Il fatto che la sostenibilità dell'impresa sia, in primo luogo, un tema di corporate governance è convinzione sempre più radicata e non soltanto nell'ambito della cultura giuridica italiana ed europea. Si tratta di una sfida cruciale del XXI secolo: le iniziative di sostenibilità, soprattutto negli ultimi due decenni, sono notevolmente proliferate e sia le imprese che i governi cercano di dare maggiore certezza sulla natura sostenibile di prodotti e servizi e nella gestione della supply chain a livello globale (Oecd, 2022).
Una supply chain sostenibile promuove buone pratiche di governance attraverso l'analisi del ciclo di vita dei prodotti e considera gli impatti ambientali, sociali ed economici lungo l'intera catena, inclusi i fornitori. Questo approccio permette alle imprese di ottenere vantaggi competitivi, migliorando efficienza ed efficacia delle loro operazioni. In tale direzione, le iniziative di sostenibilità svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere un'azione collettiva per risolvere i problemi, ampliare le pratiche responsabili e sostenibili e guidare le best practice che vanno oltre i requisiti legali[1]. Il panorama che ne risulta è vasto e complesso, con iniziative che variano in modo significativo nella loro ambizione, attività principali, ambito e composizione. Ma questa diversità può essere considerata un punto di forza.
Figura 1 - Iniziative di verifica e facilitazione
In tale direzione, molti Stati stanno adottando un mix di approcci per promuovere e abilitare pratiche commerciali, prodotti, catene di fornitura e investimenti responsabili e sostenibili e misurare il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
In questo contesto, la responsabilizzazione delle imprese necessita di una compenetrazione tra legislazioni nazionali e codici di autoregolamentazione affinché possa spiegare i suoi effetti orientando l'attività delle stesse verso il monitoraggio, la prevenzione, la riduzione e la gestione dell'impatto sui diritti umani e sull'ambiente.
Per raggiungere questo scopo, a partire dagli anni Settanta, alcuni Paesi, iniziarono a proporre standard di condotta da introdurre nelle imprese, in modo tale da bilanciare gli obiettivi da perseguire. A riprova di questa evidenza, si pone l'ampia azione delle organizzazioni intergovernative quali ONU, OCSE, OIL e della stessa UE, facendo ricorso soprattutto a fonti di soft law (Thurer, 2012).
La soft law si presenta non solo come strumento funzionale alla produzione di strumenti vincolanti (hard law) ma anche come elemento cardine del sistema della disciplina della responsabilità sociale d'impresa. Inoltre, elemento peculiare della soft law è quello della sua capacità di rivolgersi anche ai soggetti non statali.
Di seguito nella tabella 1 viene proposta un elenco e una breve analisi, non esaustiva, dei principali standard e strumenti di soft e hard law che combinano approcci vincolanti e non vincolanti per promuovere una condotta aziendale etica e sostenibile su scala globale. La tabella 1 ci mostra come gli strumenti adottati dalla comunità internazionale al fine di garantire il rispetto una condotta responsabile di impresa siano oggi molteplici e di vario tipo.
