Dal 1986 l'obiettivo della politica di coesione comunitaria è rafforzare la coesione economica e sociale dell'Unione. Il trattato di Lisbona e la nuova strategia ad alto livello dell'UE (Europe 2020) hanno introdotto una nuova dimensione: la coesione territoriale.
In questo quadro per la futura fase la cornice comunitaria per le politiche di coesione prevede che le scelte di programmazione e di investimento degli Stati Membri vengano declinate secondo 5 Obiettivi di Policy individuati a livello comunitario. Guardando nello specifico alla dimensione territoriale l'azione delle politiche di coesione punta a costruire un'Europa più vicina ai cittadini attraverso la promozione dello sviluppo sostenibile e integrato delle zone urbane, rurali e costiere e delle iniziative locali.
All'azione della politica di coesione andrà ad affiancarsi con una programmazione separata il Piano Strategico della PAC per l'agricoltura e le aree rurali lasciando agli Stati Membri l'incombenza per migliorare l'efficacia degli investimenti messi in campo di massimizzare l'integrazione tra l'azione dei diversi Fondi comunitari, nazionali e regionali.
In questo quadro si pone l'esigenza di definire in maniera condivisa cosa sono le aree rurali ma anche di capitalizzare sulle esperienze di integrazione tra fondi sperimentate in passato. In Italia il tavolo di partenariato delle politiche di coesione ha già condiviso l'esigenza di dare continuità all'approccio sperimentato con la Strategia nazionale aree interne sia per quel che concerne la classificazione territoriale utilizzata per orientare la politica che il metodo adottato per il sostegno alle iniziative locali e per l'integrazione tra fondi comunitari e nazionali.
Che cosa sono le aree rurali e come si possono individuare? La ruralità di un territorio si può ricondurre ad una molteplicità di elementi legati alla struttura sociale ed economica, che si riflettono anche sui modelli insediativi. La ricerca di una definizione sufficientemente accurata per cogliere le diversità tra i paesi membri dell'Unione ha rappresentato per anni il nodo da sciogliere per l'impostazione di una politica comune per le aree rurali.
Oggi finalmente esiste una definizione più accurata perché agganciata alle population grid statistics - dati di popolazione e densità spazializzati rispetto ad una griglia di celle da un km2 - piuttosto che alle statistiche sulla popolazione per aree amministrative. Uno dei vantaggi di questo metodo è che risulta applicabile a tutti i paesi dell'Unione e a una gran parte delle altre Nazioni del mondo e che rende possibili confronti a livello internazionale. Questo avanzamento è stato realizzato grazie ad un articolato percorso che ha visto impegnate negli anni la Commissione Europea con Eurostat insieme ad Ocse e altre 4 organizzazioni a livello internazionale, per la messa a punto di quella che viene definita in gergo dagli addetti ai lavori come la metodologia di classificazione "Degurba".
Si tratta di un risultato importante soprattutto considerando che nei primi anni del 2000 in base alla ricognizione delle definizioni di rurale vigenti nei diversi paesi membri dell'UE, effettuata in sede Eurostat da una task force, cui partecipò l'Italia rappresentata da un referente tecnico Mipaaf, si stabilì che non esistevano i presupposti per l'adozione di una definizione unitaria di rurale a fini di policy.
Oggi grazie agli avanzamenti della statistica e in particolare all'utilizzo dei sistemi di georeferenziazione abbiamo una metodologia armonizzata, che propone una definizione complementare a quelle utilizzate dai singoli stati membri e che consente di individuare tre tipologie territoriali : aree urbane densamente popolate (39,3% della popolazione Europea nel 2018); aree intermedie (con un peso di 31,6% in termini di popolazione); aree rurali (83% della superficie e 28% della popolazione Europea).
Questo è il primo passo verso la costruzione di una politica europea orientata ai luoghi, ma c'è ancora tanto lavoro da fare sia per migliorare l'analisi statistica che per implementare una politica davvero territoriale. Sul primo fronte gli sforzi dovranno concentrarsi nel rendere disponibili dati e informazioni ad un livello più dettagliato possibile di disaggregazione geografica in modo da costruire una caratterizzazione accurata dei diversi ambiti territoriali dell'Unione. Per la natura policentrica legata ai modelli insediativi e la rugosità del territorio italiano questo passaggio è essenziale per cogliere la vera dimensione della ruralità nel nostro Paese. Inoltre, in una prospettiva di medio lungo periodo, sarà necessario investire nel perfezionamento della classificazione attuale.
