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Biologico

Il biologico nelle due programmazioni: la crescita e le prospettive

Un'analisi dell'evoluzione del settore, sempre più centrale e importante anche dal punto di vista ambientale.

Dopo diversi anni di sostanziale stazionarietà, nel 2012 la superficie biologica in Italia è tornata a crescere senza soluzione di continuità e questo rappresenta solo uno dei segnali di "ripresa" dello sviluppo del settore biologico italiano. Si assiste, infatti, anche a un processo di strutturazione delle filiere biologiche che vede aumentare, oltre ai produttori, i trasformatori, sia esclusivi sia misti, al Nord così come nelle regioni meridionali, soprattutto la Sicilia, e, quindi, a un affievolimento di quella dicotomia che vedeva una concentrazione, al Nord, della trasformazione e, al Sud, della produzione agricola. Ugualmente, dal lato della domanda la situazione è in continua evoluzione e sebbene non si registrino più gli aumenti a due cifre del triennio 2015-2017 relativi al valore delle vendite presso la grande distribuzione (ISMEA, 2020), i consumi continuano a crescere.
Anche a livello comunitario, nel periodo 2012-2019, si rileva un incremento sostenuto della superficie biologica in quasi tutti i Paesi membri, inferiore al 20% solo in Grecia e Repubblica Ceca e con punte superiori al 200% in Croazia e Bulgaria e al 100% in Ungheria e Francia (Eurostat, 2021). La Polonia, invece, è l'unico Paese UE a mostrare una contrazione della SAU biologica. Anche i consumi sono in crescita soprattutto in Francia e, a seguire, Spagna e Danimarca, tutti paesi che rientrano tra quelli con il mercato più ampio in termini di valore (Fibl-IFOAM, 2021).

Il ruolo delle politiche nazionali ed europee

In Italia, le politiche a favore del settore biologico non sono certamente estranee al suo sviluppo, anzi hanno giocato e giocano tuttora un ruolo fondamentale e non più circoscritto alla produzione di base, soprattutto a partire dall'attuale fase di programmazione, se si considerano quelle di sviluppo rurale afferenti alla PAC. A queste, tuttavia, si affiancano le politiche nazionali e regionali. Sebbene le risorse investite siano molto più contenute rispetto a quelle messe in campo con il II Pilastro della PAC, con il tempo queste sono diventate sempre più articolate, andando dalla ricerca a interventi diretti alla promozione dei prodotti biologici, alla strutturazione delle filiere fino alla fase distributiva, al miglioramento dell'accessibilità agli stessi da parte di un più ampio numero di consumatori, ecc. e hanno acquisito anche una valenza territoriale, attraverso il riconoscimento dei biodistretti e il sostegno alla loro costituzione e/o funzionamento. Se, da un lato, infatti, l'agricoltura biologica è ritenuta un sistema di produzione che contribuisce a ridurre l'impatto negativo delle attività agricole sull'ambiente, per cui si vuole rendere il settore più strutturato e competitivo, dall'altro, si mira ad ampliare la platea di consumatori che accedono ai suoi prodotti per garantire a tutti alimenti più salubri, obiettivi entrambi perseguiti con la Strategia Farm to Fork (CE, 2020). Ciò anche promuovendo una maggiore interazione tra produttori biologici e consumatori a livello locale e l'adozione di modelli di governance che garantiscano la condivisione dei processi di sviluppo territoriale a partire dal rafforzamento del settore biologico.
Dopo un sintetico quadro del settore biologico in termini di offerta e domanda approssimate, rispettivamente, da operatori e relativa SAU biologica e valore delle vendite dei prodotti biologici, si illustrano brevemente le diverse politiche a sostegno del settore che contribuiranno a conseguire gli obiettivi stabiliti a livello comunitario.

