La ristorazione scolastica è un servizio a domanda individuale, garantito da ciascuna Amministrazione comunale secondo quanto previsto dalla normativa nazionale e regionale, ed è facoltativo [1]. L'Ente territoriale produce ed eroga discrezionalmente tale servizio, nei limiti delle disponibilità di bilancio, anche valutandone l'utilità sotto il profilo della promozione e dello sviluppo sociale della comunità, e per la cui fruizione richiede una contribuzione da parte dell'utenza.
Nonostante si siano susseguiti nel tempo orientamenti giurisprudenziali contrastanti [2], il servizio di ristorazione scolastica è considerato un servizio di pubblico interesse che non può essere sospeso, interrotto o abbandonato, ed è strettamente correlato al diritto all'istruzione, pur essendo strumentale all'attività scolastica [3]. Una recente norma lo definisce servizio pubblico locale di rilevanza economica qualora il Comune, pur prevedendo l'esonero di determinate categorie di utenti e tariffe agevolate per alcune categorie di reddito, è in grado di generare, in base al fatturato stimato, margini di redditività dal servizio di ristorazione scolastica [4].
Il ruolo del Comune è dunque quello di assicurare una gestione efficace ed efficiente del servizio di ristorazione scolastica mantenendo la governance del servizio e il possesso delle cucine (in casi virtuosi sono presenti anche orti scolastici) oppure assicurando l'erogazione del servizio da parte di ditte specializzate, valorizzando le capacità imprenditoriali, organizzative e finanziarie di investimento dei soggetti privati. In ogni caso, il Comune svolge un ruolo fondamentale di indirizzo e controllo sulla gestione del servizio attraverso un controllo tecnico-ispettivo e igienico sanitario e un controllo sul funzionamento del servizio, soprattutto in merito al rapporto con l'utenza e alla qualità degli alimenti e dei servizi come previsto dal capitolato di appalto.
Il servizio di ristorazione scolastica ha acquisito negli anni una «doppia» valenza: (1) educativa - dovendo necessariamente contribuire a favorire corretti comportamenti alimentari e contrastando/mitigando la povertà alimentare minorile e (2) didattica - contrastando/mitigando la dispersione scolastica.
Sul fronte educativo, il servizio di mensa è finalizzato a corretti comportamenti alimentari e dovrebbe rappresentare un presidio di salute e democrazia da tutelare, anche dall'aggressività del mercato che propone ai ragazzi alimenti industriali processati ad alto contenuto calorico (junk food). Tuttavia, mentre il 20,4% dei bambini (8-9 anni) e il 18,2% dei ragazzi (11-17 anni) sono in sovrappeso e il 9,4% dei bambini e il 4,4% dei ragazzi sono obesi [5], la mensa rappresenta per molti alunni della scuola dell'obbligo l'unico pasto giornaliero. Il 6% dei minori di 15 anni, già prima della pandemia, non poteva permettersi un pasto proteico completo al giorno e nel 2022 quasi 1 milione e 270mila minori (137mila in più rispetto al 2019) ha vissuto in povertà assoluta, ovvero non ha avuto beni e servizi indispensabili per condurre una vita dignitosa [6]. Sebbene due milioni di studenti ogni giorno pranzi nelle mense scolastiche, i bambini mangiano meno della metà del cibo proposto e il motivo è spesso riconducibile alla qualità dei pasti [7]. Ogni anno vengono erogati 400 milioni di pasti, di cui 272 milioni sono forniti da aziende private in appalto; oltre il 65% del fatturato della ristorazione scolastica fa riferimento a otto colossi privati della ristorazione collettiva e ciò è reso possibile anche dai bandi pubblici che premiano la riduzione dei costi [8].
Secondo i dati Miur [9], nell'anno scolastico 2020/2021 gli edifici scolastici statali dotati di mensa, in Italia, erano il 3,1% del totale, con un'altissima disparità tra le regioni, dal 71,3% delle scuole in Valle d'Aosta al 10,2% in Sicilia (Figura 1). A fronte del 39% delle scuole primarie dotate di mensa, il 57% degli alunni ha utilizzato il servizio di mensa, con percentuali variabili a livello regionale anche in ragione del fatto che una stessa struttura può essere utilizzata da più istituti (Figura 2).
È stato riscontrato che esiste una relazione tra mense scolastiche e povertà alimentare, ovvero le regioni con una bassa incidenza di edifici scolastici dotati di mensa sono le stesse dove più alta è l'incidenza dei minori che non consumano un pasto proteico al giorno [10].
