L'occupazione nell'agricoltura italiana si connota per la prevalenza di lavoro stagionale e precario, di cui la manodopera straniera rappresenta una fetta cospicua e sempre più indispensabile. Non soltanto nel nostro Paese, ma in tutta l'Unione Europea, negli ultimi decenni un numero crescente di cittadini nazionali ha infatti abbandonato l'agricoltura, compensati per lo più dall'ingresso nel settore di altri cittadini UE ed extra-UE.
Sono ormai note le condizioni di vulnerabilità e spesso irregolarità (lavoro sommerso) in cui, purtroppo, queste persone svolgono operazioni di raccolta, potatura, mungitura, taglio dei boschi, e in generale tutte quelle mansioni agricole che di rado ormai gli italiani svolgono. Il lavoro degli immigrati è di solito legato alla manodopera non qualificata e consiste nelle operazioni che richiedono elevata tempestività di esecuzione o che sono concentrate in specifici periodi dell'anno (Bortolozzo 2012).
Esistono degli strumenti per governare il fenomeno? E cosa ne pensano gli imprenditori agricoli italiani? Questo contributo offre una panoramica dei principali strumenti di politica che possono essere e sono applicati per ridurre le irregolarità legate al lavoro sommerso e la condizione di vulnerabilità in cui i lavoratori stranieri spesso operano nel settore agricolo. Particolare attenzione è rivolta alla Rete del lavoro agricolo di qualità, introdotta in Italia dalla legge 116/2014 nell'ambito di una serie di disposizioni per il rilancio del settore agricolo e successivamente modificata dalla legge n. 199/2016. L'iniziativa è entrata a far parte degli strumenti volontari (le aziende possono decidere se aderire) di contrasto allo sfruttamento e al caporalato attraverso l'introduzione di forme di incentivazione al rispetto delle norme da parte delle aziende agricole.
Inoltre, vengono riportati i principali risultati di 16 interviste a imprenditori agricoli fatte dal CREA nel 2022[1] per comprendere il loro punto di vista sul ruolo dei lavoratori stranieri nelle loro aziende, sui modi di reclutamento utilizzati, nonché sugli strumenti che possano favorire la legalità (inclusa la Rete del lavoro agricolo di qualità), e il funzionamento del mercato del lavoro agricolo nell' interesse delle aziende e dei lavoratori..
Le interviste sono state realizzate da ricercatori e tecnologici del CREA nell'ambito del progetto Rural Social ACT (https://www.ruralsocialact.it) finalizzato a promuovere l'agricoltura sociale come strumento di inclusione e/o re-inserimento socio-lavorativo dei migranti e per prevenire e contrastare lo sfruttamento lavorativo e il caporalato in agricoltura
La Rete del lavoro agricolo di qualità nasce come strumento di contrasto allo sfruttamento e al caporalato improntati al superamento dell'approccio meramente repressivo. L'incentivo per le aziende agricole iscritte è la minore probabilità di essere oggetto di ispezione. Alla Rete del lavoro agricolo di qualità possono essere ammesse le aziende che presentano una serie di requisiti relativi prima di tutto al rispetto delle norme contrattuali previdenziali e contributive.
La Rete è costituta presso l'INPS e viene gestita attraverso una Cabina di regia, composta da rappresentanti di diversi Ministeri, l'Ispettorato nazionale del lavoro, l'Agenzia delle entrate, l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, un rappresentante della Conferenza delle regioni e delle province autonome, le parti sociali di parte datoriali e dei lavoratori.
Purtroppo, attualmente, risultano iscritte meno del 3% delle aziende che occupano personale dipendente, un dato basso e al di sotto delle aspettative. La scarsa adesione era una delle questioni affrontate nelle interviste realizzate. Da queste è emerso una che l'incentivo è considerato insufficiente, ma anche che lo strumento è poco conosciuto.
Nel Box 1 sono riportati schematicamente alcuni dei principali strumenti impiegati per combattere lo sfruttamento e il lavoro illegale in agricoltura. Gli strumenti sono stati raggruppati adattando la classificazione proposta da Williams e Horodnic (2018). Purtroppo, non esistono studi di impatto indipendenti che analizzano l'efficacia di tali misure.
