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Agricoltura sociale

L'agricoltura sociale come "welfare verde": i dati del primo Rapporto Coldiretti

Sono circa 9mila le imprese agricole che svolgono attività di agricoltura sociale. Sette anni fa erano 1.300. 

Un aumento di quasi il 700% tra il 2013 e il 2020 ed un valore di servizi sanitari ed educativi pari ad un miliardo. È questo il quadro dell'agricoltura sociale italiana secondo il Rapporto presentato nelle scorse settimane da Coldiretti. Le aziende agricole che si dedicano anche a questo tipo di attività sono circa 9mila, erano 1.300 nel 2013, e circa 40mila le famiglie che hanno potuto usufruire dei loro servizi.

DISTRIBUZIONE TERRITORIALE

Oltre la metà delle realtà attive in questo ambito si concentrano al Nord, 52,4%, mentre il 21,4% si trova al Centro e il 26,2% al Sud, e circa il 50% svolge queste attività in maniera strutturata e continuativa. Le regioni in cui sembra essere più presente l'agricoltura sociale per numero di esperienze in corso sono: Piemonte (che ospita il 23% delle pratiche), Puglia (9%), Toscana e Veneto (8%). 

Alcuni fattori sembrano influire in maniera rilevante sulla presenza territoriale, a partire dall'avvio di politiche locali di supporto, passando per la presenza di centri di ricerca specializzati sul tema, l'esistenza di progetti di lunga durata attivati sul territorio e la gestione di pratiche di animazione di territorio. Questo aspetto, si legge nel documento "indica come, laddove il fenomeno agricoltura sociale venga riconosciuto e accompagnato dal territorio, la sua diffusione divenga molto più rapida e incisiva. Dove, invece, le pratiche pioniere non trovano interlocutori pronti nelle istituzioni o nelle organizzazioni territoriali, la diffusione del fenomeno e la contaminazione di nuovi attori, invece, appaia più lenta".

STRUTTURA AZIENDALE

L'analisi del campione individuato per il Rapporto evidenzia come le aziende siano nella maggior parte dei casi strutturate come imprese individuali (58,5%), seguite dalle società di persone (21%), dalle società cooperativa (16,2%) e nel 2,2% da società di capitali.

Se si ordinano le imprese per "anzianità", ciò che emerge è che oltre il 60% opera nel settore dell'agricoltura sociale da oltre 10 anni, mentre quasi un quarto (23,6%) è da considerarsi "start up", ovvero operante da 1 a 5 anni nel settore.

Due caratteristiche che differenziano queste imprese dalla nazionale sono la pressoché equa presenza di donne (54%) e uomini (46%) e una SAU media oltre tre volte più grande della media (24 ettari contro 7), anche se oltre un quarto sono sotto i cinque ettari. 

A prescindere dalla dimensione, con le ovvie differenze, tutte le imprese oggetto dell'indagine mostrano la capacità di stare sul mercato con la produzione agricola che rimane l'elemento prevalente.

PRODUZIONI E CANALI DI VENDITA

La tipologia di prodotti più diffusa è quella degli ortaggi, coltivati dal 64% delle imprese, la metà delle imprese frutta, quasi un terzo (32%) confetture e quasi un quarto (24%) conserve vegetali. Olio extra vergine di oliva e vino sono prodotti rispettivamente dal 29% e 15% delle imprese. Il Rapporto evidenzia come la totalità delle imprese vende prodotti freschi e quasi 9 imprese su 10 (89%) vendono i propri prodotti in parte anche trasformati.

Per quasi un terzo delle imprese (31%), si legge nel documento, la PLV è rappresentata per oltre il 75% da prodotti freschi, per quasi 4 imprese su 10 (39%) la quota rappresenta da prodotti trasformati è compresa fra 1e 25%.