Sul fronte della didattica, il servizio della ristorazione scolastica può svolgere un ruolo di contrasto alla dispersione scolastica, nella sua accezione di abbandono scolastico precoce (dopo la terza media). Nel 2022, sono scesi all'11,5% i giovani tra i 18 e i 24 anni con al massimo la licenza media e senza coinvolgimenti in percorsi di istruzione o formazione, contro il 12,7% nel 2021 [11]. Permane il divario tra regioni (Centro Nord contro Sud), con punte elevate in 4 regioni del Mezzogiorno e tra Comuni ed è ancora troppo alto l'abbandono scolastico precoce in Italia, nonostante in nove regioni sia al di sotto della media UE (9,6%) (Figura 3), il cui obiettivo è quello di scendere al 9% entro il 2030. I ragazzi e le ragazze che abbandonano gli studi provengono spesso da contesti sociali difficili e da famiglie in difficoltà economica; negli ultimi due anni l'aumento dei prezzi ha generato una crescita delle disuguaglianze educative con una riduzione della spesa delle famiglie per l'istruzione a fronte delle spese per casa e cibo [12].
L'estensione del tempo pieno e delle mense scolastiche nelle scuole primarie può tradursi in un aumento della qualità e quantità dell'offerta educativa, con nuove opportunità di apprendimento e la possibilità di conciliare la didattica curricolare con attività ed esperienze organizzate in collaborazione con la comunità educante. Ciò porterebbe a nuove opportunità di socialità attraverso la valorizzazione degli spazi esterni alla scuola e la promozione dell'educazione ambientale, alimentare e motoria, favorendo il contrasto alla dispersione scolastica precoce che può tradursi in maggiori probabilità di ricadere nell'esclusione sociale e in una maggiore difficoltà nel trovare un'occupazione stabile.
Alcuni studi hanno dimostrato gli effetti sociali dell'estensione del tempo pieno e delle mense scolastiche in tre step temporali: nel breve periodo tali effetti consistono nell'aumento del tasso di partecipazione scolastica e dell'apprendimento scolastico con riflessi sull'aumento dell'offerta di lavoro dei genitori e sul reddito familiare [13]; nel medio periodo gli effetti possono ricondursi ai risultati scolastici successivi migliori, minore probabilità di imbattersi in comportamenti rischiosi e in attività criminali [14]; nel lungo periodo gli effetti consistono nella probabilità di avere un lavoro qualificato nell'età adulta seppure influenzata da altre variabili, come ad es. il paese di riferimento [15].
Guardando ai dati, di fatto si assiste alla mancanza di equità tra le Regioni italiane; nelle grandi città oltre il 60% delle classi è a tempo pieno, nei piccoli Comuni la quota scende sotto il 15% [10]. L'80,4% delle scuole costruite tra il 2015 e il 2019 non è dotato di mensa e, come detto, il livello di presenza del servizio di ristorazione scolastica varia molto da Regione a Regione, con una media nazionale di una scuola su tre [9]. Nell'anno scolastico 2021/2022 Il costo medio delle famiglie per la ristorazione scolastica è stato di 82 euro al mese (circa 4 euro a pasto) con una forbice che va dai 60 euro/mese in media per la scuola dell'infanzia e la scuola primaria in Sardegna, ai 109 euro/mese in Basilicata [16]. Nei capoluoghi di provincia si spende di più a Torino per la scuola d'infanzia (6,60 euro a pasto) e a Livorno e Trapani per la primaria (6,40 euro), mentre a Barletta si spende meno (2 euro infanzia e primaria). Fra le città metropolitane solo Roma rientra nella classifica di quelle meno care, con 2,40 euro a pasto per scuola d'infanzia e primaria [16].
È chiaro che occorrerebbe uniformare le tariffe minime e massime del servizio sul territorio nazionale o, almeno, per aree territoriali in base al costo della vita e, comunque, sarebbe auspicabile ampliare le fasce di reddito per le quali è previsto l'accesso gratuito, rendendo allo stesso tempo le mense economicamente accessibili alle altre famiglie.
L'indirizzo politico è quello di estendere il pasto a scuola ad un numero sempre maggiore di bambini, soprattutto nelle aree del Sud, in quelle interne e ultra-periferiche del Paese e ampliare l'offerta formativa delle scuole al di fuori dell'orario strettamente dedicato alla didattica, sviluppando attività pomeridiane, laboratori e corsi come spazi di condivisione e socializzazione. Per questo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) [17] ha previsto la costruzione o messa in sicurezza di 1.000 edifici adibiti a mensa scolastica entro il 2026, destinando 960 milioni di euro, di cui 400 messi a bando nel 2021 (con il 57,8% delle risorse destinate alle regioni del mezzogiorno) e 200 nel 2022 [18]. Si tratta di un obiettivo importante ma non sufficiente a colmare le lacune esistenti e a favorire il tempo pieno in modo equilibrato in tutte le regioni italiane. Al 31/12/2022 risultavano avviati 908 progetti (Figura 4) per un importo impegnato di 428,9 milioni di euro di risorse PNRR, saliti a 1.045 progetti avviati nel terzo trimestre del 2023, per un importo impegnato di 464,2 milioni di euro di fondi PNRR e una spesa pari al 20% delle risorse [19].