Box 1 - Alcuni strumenti per contrastare il lavoro irregolare in agricoltura e lo sfruttamento
- Strumenti deterrenti. Questi sono rappresentati sostanzialmente da un sistema di controlli e sanzioni rigido. Se da una parte le ispezioni possono essere efficaci nel rilevare situazioni di irregolarità, rischiano però di esserlo assai meno quando il fornimento di manodopera è intermediato da soggetti terzi come cooperative che individuano con una certa agilità i lavoratori necessari alle aziende, permettendo di far incontrare la domanda con l'offerta in qualsiasi momento.
In alcuni Paesi tra cui il Regno Unito e l'Irlanda si ricorre al naming and shaming, cioè a liste di imprenditori che fanno uso di manodopera non regolare, un sistema dunque opposto alle liste dei compliants previste in Italia dalla Rete del lavoro agricolo di qualità.
- Strumenti che facilitano l'adempienza. Ad esempio, per ovviare all'opacità delle situazioni in cui sono soggetti intermediari a trovare e fornire manodopera alle aziende, nel Regno Unito è stato varato nel 2004 il 'Gangmasters licensing Act 2004' che attribuisce la possibilità di fornire lavoratori stagionali alle aziende in cerca di manodopera ai caporali (i gangmasters) attraverso un sistema di patentini. Soltanto i gangmasters che soddisfino determinati criteri - relativi al rispetto del salario minimo e tassazione, e condizioni lavorative accettabili - ottengono la licenza e possono pertanto fornire manodopera alle aziende nel perimetro della legalità.
Altri strumenti che secondo la letteratura potrebbero venire incontro agli imprenditori agricoli e facilitare il reclutamento di manodopera nel rispetto delle regole sono l'utilizzo dei voucher e dei contratti di rete. Questi ultimi sono applicabili in diversi Paesi dell'UE, tra cui anche l'Italia, ed offrono la possibilità di introdurre un unico rapporto di lavoro in condivisione tra più aziende, con riduzione dei costi del lavoro a carico delle singole aziende. Per quanto riguarda l'utilizzo di buoni lavoro o voucher, in Italia l'impiego dei voucher è stato al centro di forti dibattiti e contrasti da parte dei rappresentanti dei lavoratori a causa della crescita esplosiva del loro impiego soprattutto nel settore delle attività commerciali e del turismo inducendo il legislatore nel 2017 a introdurre forti limitazioni all'impiego del lavoro accessorio sotto il profilo soggettivo e limitandolo a specifiche categorie di prestatori (studenti under-25, pensionati e disoccupati).
- Strumenti che incentivano l'adempienza, che sostanzialmente si contrappongono all'approccio della deterrenza descritto sopra. Ad esempio, la rete del lavoro agricolo di qualità in Italia è nata con l'obiettivo di incentivare l'impiego regolare di manodopera in agricoltura. Approcci simili per certi versi sono stati implementati per settori specifici in Belgio e Paesi Bassi, dove in alcuni settori sono stati adottati marchi e ulteriori incentivi non soltanto a rispettare le leggi nazionali sul lavoro, ma anche in caso di impego stagionale a offrire sostegno per l'alloggio, e ove necessario ricorrere ad agenzie del lavoro certificate.
Gli imprenditori intervistati sostengono che il lavoro agricolo svolto dagli immigrati rappresenta una risorsa indispensabile per le loro aziende. Allo stesso tempo lamentano una accresciuta indisponibilità di manodopera stagionale in agricoltura, anche straniera. Per quest'ultima, in particolare pesano le difficoltà di reclutamento di lavoratori extra-UE a causa della non adeguatezza del Decreto flussi D. lgs. 286 del 1998 che a fronte di esigenze difficili da pianificare, che spesso riguardano brevissimi periodi dell'anno, il Decreto flussi richiede diversi mesi dalla presentazione della domanda al momento in cui il lavoratore riesce effettivamente ad iniziare il lavoro in azienda.
Il ricorso a cooperative, per lo più gestite da stranieri, che sono in grado di fornire manodopera immediata su richiesta sembra rappresentare una necessità per la gran parte degli intervistati, che dichiarano di non essere a conoscenza del tipo di contratto e salario con cui questi lavoratori vengono ingaggiati. Gli intervistati identificano alcuni vantaggi (es. sgravo burocratico rispetto alla stipula di contratto, rapido reperimento di lavoratori) per le aziende agricole che si rivolgono a intermediazione cooperativa, pur esprimendo perplessità sul tipo di che potrebbe nascondere forme di sfruttamento. Come emerso da alcuni casi di cronaca, a volte, dietro una formale legalità in queste cooperative si nascondono forme di sfruttamento ed elusione contributiva[2].