Tra le proposte, in discussione nell'ambito dei gruppi di lavoro comunitari sulle statistiche per le aree rurali, di grande interesse quella di Dg-Agri, che punta ad integrare nella metodologia attuale parametri legati alla naturalità (es. presenza di agricoltura aree naturali).
In attesa di questi sviluppi ci sta testare quanto la nuova definizione di rurale riesca a cogliere le differenze tra i territori e capire gli sforzi già messi in campo dalle politiche comunitarie per sostenere in particolare le aree rurali.
Un primo passo importante in questa direzione è rappresentato dal lavoro di sistematizzazione dei dati e delle informazioni disponibili messo a punto dalla Commissione Europea e lanciato recentemente sul sito dedicato ai Fondi strutturali e di investimento, nella sezione Cohesion Policy Supporting Rural Areas and Communities.
Cambiamenti demografici negativi, il gap in termini di connettività, un livello insufficiente dei redditi, un limitato accesso ai servizi: queste le principali sfide che le aree rurali dovranno affrontare da qui al 2040.
Ma sono tante anche le opportunità: le aree rurali sono le principali produttrici di beni pubblici e servizi ecosistemici e la ricchezza delle loro produzioni locali contribuisce alla cultura e diversità europea. Grazie al loro ruolo fondamentale nella gestione delle risorse naturali e nella mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, le aree rurali possono dare un contributo cruciale alla transizione ecologica. La permanenza antropica in questi contesti garantisce un controllo su paesaggio e territorio e costituisce un'opportunità di mitigazione della concentrazione nelle aree urbane. Da questo punto di vista alcuni cambiamenti nella società accelerati dalla pandemia (aumento dello smart working, rivalutazione degli spazi verdi) possono rappresentare un vantaggio.
Nell'affrontare queste sfide e cogliere le opportunità andrà tenuto conto delle differenziazioni tra le diverse tipologie di aree anche all'interno dei Paesi.
Il primo elemento di differenziazione riguarda gli impatti dei cambiamenti demografici.
A questo riguardo uno dei fattori chiave da considerare è la distanza dai centri urbani, da intendersi come proxy dell'accessibilità ai servizi che tendono a concentrarsi nelle aree densamente popolate. Le aree rurali nella sfera di influenza delle zone più urbanizzate dovranno gestire e mitigare gli effetti negativi che derivano dall'interazione con la città. Nelle aree rurali remote, montane e interne, dove sono minori le opportunità di lavoro e si registrano più forti i fenomeni di abbandono e spopolamento, si dovranno affrontare sfide diverse, legate al miglioramento dell'accesso ai servizi e alla creazione di opportunità di reddito, a partire dalla valorizzazione delle risorse naturali e agro-silvo-pastorali di cui questi territori sono ricchi.
L'analisi delle differenziazioni territoriali dal punto di vista dell'accessibilità ai servizi può servire come base per orientare le politiche, comprese quelle di Coesione. L'Italia da questo punto di vista rappresenta un'apripista, avendo già dal 2012 messo a punto una metodologia di classificazione territoriale che, tenendo conto dell'effettiva distanza dai luoghi di offerta dei servizi (generalmente ma non necessariamente concentrati nelle aree più urbanizzate), ha consentito di individuare le Aree Interne del Paese, aree rurali remote lontane dai servizi e caratterizzate da fenomeni di spopolamento e abbandono dell'agricoltura. Questa classificazione è servita come base per il disegno e l'attuazione con risorse dei Fondi strutturali (compreso il fondo FEASR) e Nazionali di una politica dedicata a queste aree: la Strategia Nazionale aree interne.
La politica di Coesione comunitaria ha programmato €33 miliardi per le aree rurali nel periodo 2014-2020, circa un quarto degli stanziamenti totali destinati a specifiche tipologie di territorio. A questo si aggiunga che l'intensità di aiuto per abitante (risorse per persona per anno), in base a dati dei passati periodi di programmazione, è sistematicamente più alta rispetto alle altre tipologie di aree e quasi il doppio rispetto alle aree urbane. Le allocazioni differiscono per fondo con una quota di risorse destinata elle aree rurali più alta e pari al 69% per il fondo di sviluppo regionale (FESR)
Si consideri tuttavia che queste cifre sottostimano l'ammontare effettivo delle risorse disponibili dal momento che il 58% delle risorse dei Fondi Coesione non ha una focalizzazione territoriale ma può ugualmente portare benefici ai territori in questione e che le aree rurali sono supportate anche dal Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, che non è incluso in questa analisi.
