Il 13 maggio scorso il Parlamento Europeo ha adottato il nuovo Regolamento sul riutilizzo dell'acqua [1], che definisce le prescrizioni minime applicabili alla qualità dell'acqua e al relativo monitoraggio e le disposizioni sulla gestione dei rischi, per tutti i Paesi Membri, per consentire l'uso sicuro delle acque reflue urbane trattate a scopo irriguo.
L'obiettivo generale del Regolamento è di contribuire ad alleviare il problema della scarsità di risorse idriche in tutta l'Unione Europea, nel quadro dell'adattamento ai cambiamenti climatici, aumentando il riutilizzo delle acque reflue trattate, in particolare per l'irrigazione. L'adozione del Regolamento si inserisce nella più ampia strategia a livello europeo per fronteggiare la carenza idrica e la siccità [2] , attuando il Piano d'azione dell'Unione Europea per l'economia circolare [3] e integrando il processo di modernizzazione che sta investendo la Politica Agricola Comune e gli obiettivi in materia di cambiamenti climatici declinati nel Green Deal.
Come sappiamo, il riuso irriguo delle acque reflue trattate rappresenta, per il settore agricolo, la possibilità di disporre di una risorsa idrica aggiuntiva non legata alla stagionalità, garantendo una maggiore stabilità delle produzioni rispetto ai rischi causati dai cambiamenti climatici, soprattutto nelle aree mediterranee dove l'acqua è un input produttivo indispensabile. Allo stesso tempo, prolungando il ciclo di vita dell'acqua, il riuso genera impatti positivi sull'ambiente riducendo i prelievi dai corpi idrici naturali e l'uso di fertilizzanti di sintesi.
A fronte di questa opportunità, il ricorso al riutilizzo dell'acqua nell'UE rimane molto al di sotto delle sue potenzialità, con grandi differenze da uno Stato membro all'altro. Gli studi propedeutici alla proposta di Regolamento [4] hanno stimato che la sua attuazione potrebbe portare ad un riutilizzo di acque per uso irriguo dell'ordine di 6,6 miliardi di m³/anno a fronte di 1,7 miliardi di m³/anno attuale, in assenza di un quadro giuridico a livello dell'UE.
Per l'Italia, che è tra i paesi del mediterraneo (insieme a Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Malta e Cipro) che ha già un sistema normativo che regola il riutilizzo, tali studi hanno stimato un potenziale utilizzo di acque reflue depurate di circa il 50%, considerando solo la vicinanza dei depuratori alle aree agricole potenzialmente da servire, indipendentemente dai costi. Si tratta di un valore potenziale che dipende dalla compatibilità tra il tipo di trattamento effettuato nell'impianto e le condizioni agronomiche (colture presenti) ed ambientali (vulnerabilità ai nitrati) delle aree agricole ad esso limitrofe, oltre che della fattibilità economica del trasporto, che possono rappresentare dei vincoli applicativi [5]. Questo tipo di valutazione è possibile, ad esempio, attraverso il webgis SIGRIAN [6] del MIPAAF (gestito dal CREA), incrociando le informazioni, anche di tipo geografico, relative al sistema irriguo nazionale e la localizzazione e caratteristiche dei depuratori prossimi alle aree agricole (vedi fig.1).
Tra gli ostacoli principali all'attuazione del riuso a scopi irrigui vi è anche la resistenza dei mercati e dei consumatori all'acquisto di prodotti alimentari irrigati con reflui trattati, anche a fronte della disuniformità normativa in materia sul territorio dell'Unione ostacolando, di fatto, la circolazione di prodotti agricoli. In aggiunta, molti disciplinari relativi a produzioni di qualità non prevedono l'uso di acque non convenzionali.
Il nuovo Regolamento contribuisce a rimuovere anche queste criticità in quanto, definendo regole comuni a tutti gli Stati Membri crea parità di condizioni delle pratiche di riutilizzo, prevenendo i potenziali ostacoli alla libera circolazione sul mercato interno di libero scambio dei prodotti agricoli irrigati con acque reflue. Al contempo, tali regole, finalizzate alla tutela della salute umana e dell'ambiente da qualsiasi forma di contaminazione, unite all'obbligo di garantire trasparenza e pubblico accesso alle informazioni online sulle pratiche di riutilizzo delle acque nei rispettivi Stati membri, mirano ad aumentare la fiducia dei consumatori nei confronti delle pratiche di riutilizzo.
