Home > Pianeta Rurale > Rete Rurale Nazionale > L'agroalimentare italiano nelle dinamiche del commercio globale e lo shock del Covid-19
Coronavirus

L'agroalimentare italiano nelle dinamiche del commercio globale e lo shock del Covid-19

L'analisi è contenuta nel report ISMEA "Dinamiche del commercio estero globale, nazionale e regionale e l'impatto del Covid-19 sul settore agroalimentare".

Nell'ambito delle attività del Programma Rete rurale nazionale 2014-2020 (RRN-Ismea 10.1) l'Ismea ha svolto uno studio per valutare la dinamica del commercio estero globale, nazionale e regionale e i possibili impatti del Covid-19 per il settore agroalimentare.

Per oltre un decennio, prima dell'irrompere del Covid-19, le esportazioni agroalimentari italiane sono cresciute in maniera continua, con l'unica eccezione del 2009 in concomitanza della crisi economica mondiale. Tale crescita è stata decisamente superiore rispetto alle esportazioni complessive dell'Italia, rappresentando un fattore importante di traino per il PIL nazionale. 

Malgrado la buona dinamica complessiva delle esportazioni agroalimentari, la performance competitiva, misurata dall'andamento della quota dell'Italia sul mercato mondiale dei prodotti agroalimentari, fino al 2012 è stata negativa. Dopo il 2012 la tendenza si è invertita con un progressivo recupero della competitività dell'agroalimentare italiano. 

È importante comprendere i fenomeni alla base del miglioramento della performance competitiva dell'agroalimentare italiano degli ultimi anni, in un contesto di crescente competizione internazionale, e approfondire quali siano le potenzialità e i fattori limitanti per il rafforzamento del posizionamento dei prodotti made in Italy sui mercati internazionali. Ciò anche in considerazione dello shock globale intervenuto con il Covid-19, che ha determinato impatti negativi rilevanti sul commercio mondiale e che impone riflessioni sulle sfide future.

L'evoluzione della domanda

Secondo le analisi effettuate nel corso degli anni dall'Ismea, dopo il 2012 la domanda mondiale di prodotti agroalimentari si è orientata maggiormente verso molti prodotti di specializzazione dell'Italia nell'export agroalimentare, con una bassa crescita degli scambi di commoditye un notevole dinamismo di quelli relativi ai prodotti alimentari a maggior valore aggiunto, elaborati e trasformati, ma anche della frutta, che oggi è il comparto più importante, superando in valore le carni e le bevande. In effetti tra il 2012 e il 2019 le esportazioni agroalimentari italiane sono state più dinamiche rispetto al livello medio globale (+5,0% nel 2019 rispetto al 2012 vs +3,5% del mondo). 

La dinamica della domanda mondiale di prodotti agroalimentari tra il 2012 e il 2019 è stata trainata dai paesi asiatici, sebbene al primo posto tra i mercati più ampi vi siano sempre gli Stati Uniti, seguiti da Cina, Germania e Giappone. Nell'ambito dei Top 20, tra i paesi sviluppati extra-europei, gli USA sono gli unici per i quali le importazioni sono cresciute più della media mondiale, mentre nell'UE spiccano Polonia e Spagna.

L'export italiano

L'Italia mantiene rapporti consolidati con Germania, Francia e Stati Uniti. Le esportazioni sono dirette prevalentemente all'interno dell'UE, dove la domanda non è cresciuta molto negli ultimi sette anni; tuttavia, il peso percentuale dei Paesi terzi nelle destinazioni è aumentato. L'indice di distanza fornisce un'indicazione sintetica del raggio di azione italiano, che si conferma piuttosto limitato. In media i prodotti italiani percorrono circa 2.900 km, ma la distanza dei paesi di destinazione è in leggero aumento in questi sette anni, soprattutto nel 2019.

La dinamica di crescita delle esportazioni nell'ultimo settennio è stata guidata soprattutto da spumanti, formaggi freschi, caffè, prodotti della panetteria e pasticceria e preparazioni a base di cacao e cioccolata. Dei principali prodotti, la maggior parte ha guadagnato quote di mercato nel mondo, fanno eccezione l'olio d'oliva, le mele e l'uva da tavola, che hanno perso peso. Anche la pasta ha perso in termini di quota di mercato. A un livello più aggregato, per sette comparti sui 13 più importanti (quelli con un valore superiore a un miliardo di euro) è aumentata la quota di mercato. Ma l'Italia ha perso competitività per derivati dei cereali, preparazioni di ortaggi e frutta, frutta, carni, ortaggi e legumi. Emerge soprattutto una scarsa capacità di cogliere le enormi opportunità che si stanno aprendo con la crescita della domanda mondiale per le produzioni mediterranee (ortofrutta fresca e trasformata e olio d'oliva). 

Lo studio mette in evidenza anche la forte concentrazione delle esportazioni a livello regionale e la diversa propensione a esportare delle regioni italiane. Solo cinque regioni, infatti, coprono il 70% del valore nazionale dei prodotti agroalimentari esportati. Di queste, quattro sono del Nord con la sola Campania per il Mezzogiorno[1]. Le regioni che nel periodo 2012-2019 hanno accresciuto le esportazioni più della media sono però Veneto, Sicilia e Molise. Questa concentrazione delle esportazioni in alcune regioni è associata anche a consolidati flussi dalle aree vocate alla produzione di materie prime (ortofrutta, vino, olio d'oliva) verso industrie di trasformazione o di confezionamento o centri di distribuzione localizzati prevalentemente nel Nord.

