Grandi, professionalizzate, multifunzionali, digitali, innovative, ottimiste: sono solo alcune delle qualità che contraddistinguono le imprese agricole giovanili rispetto a quelle condotte da colleghi più anziani.
La disponibilità dei nuovi dati del Censimento dell'agricoltura del 2020 è stata l'occasione per scattare una fotografia sulla presenza giovanile nel settore. Il Rapporto, integrando ulteriori fonti, fa emergere un identikit del giovane imprenditore agricolo, mettendo in luce alcune caratteristiche comuni a molte delle aziende giovanili che operano nel nostro Paese.
Le aziende agricole condotte da under 40 sono 104.886, il 9,3% del totale, una quota in calo rispetto all'11,5% del 2010. Tuttavia, le aziende con a capo un giovane sono più grandi: la superficie media è di 18,3 ettari, rispetto a 9,9 ettari di quelle guidate da "non giovani". I giovani fino a 40 anni coltivano il 16% della SAU nazionale (1,919 milioni di ettari). In alcune aree la quota di superficie gestita dai giovani supera il 20%, come nel caso di Valle d'Aosta (28,8%), Sardegna (25,1%), Provincia di Trento (22,8%).
Nelle aziende giovanili il livello di digitalizzazione è più che doppio rispetto a quelle dei colleghi più anziani (33,6% vs 14%) e vi è una maggiore propensione agli investimenti innovativi (24,4% vs 9,7%).
Inoltre, quasi la metà dei giovani agricoltori ha un diploma di scuola media superiore, il 19,4% ha una laurea, non esclusivamente di tipo agrario, anzi sono molti i giovani che apportano in agricoltura competenze di discipline diverse. Il livello di istruzione scende al crescere dell'età del capo azienda, tra gli over 40, infatti, solo il 22,1% ha un diploma e l'8,7% è laureato.
I giovani sono in prima linea anche nel modello di agricoltura multifunzionale, che sta cambiando la percezione del settore primario italiano, con importanti ricadute sull'ambiente e sulla collettività, come nel caso della produzione di energie rinnovabili o l'agricoltura sociale. Il giovane agricoltore, da semplice produttore di derrate alimentari, diventa creatore di servizi e generatore di valore per il territorio rurale (agriturismi, trasformazione e vendita diretta dei prodotti, fattorie didattiche, agriasili). Il 12% delle aziende agricole under 40 svolge attività connesse, quota che scende al 5,2% se si considerano le aziende degli over 40.
La pandemia ha colpito più duramente le imprese giovanili rispetto alle altre, sia considerando l'economia nel complesso, sia l'agricoltura, seppur in forma più attenuata.
L'Indice di Clima di Fiducia dei giovani agricoltori del panel ISMEA è sempre stato più elevato rispetto a quello degli over 40, ma l'avvento della pandemia ha ridotto questo differenziale. Sotto il peso del conflitto russo-ucraino e del conseguente ulteriore incremento dei costi, nel 2022, il clima di fiducia dei giovani agricoltori è passato su terreno negativo, ma lo scarto positivo rispetto a quello degli over 40 è tornato ad ampliarsi. Il 42% delle aziende condotte da under 40 non si è comunque fatto sopraffare dal pessimismo, adottando soluzioni gestionali allo scopo di contenere le spese correnti della propria azienda, percentuale superiore rispetto alla media (31%).
Il 7,7% delle imprese agricole iscritte presso i registri camerali è condotto da under 35. Tra il 2017 e il 2021, lo stock di imprese agricole giovanili è cresciuto da 55.321 a 56.172 unità, guadagnando mediamente lo 0,4% ogni anno. Nello stesso periodo, il numero complessivo delle aziende agricole si è ridotto a un ritmo dello 0,7% all'anno.
Anche l'analisi delle dinamiche dei flussi, cioè delle nuove iscrizioni e delle cessazioni di aziende in agricoltura, restituisce un quadro positivo per la componente giovanile. Mediamente tra il 2017 e il 2021 si è registrato un numero di iscrizioni annue superiore alle 7.850 - pari a circa il 33% del totale delle iscrizioni nel settore primario e corrispondenti a 21,5 nuove imprese al giorno - a fronte di un numero di cessazioni poco inferiore alle 1.800 (5 imprese cessate al giorno). Il saldo è dunque in attivo di oltre 6.000 imprese e incide positivamente sullo stock per ben il 10,7%, valore in linea con quello dell'economia nel complesso.
Il Rapporto mette in evidenza anche il contesto demografico, con attenzione a ciò che sta avvenendo nelle aree rurali e che è strettamente interconnesso al tema giovanile.