Le aree che beneficiano maggiormente degli aiuti sono le aree rurali collocate in regioni in ritardo di sviluppo, dove si concentra il 60% delle risorse allocate a questa tipologia territoriale a livello comunitario e il 90% a livello Nazionale. La percentuale di risorse destinate alle aree rurali varia molto tra paesi, per una molteplicità di fattori che vanno dalla rilevanza delle aree rurali, al livello di sviluppo e alla complementarietà con il fondo per lo sviluppo rurale (FEASR). In termini assoluti la Polonia con un budget di 8,6 miliardi di euro è il Paese che destina l'ammontare maggiore di risorse alle aree rurali. In termini relativi invece l'Austria è il paese che ha allocato la percentuale (23%) maggiore delle risorse totali a queste aree mentre Cipro, Danimarca e Paesi Bassi non prevedono un budget dedicato.
Gli obiettivi degli interventi ci aiutano a capire quali sono le sfide e le opportunità per le aree rurali su cui si sta concentrando l'azione comunitaria. Spesso i programmi individuano obiettivi tematici multipli, ma spesso gli interventi sono indirizzati verso specifici obiettivi che corrispondono a determinate categorie di investimento. In questi casi la maggior parte delle risorse risulta allocata sull'obiettivo tematico "Ambiente ed efficienza delle risorse" in linea con l'esigenza di cogliere le opportunità legate alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Seguono per ammontare di risorse destinate gli obiettivi "Reti di trasporto ed energetiche" e "Competitività delle PMI" che focalizzano rispettivamente sull'accessibilità e sull'esigenza di sostenere i processi di innovazione delle imprese e dei sistemi locali nelle aree rurali e remote.
La politica di coesione comunitaria mette anche in campo diversi strumenti integrati per le aree rurali come per le altre tipologie territoriali, su cui offre una panoramica il web tool cartografico Strat-board
In questo periodo di programmazione le politiche di coesione hanno supportato circa 700 strategie territoriali oltre quelle urbane attraverso gli strumenti integrati territoriali. Nelle aree rurali la maggior parte delle strategie sono realizzate nell'ambito del CLLD e quasi la metà utilizza anche risorse FEASR e FEAMP. Per approfondimenti sulla tipologia di progetti finanziati dalle politiche Regionali comunitarie in aree rutali si può consultare un database dedicato.
Accanto al CLLD ricoprono un ruolo importante gli investimenti territoriali integrati (ITI) e gli approcci nazionali come la Strategia Nazionale aree interne (SNAI), precedentemente citata. In questo periodo di programmazione la SNAI ha supportato in Italia 72 strategie territoriali finalizzate a rispondere alle esigenze delle aree rurali più remote.
Essa ha un raggio di azione più ampio rispetto agli strumenti comunitari includendo oltre agli investimenti finanziati dai Fondi per la Coesione quelli per lo sviluppo rurale con il fondo FEASR e interventi sui servizi ordinari e in particolare per la Scuola, la Mobilità e la Sanità territoriale realizzati con risorse Nazionali. Nella governance della policy sono coinvolti i tre livelli di governo del territorio: Stato centrale con tutti i Ministeri interessati compreso il Mipaaf, Regioni e Associazioni di Sindaci, già esistenti o da costituire, nei territori di intervento preselezionati attraverso un processo di istruttoria pubblica.
La Strategia sperimenta un modello innovativo anche rispetto al panorama europeo perché prevede la costruzione adeguatamente accompagnata di sistemi di gestione integrata dei servizi pubblici locali comunali, un metodo partecipato basato sull'ascolto degli attori rilevanti a livello locale e la co-progettazione tra i diversi livelli di governo, con il coinvolgimento di un team di esperti dedicato, per la definizione di un piano di interventi orientato al raggiungimento di risultati condivisi. Attraverso l'attuazione della SNAI è stato possibile sperimentare soluzioni innovative per migliorare l'organizzazione e l'accessibilità ai servizi ma anche definire azioni innovative per lo sviluppo locale e investire sulla competitività territoriale di queste aree.
Sui servizi va ricordato che alcune delle soluzioni per il rafforzamento della rete dei servizi sanitari territoriali (infermieri di comunità, farmacie rurali) sperimentate con la strategia vengono oggi riprese nell'ambito del Recovery Plan come risposta sistemica alla pandemia.
Daniela Storti
CREA PB
PianetaPSR numero 102 maggio 2021