Oltre il 60% delle industrie alimentari italiane prevede una contrazione del giro d'affari: i consumi fuori casa sono statici e le vendite al dettaglio non sono in grado di compensare mentre gli esportatori segnalano un calo delle richieste dall'estero. Sono alcuni degli elementi evidenziati dal rapporto "L'industria alimentare italiana oltre il Covid-19", redatto da Nomisma per Centromarca e Ibc, secondo il quale lo scenario nazionale e internazionale, stravolto dall'emergenza pandemia, determina una mancanza di fiducia nelle imprese: solo il 20% delle aziende prevede nel 2020 un incremento del fatturato in Italia e all'estero, mentre per il 62% l'anno si chiuderà con una contrazione delle vendite (superiore al 15% per il 38% delle imprese). I dati sull'andamento del giro d'affari confermano la previsione: -9,5% ad aprile (sullo stesso mese 2019), -5,8% a maggio e -1,1% sia a giugno che a luglio.
Il rapporto evidenzia l'importanza dell'industria della trasformazione alimentare: in uno dei momenti più difficili nella storia dell'economia italiana, le vendite al dettaglio di prodotti alimentari (+3,3% rispetto al -17,6% degli altri prodotti rispetto al periodo gennaio-luglio 2019) hanno sostenuto anche l'attività della Grande Distribuzione (+4,4% contro un valore delle vendite complessive nello stesso canale del -4%) e delle piccole superfici (+3,9%).
Positivi nei primi sette mesi dell'anno anche i dati relativi all'export che evidenziano ancora un risultato cumulato positivo per l'alimentare italiano (+3,5%) a fronte di un crollo complessivo di tutte le esportazioni, pari al -14%, sebbene aprile e maggio abbiano registrato cali sensibili (rispettivamente -1 e -12%).
"Le diverse modalità adottate nel mondo, nei tempi e nell'applicazione del lockdown, hanno determinato performance differenti nell'export dei nostri prodotti, penalizzando principalmente quelli venduti nel canale Horeca - sottolinea Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma e curatore del Rapporto -. Si spiegano così, per esempio, il -4% nell'export di vino e, all'opposto, il +25% della pasta italiana o il -7,8% dell'export alimentare francese contro il +2,7% di quello spagnolo". L'indagine, che ha coinvolto 200 imprese del food&beverage italiano, ha evidenziato che il 42% degli esportatori lamenta comunque una contrazione sui mercati esteri e il 35% delle aziende teme, per il futuro, una perdita di posizionamento dei propri prodotti a causa di un maggior protagonismo delle imprese locali.
Se prima dell'emergenza l'82% delle aziende aveva pianificato investimenti per quest'anno, la mancanza di liquidità, la difficoltà di accesso al credito e la congiuntura negativa spingono ora il 38% delle imprese a rimodularli e il 31% a rinviarli. Il rimanente 31% prevede di mantenerli, destinandoli in particolare all'acquisto di impianti e macchinari funzionali al ciclo produttivo (86%), di nuove tecnologie (46%) e a ricerca e sviluppo di nuovi prodotti (39%).
Il Rapporto, edito da Egea, fotografa un comparto ancora polverizzato, costituito essenzialmente da imprese di piccole dimensioni, che affrontano con difficoltà il mercato globale. Meno di ottomila aziende su 56mila hanno più di nove addetti. Mancano strategie di branding, piani per l'internazionalizzazione, progetti per l'integrazione delle tecnologie digitali. «Per l'industria alimentare la priorità è crescere dimensionalmente senza perdere quelle caratteristiche di eccellenza che fanno la differenza sul piano competitivo», afferma Alessandro d'Este, presidente di Ibc. "Lo conferma il fatto che 49 realtà produttive, con un giro d'affari di superiore ai 350 milioni di euro, sviluppano il 36% del fatturato del settore, il 52% dell'export, il 34% del valore aggiunto e concentrano il 23% degli occupati".
La pandemia ha portato gli italiani a modificare le loro abitudini d'acquisto e i consumatori hanno compreso i vantaggi della spesa on-line e, secondo il rapporto, indietro non si torna. Anche le aziende lo hanno capito, tanto che - come emerso dalla medesima indagine - una su tre pensa di potenziare l'e-commerce e la propria presenza sui social network nei prossimi mesi.
Ma la pandemia ci lascia in eredità altri mutamenti, evidenzia il lavoro Nomisma, i cui effetti si consolideranno anche nei prossimi anni. La maggior attenzione da parte dei consumatori all'italianità delle produzioni porterà ad un rafforzamento delle relazioni tra gli operatori lungo la filiera, gli obiettivi di sostenibilità ricercati dai consumatori, ma anche imposti dalle politiche comunitarie (Green Deal) favoriranno gli investimenti green nelle imprese alimentari così come la diffusione dello smart working peserà necessariamente sulla spesa per consumi fuori casa (e quindi sul recupero e tenuta della ristorazione nelle grandi città). Più che l'estero, è il mercato nazionale a preoccupare le imprese: 7 su 10 ritengono infatti che occorreranno anni per recuperare quanto si è perso in termini di consumo sul fronte dei valori, anche alla luce della crisi economica e del calo di redditi che interesserà gli italiani nei prossimi mesi.
Più ottimisti invece per quanto riguarda l'export anche se, pure su questo fronte, non mancano le incognite. Secondo il 38% delle imprese intervistate, il timore di una riduzione dell'export alimentare italiano per il biennio 2020-2021 appare significativo, con un terzo delle aziende che imputa un calo nel posizionamento dei nostri prodotti ad un maggior protagonismo delle imprese locali nei mercati target. Senza considerare le problematiche geopolitiche: dal contenzioso tra Usa e Ue in tema di dazi alla Brexit senza accordo (No Deal), due criticità attinenti, rispettivamente con 4,5 e 3,1 miliardi di euro, il nostro secondo e quarto mercato di export.
Redazione PianetaPSR
PianetaPSR numero 94 settembre 2020