Per l'impiego e retribuzione di lavori saltuari, alcune delle 16 aziende in passato facevano ricorso ai voucher (eliminati i buoni lavoro nel 2017, il lavoro accessorio in agricoltura in Italia è oggi limitato per legge a studenti under-25 e ai pensionati), che secondo gli intervistati rappresentavano uno strumento snello per l'impiego di manodopera limitato a pochi giorni, soprattutto se paragonato al carico burocratico necessario per la stipula di contratti.
Nessuna delle 16 aziende ha mai utilizzato contratti di rete, che consentirebbero di condividere la manodopera tra aziende in base alle necessità, con la possibilità di mettere in campo un unico rapporto di lavoro in condivisione tra più aziende. Alcuni non sanno cosa siano, ma è anche vero che spesso la specializzazione produttiva a livello territoriale è tale per cui le operazioni si sovrappongono dal punto di vista temporale rendendo pertanto impossibile la condivisione dei lavoratori. In ogni caso, per potere condividere le risorse umane è necessario un rapporto fiduciario tra gli imprenditori aderenti che difficilmente si riesce a stabilire.
I lavoratori stranieri svolgono per lo più mansioni manuali generiche, e le operazioni più delicate come l'uso dei fitofarmaci sono svolte dagli stessi intervistati o da operai italiani specializzati. Nonostante emerga chiaramente che gli immigrati costituiscono una risorsa irrinunciabile per l'agricoltura italiana, sembra esserci una scarsa disponibilità da parte degli imprenditori intervistati ad investire nella loro formazione professionale, dovuta a diversi fattori. In primo luogo, l'idea che i lavoratori immigrati possano lasciare l'azienda per tornare nel proprio Paese o trovare occupazione in un altro settore accomuna tutti gli intervistati che, pertanto, sono scarsamente propensi ad investire risorse in un tipo di formazione a lungo termine. Inoltre, alcune difficoltà pratiche legate alla conoscenza della lingua italiana e al possesso della patente di guida rappresentano un ulteriore ostacolo.
Infine, dalle interviste emerge scarsa conoscenza della Rete del lavoro agricolo di qualità, che viene percepita, anche dalle aziende che aderiscono, come una iniziativa concepita 'dall'alto' e di non particolare utilità. L'adesione delle aziende iscritte è essenzialmente riconducibile a due ragioni. In primo luogo, alcune aziende dichiarano di aver aderito sotto pressione dei loro clienti (Grande Distribuzione Organizzata, GDO) o a seguito del suggerimento di organizzazioni di categoria. In secondo luogo, la scelta di iscriversi può essere riconducibile, sulla base delle interviste, alla minore probabilità di avere controlli in azienda, con il risparmio di tempo che ne consegue. Soltanto una azienda dichiara di aver aderito alla rete per poter conseguire un punteggio più alto per l'accesso ai fondi dei Programmi di Sviluppo Rurale così come previsto dalla Regione in cui l'azienda si trova.
I lavoratori stranieri e migranti sono diventati sempre più importanti per il settore agricolo. Tuttavia, sembrano esserci una scarsa propensione ad investire nella loro formazione professionale da parte dei datori di lavoro. Sarebbe pertanto opportuno un intervento pubblico in questa direzione a beneficio della sostenibilità sociale e della competitività dell'agricoltura italiana che può essere indebolita dalla crescente carenza di capitale umano qualificato all'interno del settore
Allo stesso tempo, e in qualche modo correlato alla questione sopra descritta, è necessario rendere più efficienti le procedure di reclutamento per prevenire il lavoro sommerso che aggrava ulteriormente la vulnerabilità dei lavoratori.
Strumenti come la Rete del Lavoro Agricolo di Qualità rimangono poco conosciuti e la loro efficacia limitata se non sono chiaramente legati a benefici per agricoltori e lavoratori.
Stefano Orsini, Maria Carmela Macrì, Maria Valentina Lasorella
CREA PB
PianetaPSR numero 122 marzo 2023