All'interno del questionario del Censimento è presente una serie di quesiti relativi agli aspetti sociali dell'azienda agricola; in particolare, essi riguardano il genere e l'età del capo azienda, il titolo di studio, il ricambio generazionale e la manodopera straniera.
Anche se il divario di genere tra i capi azienda rimane ancora forte, i dati fanno registrare un leggero incremento dell'incidenza della componente femminile, passata dal 30,7% del 2010 al 31,5% del 2020, in linea con quanto emerso in studi precedenti (Zumpano, 2012). Pur permanendo la prevalenza maschile, la composizione per genere appare tuttavia diversificata a livello territoriale (fig. 1), con un maggior grado di femminilizzazione nelle regioni centro-meridionali, in particolare al Sud, dove presenta un'incidenza che sfiora il 36%, per arrivare fino a quasi il 40% in regioni come il Molise, la Campania e la Basilicata. L'area settentrionale del paese, al contrario, mostra una netta preponderanza della conduzione maschile, con valori a volte vicini o addirittura superiori all'80% e con le province di Trento e Bolzano che addirittura presentano un'incidenza femminile che è la metà della media nazionale. L'unica eccezione è rappresentata dalla Liguria, che presenta un valore superiore a quello nazionale (33,5%).
Quello della senilizzazione è un problema sociale che interessa in generale la popolazione italiana (Dall'Olio, 2015), ma è particolarmente avvertito nel settore agricolo e i dati relativi all'età dei capi azienda mettono in evidenza la crescita costante di questo fenomeno (Cagliero, Novelli, 2012). Aumenta infatti la percentuale di agricoltori con un'età superiore a 60 anni che, stando all'ultima rilevazione censuaria, rappresentano più del 57,5% del totale (pari a 650.000 casi), in ulteriore crescita rispetto al 50% rilevato nel 2010 (fig. 2). Se si osserva poi il dato riferito ai capi azienda che hanno oltre i 75 anni (oltre 240.000), il fenomeno appare ancora più accentuato, si è infatti passati dal 16,7% del 2010 a oltre il 21% nel 2020. A livello territoriale sono le aziende del Centro a far registrare un picco (oltre il 60%), con una percentuale di ultrasettantacinquenni più elevata rispetto alle altre circoscrizioni. In diminuzione sono sia la fascia intermedia, tra 44 e 59 anni che, con oltre 328.000 unità, è passata dal 32,4% al 29%, sia quella più giovane, tra 30 e 44 anni, che nel 2010 rappresentava il 15,4% delle aziende mentre ora è solo poco più dell'11% (per un totale di 126.985 capi azienda). Rimane invece invariata l'incidenza della classe più giovane, fino a 29 anni, che però, con circa 25.000 unità, rappresenta solo il 2,2% del totale. La diminuzione delle fasce più giovani (fino a 44 anni), che dovrebbero essere quelle più orientate verso le innovazioni e i nuovi investimenti e che dovrebbero beneficiare di aiuti mirati per la crescita del settore, si traduce in un segnale di preoccupazione per il futuro e, come affermato da più parti in letteratura, l'invecchiamento dell'agricoltura rappresenta una delle principali sfide su cui le misure di politica agraria dovrebbero intervenire (Carbone et al., 2005; INEA-OIGA, 2005).
Qualche segnale positivo si rileva in termini di titolo di studio. Dai dati emerge, infatti, che, rispetto alla precedente indagine censuaria, è diminuita l'incidenza percentuale dei capi azienda con una formazione di base fino alla terza media, passato dal 71,5% del 2010 a poco più del 60% nel 2020 (fig. 3). Questa modalità rappresenta ancora la prevalenza ma risulta di facile intuizione se associata al fatto che, come si è detto in precedenza, il settore è caratterizzato da una forte presenza di conduttori anziani. Aumenta, al contrario la percentuale dei diplomati, passati dal 22,3% del 2010 al 31,5%, con una crescita di quelli con indirizzo agrario, per i quali la consistenza percentuale è raddoppiata, a testimonianza di una tendenza verso una maggiore professionalizzazione degli addetti del settore. Buono anche il risultato emerso per i laureati che dal 6,2% del 2010 sono passati al 9,7%. A livello territoriale, le regioni del Sud sono quelle che in percentuale fanno registrare la presenza di un grado di istruzione più basso; al contrario, le regioni settentrionali mostrano una più alta presenza di diplomati e il Centro si distingue per la più alta percentuale di capi azienda con laurea o diploma universitario (12%).
Il quesito sul ricambio generazionale rappresenta una novità rispetto alle rilevazioni censuarie passate. In particolare, erano due le domande dedicate a questo tema. Dai risultati del primo quesito (fig. 4) è emerso che circa tre quarti delle aziende sono gestiti dal capo azienda da oltre 10 anni, si tratta quindi di aziende consolidate e molto probabilmente condotte da persone mature o anziane. La situazione non presenta particolari differenziazioni dal punto di vista territoriale. Le aziende gestite da più di 3 e da meno di 10 anni rappresentano il 20% circa, mentre solo meno del 5% delle aziende è gestito da meno di 3 anni. Le aziende giovani sono quindi relativamente poche rispetto al totale, a testimonianza di un ricambio generazionale piuttosto lento ridotto.
Il secondo quesito attinente al ricambio generazionale rileva informazioni circa il soggetto da cui è stata rilevata la conduzione aziendale (fig. 5) e ne è emerso che la maggioranza delle aziende è stata ereditata nell'ambito della famiglia (65,9%). Dal lato opposto, però, emerge che circa un quinto delle aziende è costituito da aziende nuove, il che potrebbe rappresentare un segnale positivo di ripresa del settore. Le restanti aziende sono state rilevate da un parente o acquistate da terzi.
Infine, per quanto concerne la manodopera aziendale, l'attenzione si è focalizzata sulla presenza di manodopera straniera che, negli ultimi decenni, è diventata una componente significativa della forza lavoro agricola (fig. 6). La nuova rilevazione censuaria ha messo in evidenza una crescita della presenza straniera, che ora, con circa 426.000 lavoratori, fa registrare un'incidenza sul totale della manodopera del 32,6%, mentre nel Censimento 2010 l'incidenza percentuale della manodopera straniera era del 24,8% (Macrì, 2019). La situazione, tuttavia, appare piuttosto differenziata a livello territoriale. Mentre in termini assoluti sono le regioni del Nord e quelle del Sud a far registrare la presenza maggiore con, rispettivamente, 184.000 e 117.000 circa unità, se si va a esaminare l'incidenza degli stranieri sul totale della manodopera, si nota che nelle regioni del Centro e del Nord essa è molto più elevata (46%) rispetto alle regioni del Sud o nelle Isole in cui, infatti, gli stranieri rappresentano poco più del 22%. In termini di provenienza risulta prevalente la componente non UE (circa 251.000 lavoratori) rispetto a quella UE (174.000).
Infine, in termini di tipologia contrattuale (fig. 7), la manodopera straniera risulta impiegata prevalentemente (oltre il 70%) in forma saltuaria, con valori ancora più elevati nel Sud e nelle Isole. La forma continuativa di contrattazione rappresenta invece il 20% circa, mentre i lavoratori non assunti direttamente dall'azienda sono poco meno del 10%, con una percentuale leggermente superiore nel Centro e nel Nord.
Concetta Cardillo, Franco Gaudio, Maria Rosaria Pupo D'Andrea, Roberta Sardone
CREA-PB
PianetaPSR numero 116 settembre 2022