La struttura del regolamento si basa sui seguenti principali elementi: i) prescrizioni minime da soddisfare affinché le acque trattate provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane possano essere utilizzate per l'irrigazione, appropriate a ciascuna destinazione d'uso (fit for purpose) con riferimento sia ai requisiti di qualità (4 parametri) che ai requisiti di monitoraggio (6 parametri); ii) un Piano di gestione dei rischi sito specifico redatto dal gestore dell'impianto di affinamento, con il coinvolgimento o la consultazione degli utilizzatori finali e che deve contenere, oltre alla descrizione dei trattamenti applicati, delle colture irrigate e dei relativi volumi impiegati, anche l'identificazione degli attori coinvolti (dalla produzione all'utilizzo finale) e le relative responsabilità per garantire che il sistema di riutilizzo dell'acqua sia sicuro, comprese le prescrizioni relative alla distribuzione, allo stoccaggio e all'utilizzo; iii) la necessità di un permesso per la produzione e l'erogazione di acque affinate destinate a scopi irrigui, rilasciato sulla base del Piano di gestione dei rischi e che stabilisce gli obblighi del gestore dell'impianto di affinamento e di qualsiasi altra parte responsabile; iv) informazione e sensibilizzazione del pubblico.
Questo approccio costituisce una novità rispetto all'impianto dell'attuale normativa italiana di riferimento in materia di riuso diretto delle acque reflue urbane depurate, rappresentata dal Decreto del Ministero dell'Ambiente n.185 del 2003 [7] (vedi Tabella 1). Tale decreto si basa, infatti, sulla definizione di valori limite di qualità delle acque in uscita dagli impianti di depurazione e destinate al riuso per diverse destinazioni d'uso (civile, agricolo, industriale), con riferimento a numerosi parametri chimico fisici e microbiologici (quasi 40). Per l'uso irriguo, i valori limite dei parametri di qualità non sono differenziati per tipologia di colture ma presentano un unico valore.
Per partecipare all'iter negoziale che ha portato all'approvazione dell'attuale Regolamento, a livello nazionale, è stato istituito un tavolo interministeriale di coordinamento, a cui anche il Mipaaf ha partecipato con il supporto tecnico del CREA-PB con lo scopo di favorire il ricorso al riuso delle acque reflue a fini irrigui quale misura per ridurre lo stress idrico, garantire una tutela per l'utilizzatore finale in merito alla qualità delle acque destinate alle colture senza aggravi per le aziende agricole, assicurare la compatibilità del Regolamento con la gestione collettiva dell'irrigazione, anche in merito alla definizione dei ruoli e delle responsabilità nella gestione della rete di distribuzione delle acque trattate.
E di fatti, il nuovo Regolamento consente agli operatori del settore alimentare di adottare ulteriori metodi di trattamento delle acque o di utilizzare altre fonti irrigue alternative alle acque trattate, laddove le acque trattate distribuite non siano di classe di qualità adeguata alle proprie necessità.
Questa condizione permette di adottare il trattamento che risulti il più appropriato ed economicamente sostenibile in relazione alle principali colture presenti nell'area da servire, applicando ulteriori trattamenti o barriere solo per le colture per le quali siano richieste classi di qualità superiori, anche per il rispetto di eventuali disciplinari di produzione. Dall'altra parte, questo potrebbe tradursi in un aggravio di costo a carico per l'utilizzatore finale laddove questa circostanza non sia adeguatamente tenuta in considerazione nel Piano di gestione dei rischi che, grazie alla sua natura sito specifica, può rappresentare uno strumento utile a tale tipo di valutazioni.
Il Regolamento entrerà in vigore a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea, ma si applicherà tra tre anni. Nel frattempo, occorrerà velocemente adeguare anche il sistema delle competenze in materia di rilascio delle autorizzazioni previste dal Regolamento stesso, rafforzando il coordinamento tra le diverse autorità preposte.
Inoltre, in vista dell'avvio delle programmazioni post 2020 dei diversi fondi europei e nazionali, ed in particolare tramite la Politica Agricola Comune, occorrerà cogliere tutte le opportunità per favorire l'attuazione del Regolamento affinché ci sia una sempre maggiore diffusione a livello nazionale del riuso delle acque reflue, visti i vantaggi che ne possono derivare per la collettività.
Tabella 1 - Le principali novità del Regolamento rispetto alla vigente normativa italiana
Fig. 1 - Localizzazione impianti di trattamento acque reflue ed enti irrigui (fonte: elaborazioni su dati SIGRIAN)
Raffaella Zucaro (*) e Marianna Ferrigno (**)
(*) Primo ricercatore CREA Politiche e bioeconomia
(**) Ricercatore CREA Politiche e bioeconomia
PianetaPSR numero 92 giugno 2020