La crescita delle superfici e delle aziende

Come anticipato i dati strutturali del biologico analizzati nel periodo della programmazione 2014-2020 mostrano una crescita del 70% della superficie coltivata e del 62% del numero di operatori attivi coinvolti nel settore.
Ad un'osservazione più attenta si nota come gli incrementi maggiori seguano l'uscita dei bandi regionali dei PSR per il sostegno alle superfici biologiche (+20,3% la SAU nel 2016) per poi assestarsi su una crescita costante ma di minor intensità. Un equilibrio ha caratterizzato soprattutto le annate 2018 e 2019 le ultime due per le quali sono disponibili i dati. 
Sul fronte delle principali macrocategorie colturali non ci sono stati negli anni particolari sconvolgimenti: la categoria più rappresentata è quella dei prati pascoli (28%) e delle foraggere (20%) Segue quella dei cereali (17%) e vite e olivo (17%).

Il trend dei consumi di prodotti biologici

 

Mercato interno

Il consumo di prodotti biologici in Italia vale 3,5 miliardi di euro. Il valore, aggiornato al primo semestre del 2021, evidenzia una crescita di oltre il 3% sull'anno precedente, periodo caratterizzato da una straordinarietà che non ha influito negativamente sugli acquisti di referenze bio. Anche nell'anno del Covid i consumi restano concentrati nel nord del Paese (63%) ma si modificano le tendenze rispetto ai luoghi di acquisto. Le vendite presso la GDO, in crescita spesso a doppia cifra dal 2012, hanno ottenuto ottime performance nei primi mesi di lockdown ma, alle prime riaperture, gli italiani sembrano aver preferito i negozi tradizionali, gli specializzati del bio e il canale dell'e-commerce, affermatosi velocemente in risposta alle mutate esigenze e al boom del delivery. 
I prodotti bio più apprezzati sono quelli freschi e freschissimi e la pasta (frutta 27%, ortaggi 20% e pasta e derivati 12% sul totale del valore).
Le politiche agricole del periodo programmatorio 2014-2020 hanno avuto degli effetti indiretti sull'aumento della domanda di bio; da un lato, con alcuni interventi le aziende produttrici e trasformatrici hanno potuto promuovere le produzioni di qualità, dall'altro, gli aiuti alla produzione hanno fatto aumentare l'offerta di cibo biologico sugli scaffali. 
Rispetto agli altri Paesi europei più ricchi come la Germania e la Francia il consumo di biologico ha però un'incidenza ancora bassa, di poco superiore al 4% della spesa complessiva del comparto agroalimentare.

 

Il biologico nella ristorazione collettiva

Il Mipaaf riconosce il valore aggiunto del biologico in termini di qualità e sicurezza alimentare e ne promuove il consumo tra i ragazzi delle scuole materne e primarie attraverso un Fondo ad hoc istituito nel 2017 e redistribuito annualmente in base alle richieste tra le diverse Regioni. Le risorse assegnate, 10 milioni di euro nel 2018, 2019 e 5 milioni di euro nel 2020 sono ripartite tra i Comuni assegnatari che le utilizzano per ridurre il costo dei pasti bio e per azioni di informazione e promozione. 
L'ultimo dato a disposizione evidenzia che le mense scolastiche certificate per la somministrazione di pasti biologici nel 2017 risultano 1.311, concentrate per il 70% nel nord del Paese.  

Il sostegno pubblico al consumo di prodotti biologici è incoraggiato inoltre nelle altre tipologie di ristorazione collettiva sempre attraverso l'applicazione di Criteri Ambientali Minimi obbligatori negli appalti per gli approvvigionamenti delle Pubbliche Amministrazioni e della ristorazione ospedaliera (DM 10 marzo 2020).

Il sostegno della PAC al biologico

Nella programmazione comunitaria uscente il supporto per la crescita dell'agricoltura biologica è stato fornito soprattutto attraverso strumenti previsti dallo Sviluppo Rurale. 
Sicuramente la Misura 11 (sostegno al biologico), attivata da tutte le Regioni, ha rappresentato l'intervento dai risultati più evidenti, se si considera come indicatore di crescita la superficie coltivata e il numero di aziende che hanno presentato la prima notifica di iscrizione al biologico. Complessivamente le risorse destinate dalle Regioni nel periodo 2014-2020 alla M11 sono state superiori ai 2 mld di euro, pari a un'incidenza complessiva sul portafoglio dello Sviluppo Rurale del 10.9% e una spesa annuale media superiore ai 470 mln di euro. Oltre metà delle risorse si concentrano in Sicilia (23,4%), Calabria (13,5%) e Puglia (11,7%) e sono state destinate soprattutto ai pagamenti per il mantenimento della superficie biologica certificata.

