Sulla base delle valutazioni effettuate dalla Commissione europea, l'agricoltura nazionale è sotto osservazione per l'uso eccessivo di prodotti fitosanitari-PF. Questo quadro si è delineato a seguito dell'applicazione dell'indice di rischio armonizzato (HRI1 - Dir. UE -782/2019) che calcola la probabilità che si verifichino problemi dovuti all'uso dei PF in relazione alle quantità impiegate e alla loro classificazione.
Senza addentrarci nelle logiche che hanno dato vita al report e alle obiezioni sollevate e, a prescindere da come le considerazioni della premessa saranno tradotte nel prossimo regolamento UE sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, l'obiettivo di ridurne le quantità impiegate resta comunque un impegno imprescindibile. Nella prospettiva di adempiere al meglio a tale finalità, l'agricoltura di precisione si pone come candidato ideale con la sua offerta di soluzioni tecniche basate sui trattamenti localizzati, o sui sistemi di recupero della miscela fitoiatrica andata fuori bersaglio per mezzo di droni, robot guidati da telerilevamento e macchine irroratrici speciali.
Anche in questo caso, quindi, le soluzioni tecniche abbondano ed è opportuno incentivarne l'introduzione anche se, in alcuni casi, si incontrano degli intralci, non tanto nei costi o nella complessità di esercizio, quanto nell'inadeguatezza del quadro normativo di riferimento come succede quando si mettono in relazione nuove tecnologie d'impiego e dosaggi dei PF.
Ad esempio, quando si impiegano macchine irroratrici di ultima generazione, il recupero di parte della miscela fitoiatrica andata fuori bersaglio, determina un'alterazione fittizia delle dosi che, spesso, ha dato luogo a contestazioni e multe agli utilizzatori proprio per non aver "rispettato" le prescrizioni di etichetta. La legge, infatti, vincola perentoriamente l'uso dei PF per il controllo delle avversità delle colture, alle modalità e al range di dosaggi prescritti in etichetta. Però, se è vero che è importantissimo avere un parametro testato ed approvato dall'autorità preposta per garantire efficacia e uso sicuro, scongiurando nel contempo fenomeni di resistenza e inquinamento, è altrettanto vero che bisognerebbe evitare che lo stesso diventi un indiscutibile vincolo, anche a fronte di evoluzioni tecnico-scientifiche che permetterebbero di interpretare al meglio le finalità della norma.
Per comprendere meglio l'argomento è bene citare un caso concreto. Il trattamento fitoiatrico di un vigneto nella prima fase di sviluppo, comporta una perdita di miscela che potrebbe superare il 50 % della dose riportata in etichetta, solitamente riferita alla superficie fogliare riscontrabile nella fase di massimo accrescimento della pianta. Infatti, nella fase in cui i tralci sono lunghi 30-40 cm, la superficie fogliare ridotta non intercetta gran parte della miscela che quindi va fuori bersaglio e si disperde nell'ambiente. Le macchine irroratrici a recupero, grazie ad alcuni dispositivi, riescono ad intercettare la parte di miscela andata fuori bersaglio e a riutilizzarla. Naturalmente a fine trattamento la miscela impiegata risulterà di molto ridotta e, spesso, il rapporto miscela fitoiatrica / superficie da trattare, scende sotto il limite della dose minima indicata in etichetta.
Consapevoli del paradosso che colloca in un ambito borderline l'uso della macchine irroratrici a recupero, quando, in realtà, ne andrebbe incentivato l'impiego in prospettiva di ridurre deriva e quantità della miscela fitoiatrica utilizzata, molte case produttrici stanno adeguando le etichette dei propri PF, in modo che siano previsti i differenti dosaggi da riferire alle varie fasi di accrescimento delle piante, analogamente a quanto si fa in medicina, nella prospettiva di adeguare all'uso pediatrico il dosaggio di farmaci originariamente testati su patologie di individui adulti. Quest'ultimo orientamento, seppur lodevole, non riesce a dare risposte a tutti i casi e, comunque, non dovrebbe essere un pretesto per precludere la possibilità di seguire altre strade facendo tesoro di ciò che la scienza e la tecnologia ci mettono a disposizione. Del resto, esistono già esperienze in grado di legittimare la modalità presa ad esempio, come avviene nell'ambito del diserbo chimico dove, a seguito dei trattamenti localizzati, si ottiene una riduzione delle dosi. In merito a quest'ultimo caso, i trattamenti da fare nella fase post- emergenza, possono limitarsi alla sola parte di superficie su cui insiste la fila di giovani piantine, lasciando il controllo delle infestanti sulla restante parte ad interventi di natura meccanica. Di conseguenza, la quantità di miscela da impiegare, si riduce a un terzo o alla metà di quella prevista in etichetta, in funzione della reale superficie da trattare che sarà pari alla sommatoria delle piccole strisce di terra in corrispondenza delle file di piantine.
La sinergia prodotta dalla distribuzione localizzata degli erbicidi sulla fila delle colture e gli interventi di natura meccanica sull'interfila (sarchiatura) è una pietra miliare sul percorso dell'uso sostenibile dei PF. Sarebbe stato illogico, in questo caso, pretendere che alla fine del trattamento localizzato, l'operatore avesse utilizzato la dose riferita agli ettari nominali della coltura e non a quelli realmente interessati dall'intervento. A questo punto è lecito domandarsi: se questa è una pratica pienamente legittima, perché esistono ancora resistenze all'applicazione localizzata o al recupero della miscela fitoiatrica nel restante campo di applicazione dei PF?
In regime SQNPI, grazie alla deroga prevista dall'art. 43 del D.L. n.76/2020 convertito dalla L. 120/2020, i produttori hanno la possibilità di utilizzare irroratrici a recupero, o anche irroratrici ordinarie debitamente tarate in funzione dello sviluppo fogliare della coltura, per intercettare o non irrorare miscela in eccesso, senza paura di incorrere nelle sanzioni previste per la riduzione della dose sotto il limite minimo di etichetta. A questo si deve aggiungere che, in virtù del regime di deroga, i produttori hanno facoltà di avvalersi dei già numerosi sistemi di misurazione della superficie fogliare reale (LWA), per quantificare la reale dose necessaria all'intervento fitoiatrico con dispositivi a recupero o con irrorazione localizzata, in modo da procedere alla preparazione della giusta quantità di miscela che eviti eccedenze e conseguenti problemi di smaltimento.
Attualmente si sta lavorando per far in modo che questa "facoltà" dei produttori diventi un impegno definito e verificato in maniera sistematica in seno al SQNPI. Considerato il campo d'azione del citato sistema di qualità, che si aggira ormai sui 700.000 Ha, si comprende quale potrebbe essere la reale incidenza di queste tecniche in relazione all'obiettivo di ridurre le quantità di PF impiegate. Naturalmente, dal banco di prova SQNPI, l'esperienza potrebbe estendersi nell'ambito degli altri sistemi di qualità a partire dalle DOP e IGP.
Ovviamente, come tutte le innovazioni, bisognerebbe che il mondo accademico e professionale vagliasse con attenzione questo tipo di approccio. Una "legittimazione scientifica" contribuirebbe sicuramente ad accreditare tali modalità di distribuzione dei PF, preparando l'humus culturale necessario a determinarne un uso massivo e a fronteggiare adeguatamente le nuove sfide a cui andremo incontro in materia di uso sostenibile dei PF.
Giuseppe Ciotti
PianetaPSR numero 138 ottobre 2024