Tra uomini e animale esiste una competizione per le risorse alimentari. Questo è vero soprattutto nei confronti dei monogastrici e degli avicoli. Nel passato, in una agricoltura in prevalenza di autoconsumo, questi animali vivevano con gli scarti delle altre produzioni o della cucina o con quello che trovavano sull'aia e nei campi. Nei sistemi razionali di allevamento, l'alimentazione di queste specie si basa invece in gran parte su cereali e leguminose, che potrebbero entrare direttamente nella dieta dell'uomo. Con l'aumento dei consumi di proteine animali da parte di una popolazione crescente, questa competizione può costituire un problema per la sicurezza alimentare.
I ruminanti assumono un ruolo diverso, perché sono in grado di utilizzare alimenti che, per loro composizione chimica, non sono edibili da parte dell'uomo. Le foglie e i fusti delle piante sono formati da cellule che presentano una membrana costituita di cellulosa che impedisce ai monogastrici, come l'uomo, di digerire i nutrienti in esse contenute. Al contrario i ruminati sono dotati di un sistema digerente che ospita una popolazione microbica in grado di degradare la parte fibrosa delle cellule vegetali, rendendone disponibile il contenuto. I ruminanti possono perciò utilizzare ingenti quantità di risorse alimentari non altrimenti utilizzabili nella catena alimentare. I bovini e tutti gli altri ruminati possono così utilizzare l'erba dei prati o dei pascoli, oppure la biomassa degli erbai.
Grandi aree delle terre emerse non potrebbero essere utilizzate per produrre cibo se non ci fossero questi animali. L'allevamento è praticamente l'unica fonte alimentare nelle savane o nelle steppe. In un contesto più familiare i pascoli alpini o appenninici svolgono un ruolo importate per l'economia e la tenuta ambientale di questi territori.
Per ragioni economiche e sociali l'allevamento si è evoluto negli ultimi decenni e la produttività degli animali è aumentata di molte volte. La produzione di latte per capo è triplicata in 70 anni e per la carne si usano razze specializzate in grado di realizzare incrementi di peso notevoli e fornire carcasse con rese assai elevate. I fabbisogni di energia e di proteine sono così aumentati e, poiché c'è un limite nella capacità di ingestione, la dieta dei ruminanti si arricchita di farine e proteine da legumi o proteaginose. La conseguenza è stata che anche i bovini, in qualche misura, sono entrati in concorrenza con l'uomo.
Per fornire alcune indicazioni su come ridurre questo conflitto e rafforzare il ruolo ecologico dei ruminanti è stato realizzato il progetto Sustainbeef, Co-definition and evaluation of sustainable beef farming systems based on resources non edible by humans, che si svolge nell'ambito del programma ERA-NET Susan. Si tratta di un progetto triennale che ha l'obiettivo di proporre soluzioni per ridurre il consumo nella produzione di carne bovina di alimenti che possono essere utilizzati direttamente dall'uomo. Il progetto triennale è coordinato dal Centro di ricerca per l'agricoltura della Vallonia, con la collaborazione dell'INRAE francese, del Teagasc irlandese, dell'Istituto per l'allevamento francese, del CREA (Centro di ricerca zootecnia e acquacolture), dell'Università di Bonn, dell'Associazione allevatori della Vallonia e dell'University College di Dublino.
Il progetto, che ormai sta volgendo al termine, ha previsto tre fasi. La prima è stata la descrizione dei principali e più rappresentativi sistemi di allevamento di bovini da carne dei paesi interessati dal progetto. Sono stati individuati 16 casi studio: cinque riguardanti allevamenti di vacche allattanti (linea vacca-vitello); tre di allevamenti di vacche allattanti e ingrasso; cinque di allevamenti specializzati nell'ingrasso; uno riguardante l'ingrasso in un allevamento specializzato di bovini da latte; e un allevamento con animali da carne e da latte. Per quanto riguarda l'Italia, i casi studio sono stati due allevamenti specializzati nell'ingrasso di bovini, di provenienza francese, che è
la tipologia di impresa più diffusa nel nostro Paese.
Di questi casi studio è stata stimata la capacità di produrre energia e proteina edibile nette, ossia superiori a quelle consumate dagli animali allevati.
La figura mostra i risultati di questa analisi. Quando l'indicatore supera il valore zero significa che il sistema d'allevamento è produttore netto di proteina o di energia. Praticamente tutti i sistemi sono consumatori netti di energia. Molto più variegati sono i risultati riguardanti la proteina. Gran parte dei sistemi sono consumatori netti di proteina, ma ve ne sono altri che sono produttori netti. Gli allevamenti di vacche nutrici sono in maggioranza produttori netti, perché questi animali hanno fabbisogni limitati e la loro alimentazione non prevede l'uso di concentrati, se non in alcune situazioni ma in misura molto limitata. Anche qualche caso di allevamento specializzato per l'ingrasso è un produttore netto. Ad esempio, l'allevamento italiano IT-F1 è un produttore netto grazie all'elevata efficienza alimentare e all'uso oculato di una certa quantità di sottoprodotti dell'industria saccarifera e molitoria.