Rispetto alla passata programmazione in quella attuale le Regioni hanno più diffusamente sostenuto il settore biologico con altre misure dello sviluppo rurale.  Interventi dalla portata finanziaria più ridotta ma che hanno comunque mostrato risultati positivi riguardano la Misura 3 (1% delle risorse PSR) a sostegno delle produzioni di qualità, declinata nella sottomisura 3.1, che contribuisce alle spese di certificazione delle aziende, e nella 3.2, volta alla promozione dei prodotti certificati. In particolare, dai risultati di avanzamento finanziario della spesa e dalle valutazioni dei referenti regionali e di attori beneficiari, proprio quest'ultimo intervento ha consentito di promuovere e diffondere sul territorio nazionale e intraeuropeo le produzioni biologiche, soprattutto quelle vinicole, sempre più apprezzate soprattutto all'estero.
Le premialità per il biologico, riconosciute nei criteri di selezione dei bandi per gli investimenti (M4.1, M4.2) e per l'insediamento giovani (M.6.1), sono state altresì di grande importanza per aver spinto nuove imprese in fase di ammodernamento a convertirsi al biologico. 
Fondamentale per lo sviluppo del biologico sono anche le azioni sostenute tramite la Misura 16 "Cooperazione" che però vede raramente il settore biologico come beneficiario prioritario del sostegno; in un unico caso, quello della promozione di azione congiunte riguardanti il clima e l'ambiente (sottomisura 16.5), infatti, sono 8 le Regioni che privilegiano l'agricoltura biologica nella selezione. Con riferimento alle altre sottomisure dell'intervento sulla Cooperazione invece, le Regioni che stabiliscono priorità per il biologico si limitano a due. Tuttavia, al 31 marzo 2020, circa il 10% dei gruppi operativi - partenariati tesi a favorire interrelazioni multiattoriali e transdisciplinari per la messa a punto di soluzioni innovative a specifici problemi di sviluppo nell'agroalimentare - costituiti a titolo della sottomisura 16.1 "Costituzione e funzionamento dei Gruppi operativi del PEI in materia di produttività e sostenibilità in agricoltura" e della 16.2 "Progetti pilota e allo sviluppo di nuovi prodotti, pratiche, processi e tecnologie" riguardano specificamente tale settore, impegnando 11,2 milioni di euro (Cristiano, 2020). Si tratta di valori ancora modesti soprattutto considerando che in agricoltura biologica è più evidente che nel convenzionale come le conoscenze, stratificate e sedimentate, anche acquisite a livelli gerarchicamente superiori, ad esempio nell'ambito dei Programmi quadro di ricerca e innovazione comunitari o di progetti di ricerca nazionali, costituiscano la base da cui partire per lo sviluppo, l'adattamento e la diffusione di innovazioni a livello locale. Ciò grazie alla propensione degli operatori biologici ad adottare modelli di tipo partecipativo e multiattoriale e a condividere conoscenze, percorsi di sviluppo e risultati delle soluzioni individuate (Cristiano, 2020).