Bassi livelli dei tassi di fecondità e maggiore longevità della popolazione sono, infatti, i principali fattori del cambiamento demografico italiano ed europeo. Nel 2021 l'età mediana della popolazione italiana è stata di 47,6 anni, in crescita rispetto ai 44 e ai 40,7 anni, restituiti dalla fotografia di 10 e di 20 anni prima. All'Italia spetta anche il primato negativo nella classifica dell'indice di dipendenza degli anziani (rapporto tra la popolazione over 65 e quella tra i 15 e i 65 anni), del 37% nel 2021, contro il 32% nel 2012 e il 28% nel 2002. Lo stesso indicatore si ferma al 32% per la media europea nel 2021. Negli ultimi 20 anni, a livello europeo, la quota di ultraottantenni è quasi raddoppiata e in Italia, l'incidenza della popolazione giovanile sul totale si è ridotta, passando dal 29% al 22%, con conseguente perdita di 4 milioni di giovani tra i 20 e i 39 anni, circa un quarto delle persone in quella fascia di età.
Queste dinamiche si sono accentuate nelle aree rurali: qui in 10 anni il numero di abitanti si è ridotto progressivamente e in particolare è crollato quello dei giovani (-44%) che, invece, nelle aree urbane e in quelle intermedie è rimasto più o meno stabile o ha registrato cali molto ridotti. Mediamente in Europa la flessione della popolazione giovanile in campagna è stata del 21% nel decennio.
L'analisi, infine, mette in evidenza l'importanza della relazione con il territorio, sia dal punto di vista delle criticità che rischiano di allontanare i giovani dalle aree rurali, sia delle opportunità esistenti e potenziali nella filiera agroalimentare.
Le aree rurali, infatti, si trovano a fronteggiare una gamma di sfide, oltre all'invecchiamento demografico: la presenza di un divario digitale e di disponibilità di servizi rispetto alle aree urbane oltre alla crescente necessità di doversi adeguare all'impatto dei cambiamenti climatici.
Tra i fattori che ostacolano gli imprenditori agricoli - e quelli più giovani in particolare - c'è sicuramente il digital divide di 8,6 punti percentuali che, nel 2021, rappresentano il gap tra la quota complessiva di famiglie raggiunte da connessioni a banda larga (97%) e quella delle famiglie che vi hanno accesso nelle aree rurali (88,4%). Va sottolineato come, negli ultimi anni, nelle aree rurali questa quota abbia comunque registrato una crescita molto significativa (nel 2015 era appena del 3%). Se si prendono in considerazione solo le connessioni ad altissima capacità, cioè quelle che arrivano fino alle abitazioni o agli edifici dei clienti finali (FTTH o FTTB), l'Italia si colloca ancora al terzultimo posto a livello comunitario con un tasso di copertura delle famiglie che supera di poco il 44%, contro una media UE che eccede il 70%. La disponibilità di questa tipologia di connessioni è ancora minore nelle aree rurali del nostro Paese dove vi accede meno di una famiglia su cinque contro una media UE del 37,1%. Il divario tra le aree rurali italiane e le restanti zone è di circa 27 punti percentuali.
Anche per quanto riguarda la copertura dei posti nei servizi della prima infanzia, indicatore chiave per i giovani in termini di capacità di conciliazione della vita familiare con quella lavorativa, il dato del nostro Paese del 26,9%, ancora parecchio al di sotto del target del 33% fissato dall'UE.
Passando ai fattori positivi, vi è un ricco ecosistema di produzioni certificate, presidi e riconoscimenti territoriali, attrattori ricreativi e culturali, che contribuiscono a creare un habitat ideale per contrastare la tendenza allo spopolamento delle aree rurali attraverso la creazione di opportunità occupazionali, economiche e di vita per i giovani.
L'Italia detiene più del 30% delle strutture extra-alberghiere situate nelle aree rurali dell'UE, di cui molti sono agriturismi, peculiarità tutta italiana. Il nostro Paese possiede, inoltre, il primato mondiale dei riconoscimenti delle Indicazioni Geografiche (IG per cibo e vino) che ormai rappresentano un quinto del valore della produzione e dell'export agroalimentare. La presenza di ulteriori certificazioni territoriali consente ai Comuni e, in generale, ad altri enti o organizzazioni pubblici e privati di accrescere la competitività dei prodotti e dei territori. Si tratta ad esempio delle 476 Città del vino, o delle 402 Città dell'olio, dei 315 Presidi Slow Food, o ancora i 230 comuni Bandiera arancione, i 62 Siti Fai e i 58 siti Patrimonio Unesco.
In conclusione, il Rapporto mette in evidenza con i numeri quanto la maggiore presenza di giovani sia necessaria per accelerare il rinnovamento di cui necessita il settore agricolo per essere più competitivo e per essere in grado di affrontare le sfide ambientali, assicurando il contributo all'adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici. Per concretizzare la creazione di nuove imprese e l'insediamento dei giovani in aziende agricole gli strumenti offerti dalla PAC e dalle altre politiche nazionali sono necessari ma non sufficienti. Serve un approccio più ampio e connesso allo sviluppo locale, affrontando le condizioni di ritardo e carenza in termini di servizi e infrastrutture che caratterizzano soprattutto le aree rurali.
Maria Nucera
Umberto Selmi
PianetaPSR numero 118 novembre 2022