Ripristinare almeno il 20% delle aree naturali, terrestri e marine, della UE entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che lo necessitano entro il 2050. È quanto previsto dalla proposta di legge avanzata dalla Commissione europea nel giugno del 2022 nell'ambito del Green Deal UE. Il testo ha ottenuto l'approvazione di massima dal Consiglio europeo lo scorso 20 giugno, ma, negli stessi giorni, i due passaggi della proposta in Commissione Ambiente del PE si sono risolti in un pareggio e ora il voto in plenaria, previsto per il mese di luglio, rischia di pregiudicarne il percorso.
Il documento, sul quale l'Italia ha espresso in Consiglio parere negativo, stabilisce obiettivi e obblighi specifici, giuridicamente vincolanti, per il ripristino della natura in ciascuno degli ecosistemi elencati, dai terreni agricoli e dalle foreste agli ecosistemi marini, d'acqua dolce e urbani.
Il testo approvato viene presentato dal Consiglio in una nota come uno strumento di "un equilibrio tra il mantenimento di obiettivi ambiziosi per il ripristino della natura e la garanzia di flessibilità per gli Stati membri nell'attuazione del regolamento, mantenendo al contempo condizioni di parità e riducendo gli oneri amministrativi". Il documento rappresenta la base per il negoziato con il Parlamento europeo che porterà alla definizione del testo finale, ma sull'esito del voto della plenaria, dopo la bocciatura in Commissione Agricoltura e Pesca e il "pareggio" in quella Ambiente (direttamente competente sul tema), c'è grande incertezza, date le spaccature mostrate dai principali gruppi dell'Europarlamento che potrebbero portare ad affossare definitivamente uno dei pilastri del Green Deal.
Il Consiglio ha concordato che gli Stati membri mettano in atto misure di ripristino che portino in buone condizioni almeno il 30% degli habitat degli ecosistemi terrestri, costieri, d'acqua dolce e marini che non sono in buone condizioni entro il 2030. Ciò si applicherebbe ad almeno il 30% dell'area totale dei tipi di habitat ritenuti non in buone condizioni, anziché all'area per ciascun gruppo di habitat, come inizialmente proposto dalla Commissione.
Gli Stati membri dovrebbero tuttavia stabilire misure di ripristino per almeno il 60% entro il 2040 e per almeno il 90% entro il 2050 dell'area di ciascun gruppo di habitat che non è in buone condizioni., con l'eccezione di alcune aree marine con specifiche caratteristiche, per le quali sono previste percentuali inferiori e l'obiettivo 2030 non sarà considerato.
Per le aree di habitat soggette a misure di ripristino, gli Stati membri hanno concordato di garantire che non si verifichi un deterioramento significativo. Nelle aree già in buone condizioni o dove le misure di ripristino non sono ancora state attuate, in particolare al di fuori della rete Natura 2000 delle aree protette, gli Stati membri si impegneranno a mettere in atto le misure necessarie per prevenire un deterioramento significativo. Ciò si tradurrebbe in un obbligo basato sui risultati per le prime e in un obbligo basato sullo sforzo per le seconde.
Nell'approvare la proposta, si evidenzia però che mancano dati sulle condizioni di alcuni habitat e quindi è difficile quantificarne il miglioramento, per questo gli Stati membri hanno concordato che le misure quantitative di ripristino si applicheranno solo alle aree in cui le condizioni degli habitat sono note.
In questo senso si prevede che i Paesi membri avranno tempo fino al 2030 per determinare il 90% delle condizioni degli habitat. Per gli habitat marini, invece, sarà il 50%. Le condizioni di tutti gli habitat dovranno essere note entro il 2040, ad eccezione dei sedimenti molli per i quali il termine è esteso al 2050.
