavorano nelle e per le aree protette, mettendo in comune problematiche, soluzioni, best practice e opportunità.

 
 

Ines Di Paolo
CREA - Centro Politiche e bioeconomia

 
 

PianetaPSR numero 86 dicembre 2019