L'impatto del Covid

L'impatto dell'emergenza Covid-19 è stato limitato per l'agroalimentare italiano, con un rallentamento dell'export. Infatti, la crescita nei primi nove mesi è stata dell'1,1% su base annua, rispetto al -12,5% del totale beni e servizi.

La dinamica è positiva per tutti i comparti ad eccezione di: vini (-3,5%, con un forte calo per gli spumanti), florovivaismo (-5,0%) e altre bevande (-5,7%); segno meno anche per latte e derivati (-3,0%). Forte crescita invece dei derivati dei cereali (+7,9%), in particolare pasta, ortaggi sia freschi che trasformati (+6,3%), frutta fresca e trasformata (+2,7%). La corsa all'accaparramento di prodotti stoccabili da parte delle famiglie non solo in Italia, quindi, ha determinato un'impennata delle vendite di pasta e prodotti da forno, conserve, surgelati. 

Tuttavia, anche se per l'agroalimentare italiano le conseguenze sono state limitate, la pandemia sta avendo un grande impatto sull'economia e quindi sul commercio globale. Sebbene nessun modello economico sia in grado di rappresentare la numerosità e la complessità degli shock provocati dall'emergenza sanitaria, i risultati delle simulazioni generate da un modello economico di equilibrio generale possono aiutare a valutarne le implicazioni per l'economia. Nel report dell'Ismea, il potenziale impatto sul PIL e sul commercio dei paesi del mondo del coronavirus è stato quantificato simulando con il modello GTAP-VA, definendo le condizioni di partenza e una serie di ipotesi iniziali. L'obiettivo del lavoro è formulare una valutazione quantitativa dei costi economici legati alla pandemia.

I risultati indicano che la potenziale perdita di reddito nei paesi colpiti è significativa, con l'Italia che registra un calo del PIL superiore al 10% e i paesi in via di sviluppo colpiti ancor più duramente. Il maggiore shock negativo nei diversi paesi si registra nei consumi dei prodotti esteri e il commercio internazionale è colpito significativamente tanto sul fronte delle esportazioni, quanto su quello delle importazioni e, nel caso italiano, le seconde diminuiscono ancor più delle prime. Il modello consente anche di valutare i collegamenti delle catene globali del valore e fa emergere, a fonte della riduzione complessiva dei flussi commerciali, un aumento della quota di beni intermedi importati utilizzati nelle esportazioni italiane. Si tratta, presumibilmente, di input che sostituiscono quelli non disponibili sul mercato nazionale e ciò sottolinea il potenziale ruolo di rete di sicurezza svolto dal commercio internazionale. Inoltre, la diversificazione, sia dei fornitori di input sia dei mercati clienti per l'export, è un elemento fondamentale di riduzione dei rischi in presenza di shock di questo tipo. Sul fronte della diversificazione, l'Italia per molte produzioni agroalimentari ha del lavoro da fare. 

In termini di conseguenze per le politiche, dalle simulazioni emergono alcune riflessioni. Sebbene il modello non colga completamente la contrazione della domanda derivante dall'isolamento sociale e dal calo della fiducia degli investitori, i risultati danno un'idea dell'impatto economico globale e del potenziale bisogno di assistenza. A breve termine, la crisi richiede risposte articolate da parte delle banche centrali, ma anche in termini di politica fiscale e sanitaria. Le risposte a lungo termine sono (se possibile) ancora più importanti, soprattutto se le malattie continueranno a rappresentare una minaccia per la vita di milioni di persone con potenziali gravi rischi per un'economia mondiale integrata; di conseguenza la cooperazione globale, soprattutto nella sfera della salute pubblica e dello sviluppo economico è essenziale. 

Infine, vi sono tre considerazioni di carattere generale che condizioneranno lo sviluppo futuro del commercio estero. Innanzitutto, proseguirà il confronto tra forme concorrenti di capitalismo: il capitalismo guidato dal mercato in stile statunitense e il capitalismo guidato dallo stato in stile cinese. In secondo luogo, rappresentano un elemento di potenziale preoccupazione i massicci programmi di sostegno pubblico che sono stati introdotti per far fronte alla crisi, che nel tempo possono generare vantaggi concorrenziali alle imprese di alcuni paesi più di altre, con il rischio di ritorsioni e guerre commerciali. Infine, la sfida più grande riguarderà il cambiamento climatico. I cambiamenti climatici, infatti, stanno aumentando la frequenza e l'entità degli shock. Qualsiasi strategia globale per contrastare il cambiamento climatico richiederà un aggiustamento delle politiche commerciali in termini di riduzione della tassazione sui beni che facilitano la transizione energetica ovvero introducendo nuovi dazi legati al contenuto di carbonio. In ogni caso è probabile che i cambiamenti climatici o le politiche per evitarli modifichino le scelte di produzione in modi che richiederanno maggiori scambi di cibo e di tecnologie agricole: anche in questo caso, quindi, il commercio internazionale continuerà a giocare un ruolo imprescindibile.

 
 

Note

  • [1] Nell'ambito delle attività dell'Ismea per la Rete Rurale Nazionale, è stato creato un Osservatorio sull'internazionalizzazione in cui è possibile raccogliere informazioni e dati relativi al commercio estero dei prodotti agroalimentari italiani, sia a livello nazionale che a livello regionale. L'osservatorio è raggiungibile al seguente linki: http://www.ismeamercati.it/osservatori-rrn/internazionalizzazione.
 
 

Antonella Finizia e Linda Fioriti

 
 

PianetaPSR numero 99 febbraio 2021