Le aziende agricole impegnante nell'agricoltura sociale interagiscono con la clientela attraverso una molteplicità di canali, con una evidente predilezione per la vendita diretta (utilizzata dal'80% delle imprese) soprattutto attraverso un punto vendita aziendale (73%) e i mercati. Quasi un terzo delle imprese (31%), sottolinea il Rapporto, rifornisce gruppi di acquisto solidali (GAS). Questi canali distributivi rappresentano luoghi d'elezione dei prodotti di agricoltura sociale e occupano un ruolo fondamentale sul piano commerciale, legato a una consapevolezza nell'atto di acquisto da parte del cittadino. Ancora limitato, invece, l'utilizzo dei canali web.

LE RISORSE PER LA CRESCITA DEL SETTORE

Andando ad analizzare le principali fonti di finanziamento pubbliche e private esplicitamente dedicate all'agricoltura sociale risulta evidenze il ruolo di primo piano svolto dai Programmi di Sviluppo Rurale, che rappresentano circa un quarto del totale (24%); se si aggiungono FES e FESR si arriva a circa il 30%. La crescente attenzione e il riconoscimento del valore della tematica da parte delle Istituzioni e delle Amministrazioni, scrive Coldiretti nel Rapporto, fa immaginare nel medio periodo un incremento della disponibilità di finanziamenti dedicati a questo settore. Il documento evidenzia il ruolo che possono svolgere gli Albi, istituiti dalle normative regionali ma non ancora particolarmente diffusi, che possono favorire il processo di riconoscimento delle imprese di agricoltura sociale da parte dei soggetti istituzionali.

VOLONTARI E LIMITI NORMATIVI

Il Rapporto analizza un aspetto specifico di questa tipologia di attività, ovvero la presenza e il ruolo dei volontari. Le imprese di agricoltura sociale, evidenzia il documento, mostrano una forte attrattività nei confronti di volontari (24%), ovvero "persone che apprezzano la dimensione sociale dell'impresa e desiderano poter dare il loro contributo non solo con l'acquisto delle produzioni aziendali ma anche con il proprio tempo e lavoro". Il Rapporto evidenzia, però, anche un problema normativo che rischia di frenare questo fenomeno. Le norme del settore, si legge, "non sono ancora in grado di gestire le molte novità rappresentate dell'innesto tra profit e no-profit, tipiche dell'impresa sociale. Uno sforzo normativo in tale direzione sarebbe sicuramente utile allo sviluppo del settore, la cui principale innovazione è rappresentata proprio dalla capacità di innestare ambiti e competenze finora separati e non abituati a dialogare".

IL WELFARE VERDE

In un momento storico che vede una sempre maggiore difficoltà del welfare italiano nel generare risposte a una domanda a sua volta crescente di servizi alla persona, sottolinea il Rapporto, "la diffusione dell'agricoltura sociale nella rete pubblica dei servizi, come previsto dalla normativa, accresce le risorse disponibili sui territori grazie a una nuova sussidiarietà che coinvolge il privato d'impresa, accresce la possibilità di avere accesso a servizi monitorati, orienta gli sforzi delle famiglie verso direzioni più qualificate, coordinate e monitorate, accrescendo il ruolo del servizio pubblico, seppure modificandone la forma". La situazione attuale, inoltre, mostra come il ruolo dell'agricoltura sociale sia ancora molto contenuto rispetto al suo potenziale impatto: attraverso "una più elevata sensibilità degli interlocutori pubblici - nazionali, regionali e locali - e privati - del terzo settore e del mondo delle imprese - a un progetto non assistenziale e paternalistico dell'agricoltura sociale, ma attento alla sussidiarietà, al riconoscimento delle competenze multiple necessarie e alla promozione di sistemi innovativi di modelli economici di lavoro, potrebbe contribuire in misura assai maggiore di quella pur oggi già rilevante, all'arricchimento quanti-qualitativo del sistema di welfare nazionale a supporto delle persone a più bassa contrattualità nelle aree periurbane e rurali".

 
 
 
 

Redazione Pianeta PSR

 
 

PianetaPSR numero 93 luglio/agosto 2020