Il tempo pieno dovrebbe essere esteso in tutta Italia e per tutto il primo ciclo di studi (dai 6 ai 14 anni) e per questo le mense scolastiche non dovrebbero essere più un servizio a domanda individuale, facoltativo ed extrascolastico ma dovrebbe essere riconosciuto nell'ambito dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'art.117, lettera m) della Costituzione.
Il piano del PNRR per l'estensione del tempo pieno nelle scuole, per quanto si ponga l'obiettivo di sviluppare una rete di mense sul territorio per garantire un pasto adeguato ai minori almeno una volta al giorno, specialmente nelle realtà più fragili dal punto di vista sociale, necessita di ulteriori interventi declinati dai policy makers a livello locale. Ad esempio, l'adozione di misure idonee a garantire la copertura dei costi da parte dei Comuni e permettere in ogni caso l'accesso alla mensa da parte dei bambini anche in caso di morosità incolpevole delle famiglie. Come noto, i Comuni possono ricorrere ai servizi sociali, che prendono in carico la famiglia in difficoltà economiche. Gli stessi Enti territoriali potrebbero promuovere le mense scolastiche "partecipate", ovvero potrebbero favorire in tutte le scuole l'istituzione della Commissione Mensa, con la presenza di almeno un genitore di bambini che utilizzano diete speciali, e valorizzarne il ruolo che consiste nel rilevare la qualità dei prodotti, la pulizia, la rumorosità, la temperatura e l'illuminazione dei locali, la riduzione degli sprechi, la gestione dei rifiuti.
Queste misure andrebbero supportate a monte, a livello nazionale, con l'introduzione di procedure e strumenti per valutare il servizio mensa su tutto il territorio italiano sulla base di indicatori comuni, sia aggiornando con frequenza periodica (3-5 anni) le Linee guida per la ristorazione scolastica del Ministero della Salute [20], previa consultazione anche delle associazioni dei consumatori e delle reti delle Commissioni Mensa (l'ultimo aggiornamento risale al 2021 e quello precedente al 2010), sia promuovendo a livello locale l'adozione di buone prassi nei capitolati di appalto (prodotti da filiera locale, lotta allo spreco, utilizzo di prodotti eco-sostenibili, ecc.). È importante che sia garantita la qualità, la sicurezza e la sostenibilità dei menù; il costo crescente del servizio e i timori per una gestione poco sicura e non di qualità - ad es. la presenza di cibi con legame refrigerato/cook-chill o surgelati che una volta cotti, raffreddati, trasportati e riscaldati dai centri di cottura perdono micronutrienti e antiossidanti - spesso scoraggiano le famiglie a aderire al servizio.
Sul fronte istituzionale, nel 2017 è stato istituito un Fondo dedicato alle mense scolastiche biologiche, le cui risorse sono ripartite di anno in anno tra Regioni e Province autonome in base ai rispettivi numeri dei beneficiari. Il fondo è finalizzato alla riduzione dei costi a carico dei beneficiari del servizio e ha lo scopo di promuovere iniziative relative all'informazione e all'educazione alimentare nelle scuole. Nell'agosto 2020, inoltre, sono stati introdotti i Criteri ambientali minimi (Cam) nei nuovi appalti che mirano a favorire l'utilizzo di prodotti biologici locali a discapito dei cibi processati e prevedono di calcolare e monitorare lo spreco, sottoponendo questionari e avviando correttivi.
Tuttavia, è necessario che le istituzioni locali favoriscano sia programmi di educazione alimentare e corretti stili di vita in ambito scolastico, contestualmente dotando i distributori automatici di prodotti freschi e naturali a discapito dei junk food, sia iniziative informative-formative rivolte a educatori, insegnanti e famiglie finalizzate all'adozione di comportamenti alimentari, individuali e collettivi, sani e sostenibili.
Sabrina Giuca
CREA - Politiche e Bioeconomia
Eleonora Benedetti
Sapienza Università di Roma - Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche
PianetaPSR numero 129 dicembre 2023