La proposta contiene obblighi specifici per gli ecosistemi, per i quali il Consiglio ha introdotto diverse forme di flessibilità. Ad esempio, per gli ecosistemi urbani, si legge in una nota, ha sostituito gli obiettivi quantitativi con l'obbligo per gli Stati membri di ottenere una tendenza all'aumento delle aree verdi urbane fino al raggiungimento di un livello soddisfacente. Il Consiglio ha mantenuto il requisito di "nessuna perdita netta", che prevede che entro il 2030, rispetto all'entrata in vigore del regolamento, non si verifichi alcuna perdita di spazio verde urbano e di copertura arborea urbana, a meno che gli ecosistemi urbani non abbiano già più del 45% di spazio verde.
Il Consiglio ha invece ridotto gli obiettivi per la riumidificazione delle torbiere, per tenere conto del fatto che alcuni Stati membri sono colpiti in modo sproporzionato da questi obblighi. La proposta prevede di ripristinare il 30% delle torbiere drenate sotto uso agricolo entro il 2030 e il 50% entro il 2050, con la possibilità per gli Stati membri più colpiti di applicare una percentuale inferiore.
Il documento approvato prevede anche una maggiore flessibilità nell'uso degli indicatori per il monitoraggio degli ecosistemi forestali e per gli elementi paesaggistici ad alta diversità negli ecosistemi agricoli, come siepi, filari di alberi, macchie, fossati, stagni o alberi da frutto, ha aggiunto la possibilità di concentrare le misure su quelli necessari per la conservazione della biodiversità.
La proposta introduce inoltre l'obbligo per gli Stati membri di garantire il mantenimento della connettività fluviale ripristinata.
Ogni Stato membro dovrà predisporre dei Piani di ripristino e la proposta di legge approvata prevede che non debbano presentare piani completi fino al 2050 due anni dopo l'entrata in vigore del regolamento, ma possano limitarsi a predisporre prima piani di ripristino nazionali che coprano il periodo fino al giugno 2032, con una panoramica strategica per il periodo successivo; entro giugno 2032, invece, saranno chiamati a presentare piani fino al 2042 con una panoramica strategica fino al 2050 ed entro giugno 2042 quelli fino al 2050.
I Piani dovranno prendere in considerazione le specifiche nazionali in termini di requisiti sociali, economici e culturali, caratteristiche regionali e locali e densità di popolazione, compresa la situazione specifica delle regioni ultraperiferiche.
Il Consiglio ha aggiunto un nuovo articolo che prevede che la pianificazione, la costruzione e il funzionamento di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, la loro connessione alla rete e le relative strutture di rete e di stoccaggio, si presume abbiano un interesse pubblico prevalente.
Ciò significa che beneficerebbero di una deroga agli obblighi di miglioramento continuo e di non deterioramento. Inoltre, gli Stati membri potrebbero esentare questi progetti dall'obbligo di dimostrare che sono disponibili soluzioni alternative meno dannose, se è stata effettuata una valutazione ambientale strategica. Per garantire l'allineamento con la direttiva sulle energie rinnovabili, attualmente in fase di revisione, gli Stati membri possono anche limitare l'applicazione di queste esenzioni in base alle priorità stabilite nei loro piani nazionali integrati per l'energia e il clima.
Il Consiglio ha anche chiarito che i piani e i progetti per l'unico scopo della difesa nazionale possono essere considerati di interesse pubblico prevalente e possono essere esentati dal requisito che non siano disponibili soluzioni alternative meno dannose. Tuttavia, gli Stati membri devono mettere in atto misure per mitigare gli impatti sui tipi di habitat in cui applicano questa esenzione.
La proposta approvata introduce una nuova disposizione che richiede alla Commissione di presentare una relazione, un anno dopo l'entrata in vigore del regolamento, con una panoramica delle risorse finanziarie disponibili a livello dell'UE, una valutazione del fabbisogno di fondi per l'attuazione e un'analisi per identificare eventuali lacune di finanziamento. La relazione dovrebbe anche includere proposte adeguate, se del caso, e senza pregiudicare il prossimo quadro finanziario pluriennale (2028-2034).
Il testo approvato definisce la posizione del Consiglio nel percorso negoziale; un negoziato, però, che potrebbe a questo punto essere destinato a chiudersi prima ancora di cominciare.
Redazione PianetaPSR
PianetaPSR numero 125 giugno 2023