La diffusione dei biodistretti

A partire dal 2009, anno in cui è stato costituito il primo biodistretto in Italia, quello del Cilento, le iniziative di tipo distrettuale volte allo sviluppo dell'agricoltura biologica in un territorio circoscritto così come delle altre attività secondo i principi e i valori della prima si sono moltiplicate, raggiungendo, a febbraio 2021, le 51 unità tra costituiti e in corso di costituzione (Sturla, 2021). Tali iniziative, per quanto caratterizzate da un diverso livello di operatività hanno portato alla ribalta questo modello a livello europeo, benché fossero già presenti iniziative analoghe (es. ecoregioni, bioregioni) in altri paesi (Austria, Portogallo, Germania, Francia, Svizzera, ecc.). La Commissione europea, pertanto, sempre nell'ottica di sviluppare l'agricoltura biologica per intensificare gli interventi a favore di clima e ambiente e sviluppare la domanda di prodotti biologici, ribadisce la necessità di promuovere la diffusione dei biodistretti nel Piano d'azione per l'agricoltura biologica (COM(2021) 141 final) e nelle raccomandazioni per il Piano strategico della PAC dell'Italia (SWD(2020) 396 final), secondo cui si dovrebbero prevedere "incentivi adeguati per schemi e iniziative di riconversione e mantenimento come il riconoscimento dei bio-distretti per l'agricoltura biologica ; questo dovrebbe essere accompagnato da un aumento della domanda di cibo biologico" (CE, 2020, p. 6). I biodistretti, infatti, si configurano anche come strumenti ideali per attivare politiche del cibo in connessione con le aree urbane al fine di accrescere la consapevolezza della collettività circa le relazioni tra agricoltura, cibo, salute e ambiente attraverso campagne di educazione ambientale e alimentare. A livello nazionale, per quanto il riconoscimento giuridico dei biodistretti si sia fatto attendere, salvo nelle regioni che li hanno introdotti nel loro ordinamento giuridico tramite apposite leggi regionali (Toscana, Lazio), riguardanti l'agricoltura biologica (Liguria) o, più in generale, l'agricoltura e lo sviluppo rurale con specifico riferimento a biodiversità, prodotti di qualità e distretti (Sardegna), questo è arrivato con la Legge 205/2017, che introduce i Distretti del Cibo. Questi ultimi si articolano in diverse tipologie tra cui i biodistretti. Tale riconoscimento è importante per tre ragioni fondamentali. La prima è che può essere accordata una priorità alle aziende biologiche localizzate nei biodistretti a titolo di diverse Misure dello sviluppo rurale. La seconda è che il biodistretto potrebbe esso stesso promuovere e coordinare progetti di tipo diverso (progetti pilota di gruppi operativi, accordi agroambientali d'area, progetti Life, ecc.). La terza è che, con il riconoscimento giuridico, il biodistretto acquisisce lo status di soggetto politico (Triantafillydis, 2019) per cui può partecipare ai processi decisionali relativi alle politiche riguardanti il suo territorio o di portata più vasta (regionali, di sviluppo rurale, SNAI, ecc.). La crescita sostenuta del numero dei biodistretti, pertanto, è da ritenere positiva nella misura in cui questi siano realmente operativi nel perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile del territorio a partire da quello dell'agricoltura biologica e, nella gestione del territorio, si assicuri l'adozione di un approccio inclusivo e partecipativo di istituzioni, attori e stakeholder, non solo condividendo le scelte da effettuare ma anche garantendo il monitoraggio e la valutazione dei risultati conseguiti.

Prospettive del biologico italiano di fronte alle strategie europee per l'ambiente

Le politiche nazionali e europee attuate negli ultimi 7 anni hanno contribuito a far strutturare il biologico e a renderlo un modello affermato e capace di guidare il sistema agricolo del continente verso la transizione ecologica. 
Tale traguardo è stato raggiunto anche e soprattutto grazie alla crescente fiducia che i consumatori del vecchio Continente e di numerosi paesi extra-europei stanno rivolgendo ai modelli agroalimentari più sostenibili anche in termini ambientali e sociali. 
Il Covid e le più recenti tragedie ambientali hanno intensificato tale percezione e la volontà politica di attivarsi subito con strumenti tangibili e trasversali a ogni comparto produttivo, primo tra tutti quello agroalimentare. 
Il percorso del Green Deal, avviato dalla Commissione Von Der Leyen, è stato, se possibile, rafforzato per rispondere alla crisi pandemica con Programmi e risorse nuove e indirizzate al settore agricolo purché inquadrate in interventi a favore dell'ambiente (es. impegno stanziato dal Next Generation Eu per la Pac e lo Sviluppo Rurale). 
Il chiaro indirizzo strategico è poi stato di nuovo evidente nel percorso di approvazione dei Regolamenti Pac post 2022, travagliati proprio dal difficile accordo da raggiungere sulla flessibilità e le risorse da destinare alle pratiche verdi come gli Ecoschemi, ritenute insufficienti da alcuni Organi delle Istituzioni europee.
In questo quadro il biologico parte sicuramente avvantaggiato poiché il suo minore impatto negativo sull'ambiente è prevalentemente riconosciuto e la sua storia, forte di 30 anni di regolamentazione, capace di garantire certezze ai legiferatori in termini di risultati. 
Gli obiettivi prefissati di una democratizzazione dei prodotti biologici in tutta Europa e di una superficie coltivata senza l'ausilio di mezzi tecnici di sintesi del 25% al 2030 (obiettivo previsto dalla Strategia Farm to Fork) sono sicuramente ambiziosi; tale consapevolezza ha contribuito a far sì che gli Uffici della Commissione completassero il quadro di riferimento con il lancio del nuovo Piano di azione per l'Agricoltura biologica (marzo 2021), orientato a sostenerne la crescita e valorizzarne il ruolo chiave nello sviluppo di un sistema alimentare sostenibile attraverso azioni inserite in una strategia sviluppata su tre assi:

