I Consorzi di tutela nascono come associazioni volontarie, senza finalità lucrative, disciplinate dall'articolo 2602 del Codice civile, e promosse dagli operatori economici coinvolti nelle singole filiere con la funzione chiave di tutelare, valorizzare e promuovere le produzioni agroalimentari di qualità (Denominazione di Origine Protetta (DOP) ed Indicazione Geografica Protetta (IGP).
I Consorzi di tutela rivestono un ruolo di rilievo nell'economia generale delle produzioni agroalimentari di qualità. Difficilmente, infatti, un singolo produttore, anche se tutelato da una denominazione, riesce a valorizzare la sua produzione se agisce in maniera isolata. Anzi, il rischio è quello che la denominazione si traduca in un onere (Giacinti & Moruzzo, 2002), in quanto la produzione tipica e di qualità impone il rispetto di un disciplinare a cui sono associati ulteriori costi di gestione e controllo.
Nel presente contributo vengono riportati alcuni dei primi risultati di un progetto del CREA - Politiche e bioeconomia condotto nell'ambito della Scheda 19.2 - Cooperazione di filiera del Progetto Rete Rurale Nazionale 2014-2022. In prima analisi, è possibile evidenziare la partecipazione, anche su base regionale, dei Consorzi di tutela a progetti complessi ed integrati di finanziamento pubblico.
Lo studio nel suo complesso si avvale sia di statistiche amministrative, appositamente curate dal CREA - PB, sia di analisi facenti riferimento alla banca dati della Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA).
Ai Consorzi di tutela, riconosciuti dal Ministero dell'agricoltura e della sovranità Alimentare e forestale (MASAF), sono attribuite, in base alla legge 21 dicembre 1999 n. 526[1], funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alle denominazioni registrate. In base alla rappresentatività dei Consorzi, anche le funzioni di vigilanza nella fase del commercio, cioè nel momento in cui il prodotto certificato entra nel circuito commerciale.
Il riconoscimento da parte del MASAF è subordinato al possesso di alcuni requisiti di rappresentatività e di equilibrata partecipazione delle categorie dei produttori e degli utilizzatori negli organi sociali. In particolare, i consorzi di tutela devono:
Per ciascuna DOP e IGP può essere costituito un solo Consorzio di tutela e viceversa.
In base ai dati del MASAF, aggiornati a gennaio 2023, sono 168 i Consorzi di tutela relativi ai prodotti DOP e IGP incaricati ai sensi dell'art. 14 della legge 526/99. A questi, vanno poi aggiunti i 128 Consorzi di tutela dei vini incaricati ai sensi dell'art. 41 della Legge 12 Dicembre 2016, n. 238.
La progettazione integrata di filiera, seppure prevista come misura di intervento dei PSR, non è esplicitamente contemplata dalla normativa comunitaria. Essa è un metodo di intervento che, a partire dal periodo di programmazione 2000-2006, l'Italia ha inteso sperimentare per favorire i processi di aggregazione nel settore agroalimentare. In tal senso, il progetto integrato di filiera (PIF) rappresenta uno strumento per favorire l'attuazione delle politiche di sviluppo rurale, in quanto favorisce la nascita di relazioni sistemiche tra soggetti di natura diversa e propone soluzioni più complesse e articolate per affrontare le problematiche settoriali o territoriali.
Obiettivo del PIF[4] è quello di creare o potenziare le principali filiere agroalimentari e quella forestale, deve quindi presentarsi come un progetto complesso ed integrato di azioni tese a sistematizzare l'intervento pubblico tarandolo sulle esigenze di sviluppo del comparto.
Alla base del PIF c'è un accordo di filiera che si configura come un contratto formale con il quale, successivamente all'approvazione del progetto, i soggetti partecipanti condividono e sottoscrivono gli obiettivi e le strategie operative, gli impegni e gli obblighi che ciascuno è tenuto a rispettare, nonché gli specifici ruoli e le singole responsabilità.
Uno tra i vincoli più ricorrenti riguarda il conferimento e la commercializzazione del prodotto[5]: un'azienda aderente al PIF contrae un obbligo a conferire ad un altro soggetto del PIF una quota percentuale della propria produzione.
Alla data del 31/03/2023, sono nove le Regioni (Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Sardegna, Toscana) che hanno promosso partenariati e progetti di filiera. Le iniziative selezionate sono complessivamente 303, mentre le risorse pubbliche ad essi destinate hanno superato gli 818 milioni di euro. Le risorse finanziarie assegnate allo strumento sono un chiaro segnale di quanto sia strategico tale approccio nell'ambito della Politica di sviluppo rurale. Il PIF, infatti, non è solo una modalità di accesso al PSR ma uno strumento che tende a rafforzare l'intera catena agroalimentare puntando alla creazione di poli di riferimento produttivo legati da impegni ed obiettivi comuni rispettosi di tutti i soggetti che ne fanno parte.
È possibile ritenere che i PIF, così come gli altri strumenti di aggregazione adottati dal mondo agricolo, possono essere un metodo per migliorare le relazioni di mercato, in quanto offrono la possibilità di concentrare gli interventi dei singoli partecipanti su un obiettivo comune e condiviso.
In particolare, dall'esame delle diverse progettualità emerge che i Consorzi vitivinicoli, dove il PSR ne prevedeva l'intervento, hanno trovato nell'integrazione di filiera una buona occasione per lavorare sull'integrazione promuovendo qualità e innovazione.
Di seguito vengono sintetizzati i risultati preliminari della ricerca in corso:
La Politica Agricola Comune 2023-2027 insiste molto sulla cooperazione, nel senso lato del termine, come strumento di crescita della competitività del sistema agricolo italiano, offrendo ai Consorzi di tutela un importante via di sviluppo per il prossimo futuro.
Francesco Licciardo, Massimo Perinotto, Serena Tarangioli
CREA PB
PianetaPSR numero 123 aprile 2023