La seconda fase del progetto ha riguardato la stima dell'impatto ambientale, economico e sociale dei casi studio presi in considerazione. L'analisi avviene mediante una serie di modelli bioeconomici messi a punto dall'Università di Bonn. L'analisi non riguarda solamente la situazione attuale degli allevamenti, ma anche quella che potrebbe verificarsi a seguito dell'introduzione di alcune delle innovazioni che sono state individuate nella terza fase del progetto.
Questa terza fase ha infatti riguardato l'individuazione, mediante un processo partecipativo ed interattivo, delle innovazioni che possono ridurre la competizione tra uomo e bovino nell'uso delle risorse alimentari. Tale processo consiste non solo nel proporre delle soluzioni agli operatori del settore, ma anche nel ricevere da essi suggerimenti, nuove soluzioni, affinamenti e compiere un'analisi SWOT.
Il processo è iniziato con un'analisi bibliografica, che ha riguardato la letteratura scientifica e quella grigia, comprendente cioè rapporti o banche dati non pubblicati. Sono seguite interviste a esperti del settore, rappresentati da allevatori, tecnici dell'industria mangimistica, nutrizionisti e funzionari delle associazioni di razza. Questi due passaggi hanno permesso di redigere una lunga lista di innovazioni che, almeno teoricamente e in via diretta o indiretta, permettono di ridurre la competizione. Nel progetto Sustainbeef per innovazione non si intende una novità in senso assoluto, ma piuttosto una pratica o una tecnologia, anche adottate in altri contesti o in altri momenti, che trova un'applicazione positiva nel contesto preso in esame. Nell'elenco sono state comprese molte innovazioni, che riguardano ad esempio l'uso di sottoprodotti dell'industria agro-alimentare, le partiche di pascolamento, la selezione genetica, le tecniche di riproduzione, i sistemi foraggeri, i sistemi di conservazione dei foraggi ecc.
La lista, o meglio le liste nei diversi paesi del progetto sono state oggetto di discussione di focus group, cui hanno preso parte allevatori e tecnici. Nei focus group non sono state prese in considerazione soltanto le soluzioni delle liste, ma ne sono emerse anche delle altre. In ogni caso sono stati messi in evidenza i limiti, i vantaggi, la fattibilità tecnica ed economica. Sono stati pure presi in esame quali dovessero essere le misure da adottare per poter mettere in pratica tali innovazioni, sia in termini organizzativi di filiera o di mercato, sia in termini di sostegno politico.
La discussione ha ovviamente portato all'eliminazione di diverse innovazioni, perché ritenute non economiche o non realizzabili oppure semplicemente non efficaci nel risolvere il problema della competizione tra uomo e bovino. Per l'Italia le innovazioni hanno riguardato l'uso dei sottoprodotti, l'incrocio di vacche da latte con razze da carne specializzate e l'ingrasso sul pascolo. Queste innovazioni si sarebbero dovute poi discutere in altri focus group in cui i partecipanti sarebbero stati gli altri attori della filiera, come macellatori, commercianti, distribuzione, consumatori. Lo scoppio dell'epidemia del Corona virus ha drasticamente ridimensionato questi incontri e si è puntato ad interviste mirate per la sola pratica dell'ingrasso su erba, perché ritenuto più innovativo, ma soprattutto perché è risultata un'innovazione presa in considerazione in tutti i paesi, esclusa l'Irlanda in cui si tratta di un sistema di allevamento che rappresenta quasi la norma. Molto diverso è il contesto italiano, ovviamente, in cui la irregolare distribuzione delle piogge e il costo della terra rende piuttosto difficile la sua diffusione. Dalle interviste sono comunque emerse cose interessanti che hanno riguardato l'organizzazione del lavoro, reso più semplice e meno impegnativo, la necessità di avere a disposizione essenze prative adatte, le modalità di vendita che devono considerare la disponibilità di macellai artigiani che valorizzino tale tipo di carne.
Nella figura appaiono alcuni incroci Angus per Frisona Italiana, ottenuti mediante il sessaggio del seme, in un allevamento di bovine da latte che ingrassa gli animali che eccedono la rimonta allevandoli al pascolo fino all'età di macellazione. È un sistema che si avvale della combinazione di due innovazioni, una ormai piuttosto diffusa che è quella del sessaggio per avere degli incroci e l'altra, assai più rara nel contesto italiano, che è l'ingrasso al pascolo. In questo caso la razza utilizzata per l'incrocio non è la Blu Belga che è la razza da incrocio più diffusa, ma è l'Angus perché, secondo l'allevatore, è più adatta al pascolamento e perché presenta carni più apprezzate dai consumatori che si avvicinano a questo prodotto.
Le prestazioni non sono ovviamente quelle di un allevamento specializzato nell'ingrasso dei bovini da carne e non è facile decifrare i risultati economici, perché si tratta di un'attività marginale rispetto all'allevamento da latte, in cui questi animali si trovano. Tuttavia, è una diversificazione interessante e un esperimento dal quale chi volesse intraprendere questa strada potrebbe imparare molte cose.
Il progetto fornirà infine anche indicazioni di carattere metodologico, su come svolgere un'indagine partecipativa e sull'organizzazione dei focus group. Alcuni report sono già disponibili sul sito del progetto e altri saranno disponibili nei prossimi mesi, perché ancora in preparazione.
Giacomo Pirlo, CREA Centro di ricerca zootecnia e acquacoltura.
giacomo.pirlo@crea.gov.it
PianetaPSR numero 94 settembre 2020