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Ue, i cambiamenti demografici rendono più vulnerabile la società europea

Una relazione adottata dalla Commissione evidenzia rischi e problematiche legate all'evoluzione demografica del continente e rappresenta la base del lavoro che porterà al "libro verde dell'invecchiamento" e a una "Visione di lungo periodo per le aree rurali".

Un'Europa sempre più anziana e marginale nella distribuzione della popolazione a livello mondiale deve fare della questione demografica un elemento centrale e trasversale di tutte le politiche Ue. Il "Vecchio continente", secondo una relazione adottata nelle scorse settimane dalla Commissione, è sempre più vecchio e solo i flussi migratori attenuano il peso crescente dal punto di vista dei costi sociali della popolazione più anziana. 

Gli effetti della pandemia di Coronavirus hanno determinato cambiamenti profondi a livello mondiale, costringendo a ripensare in prospettiva molte scelte strategiche nelle quali, inevitabilmente, la questione demografica svolgerà un ruolo centrale. Per questo la relazione, nell'ottica della Commissione, avvia un processo che contribuirà a individuare azioni e soluzioni concrete, tenendo conto degli insegnamenti tratti dalla pandemia, per aiutare le persone, le regioni e le comunità che ne sono maggiormente colpite e per consentire loro di adattarsi alle realtà in continua evoluzione.

 

Impatti dei cambiamenti demografici

Fonte: Commissione europea

I numeri

Gli europei vivono sempre di più e continueranno a farlo nel prossimo mezzo secolo: se nel 2018 la speranza di vita alla nascita è salita a 78,2 anni per gli uomini e a 83,7 anni per le donne, si prevede che questa tendenza continuerà e gli uomini nati nel 2070 dovrebbero vivere fino a 86 anni e le donne fino a 90 anni.

È ovvio che uno scenario del genere costringe ad una riflessione sulla necessità di modificare il nostro modello di società per poterne garantire la sostenibilità economica e sociale.

L'età mediana dell'Europa a 27 è passata dai 38,4 anni del 2001 ai 43,7 del 2018 e in Italia è arrivata a 46,7, nove anni in più rispetto ai Paesi con la mediana più giovane (Irlanda e Cipro).

Un dato che assume contorni più preoccupanti se si considera l'"indice di dipendenza" tra over 65 e popolazione in età lavorativa: Nel 2019 il rapporto è arrivato al 34,1%: per ogni anziano ci sono meno di tre persone tra i 20 e i 64 anni. 

In Italia questa percentuale è la più alta d'Europa: 38,6%. Un ulteriore elemento che non gioca a favore del nostro Paese, soprattutto perché le ultime previsioni Eurostat vedono una riduzione della popolazione in età lavorativa della Eu a 27, tra il 2020 e il 2070, e un aumento degli over 65 (che nel 2070 dovrebbero arrivare a rappresentare oltre un terzo degli europei) con il rapporto di dipendenza che raggiungerebbe il 59,1% e in Italia volerebbe ben oltre il 60%.

 
 

Le differenze territoriali

I risultati della relazione demografica della Commissione indicano che non esiste un approccio universalmente valido. L'elaborazione delle politiche deve tenere conto della realtà sul terreno e questo riguarda in maniera particolare le aree rurali. 

Il rapporto evidenzia che degli europei che vivono nelle regioni più povere e con fenomeni di spopolamento più rapidi il 55% risiede in aree rurali, mentre solo l'1% in quelle urbane. Un dato particolarmente significativo se si considera che la distribuzione attuale prevede che in queste ultime viva solo il 21% della popolazione.

La prospettiva a lungo termine per le aree rurali

Il ruolo delle aree rurali in questo contesto diventa cruciale: garantiscono un costo della vita più basso, una ridotta densità abitativa e un minore livello di inquinamento. Allo stesso tempo, però, molte sono carenti a livello infrastrutturale e di servizi, pubblici e privati. Questo determina un graduale spopolamento e una maggiore difficoltà nell'attrarre investimenti e garantire un ricambio generazionale. Trasporti, accesso ai servizi sanitari e banda larga diventano, insieme con una distanza contenuta da un'area urbana strutturata e funzionale, elementi fondamentali per garantirne lo sviluppo. 

Discorso a parte per le zone rurali più lontane dai grandi centri abitati: "In questo caso lo sviluppo rurale deve affrontare una serie di ulteriori sfide - si legge nel report - come, ad esempio, ala preponderanza del settore primario e la sua catena del valore o a una bassa crescita economica e demografica". 

Su questo tema la Commissione avvierà un'ampia consultazione pubblica che porterà alla definizione, il prossimo anno, di un documento che esprima la "Visione a lungo termine per le aree rurali".

 
 

Matteo Tagliapietra

 
 

PianetaPSR numero 92 giugno 2020