  • Stimolare la domanda e tutelare la fiducia dei consumatori; 
  • Promuovere la conversione al biologico e rafforzarne la filiera; 
  • Migliorare il contributo dell'agricoltura biologica alla sostenibilità ambientale.

Si tratta di obiettivi non nuovi nel panorama delle politiche a favore del settore biologico ma, in vista del conseguimento del 25% di SAU biologica sulla SAU totale e in connessione alla più diffusa povertà che la situazione pandemica ha generato e alle situazioni di degrado ambientale e sociale, che a loro volta hanno determinato un aumento delle malattie non trasmissibili (diabete, malattie cardiovascolari e respiratorie croniche, ipertensione, cancro) con cui la covid-19 è correlata, acquisiscono una rinnovata importanza. In Italia, il tema del biologico non è meno sentito e, in questa fase, è tirato in ballo ogniqualvolta si affronta la discussione sulla definizione della nuova Architettura Verde della Pac; in tale ambito le scelte che saranno prese nei prossimi mesi avranno delle conseguenze dirette per il settore.  
I soggetti coinvolti nel processo di definizione del Piano Strategico nazionale stanno riponendo particolare attenzione al possibile collocamento del biologico negli ecoschemi del I Pilastro e/o nelle misure agroambientali del II Pilastro e soprattutto alla quantificazione delle risorse da riservare al comparto affinché possa continuare a crescere con la stessa spinta propulsiva di qualche anno fa e una minore differenziazione territoriale.
Aspetti altrettanto importanti in tema di agricoltura biologica e nuova Pac e ancora da affrontare riguardano la definizione delle misure di sviluppo rurale e la rilevanza attribuita alle imprese biologiche nel loro ambito, la quantificazione dei pagamenti, l'eventuale concentrazione del sostegno in specifiche aree (aree Natura 2000, aree ad agricoltura intensiva, ecc.) e l'individuazione delle filiere produttive che necessitano di maggiori attenzioni, come ad esempio quella della zootecnia biologica. 
Contemporaneamente sarà il tempo di concentrarsi anche su forme di sostegno e di promozione che possano agire sul fronte della domanda interna, da tempo in continua crescita ma ritenuta ancora insufficiente, prevedendo un sistema organico di azioni rivolte a una maggiore diffusione di produzioni biologiche nella ristorazione pubblica e privata e a una miglior caratterizzazione biologica, trasversale a tutte le filiere produttive, magari cominciando da quelle che beneficiano di interventi in seno alle Organizzazioni Comuni di Mercato. Accanto alla ristorazione collettiva rispondono a questo obiettivo anche lo sviluppo di interventi che mirino a promuovere l'interazione tra produttori e consumatori e a strutturare filiere corte così da ridurre i margini di intermediazione tra offerta e domanda e, quindi, mantenere più bassi e accessibili i prezzi dei prodotti biologici.
Nell'attesa di conoscere quali saranno i risultati delle nuove politiche per il biologico andranno comunque analizzati gli effetti più prossimi che i ricchi bandi PSR previsti dal Regolamento transitorio n. 2020/2220 porteranno.

 
 

Riccardo Meo - ISMEA
Laura Viganò - CREA

 
 

PianetaPSR numero 104 luglio/agosto 2021