Già nel 1976 l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha emanato le Linee Guida per le Imprese Multinazionali (Guidelines for Multinational Corporations). Il carattere non giuridicamente vincolante delle Linee Guida viene inoltre ribadito attraverso l'osservanza delle leggi nazionali, primo obbligo delle imprese: "le Linee Guida non si sostituiscono alle leggi e ai regolamenti nazionali né dovrebbero essere considerate prevalenti rispetto ad essi". Nella sezione "General Policies" sono contenute raccomandazioni volontarie per le imprese in termini di prevenzione, due diligence, astensione da comportamenti contrari ai principi e coinvolgimento degli stakeholders. In tal senso, è sempre più ampio il riferimento agli standard internazionali di due diligence. A tali Linee guida si affiancano quelle sulla due diligence per la condotta d'impresa responsabile, nel tentativo di garantire che le aziende utilizzino la due diligence basata sul rischio per identificare, affrontare e segnalare gli impatti negativi associati alle loro attività e catene del valore (Figura 2 - Schema 5 passi). I Principi guida delle Nazioni Unite sulle Imprese e i Diritti umani[2], nonché la Dichiarazione tripartita dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale, contengono altresì raccomandazioni sul dovere di diligenza e questa Guida può aiutare le imprese ad attuarle. La Guida, inoltre, rappresenta una risposta alla Dichiarazione dei leader del G7, adottata il 7 e 8 giugno 2015 a Schloss Elmau, che ha riconosciuto l'importanza di stabilire una comprensione comune del dovere di diligenza, in particolare per le imprese di piccole e medie dimensioni, ed ha incoraggiato le imprese attive o con sede nei Paesi G7 ad attuare il dovere di diligenza nelle loro catene di fornitura. Nella Dichiarazione adottata I'8 luglio 2017 ad Amburgo, i leader del G20 si sono impegnati a favorire l'implementazione di standard di lavoro, sociali, ambientali e di diritti umani, in linea con i quadri di riferimento riconosciuti a livello internazionale, per conseguire catene di fornitura sostenibili e inclusive, sottolineando che le imprese hanno la responsabilità di esercitare il dovere di diligenza in questa direzione (OECD, 2018).
In tale direzione, l'OCSE ha sviluppato una serie di guide settoriali che aiutino le imprese a identificare ed affrontare i rischi valore (Figura 2 - Schema 5 passi) per le persone, l'ambiente e la società, associati a operazioni, prodotti o servizi dell'impresa in determinati settori considerati più a "rischio". Tra queste ricordiamo la Guida OCSE-FAO per catene di fornitura responsabili nel settore agricolo sviluppata per aiutare le imprese a rispettare gli standard esistenti [3] per una condotta d'impresa responsabile lungo le catene di fornitura del settore agricolo.
La Guida si rivolge a tutte le imprese che operano lungo le catene di fornitura agricole, imprese nazionali ed estere, private e pubbliche, piccole, medie e grandi. Essa copre i settori agricoli a monte e a valle, dalla fornitura dei fattori di produzione alla produzione, alla gestione post-raccolta, alla lavorazione, al trasporto, al marketing, alla distribuzione e alla vendita al dettaglio. Vengono esaminate diverse aree di rischio presenti lungo le catene di fornitura del settore agricolo: diritti umani, diritti dei lavoratori, salute e sicurezza, sicurezza alimentare e nutrizione, diritti fondiari e accesso alle risorse naturali, benessere degli animali, protezione ambientale e uso sostenibile delle risorse naturali, governance, nonché tecnologia e innovazione (OECD, 2024).
Se si guarda al contesto europeo, secondo la Commissione, solo un terzo delle imprese europee applica la due diligence per monitorare l'impatto ambientale e sociale delle proprie attività. Di conseguenza, si è sviluppato uno specifico dibattito sulla necessità di regolamentare questo processo per prevenire violazioni dei diritti umani e danni ambientali. In tale contesto Francia e Germania hanno anticipato l'Unione Europea nell'implementazione di normative specifiche sulla Due Diligence per la sostenibilità e i diritti umani nella supply chain, introducendo leggi nazionali che servono da modello per altre giurisdizioni.
Nel 2024, la Direttiva (UE) 2024/1760, o Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), assegna responsabilità alle imprese per garantire comportamenti sostenibili nella supply chain. Sebbene il campo di applicazione sia limitato alle aziende con oltre 1000 dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato, coinvolge indirettamente anche le PMI della filiera agroalimentare. La direttiva impone alle imprese di identificare e mitigare i rischi relativi ai diritti dei lavoratori, all'efficienza delle risorse e alla riduzione degli sprechi. Si tratta del primo strumento giuridicamente vincolante adottato dall'UE, nei confronti degli Stati membri, sulla due diligence e sulla sostenibilità aziendale previsto tra le misure del Green Deal. Gli Stati membri avranno poi due anni di tempo per implementare i regolamenti e le procedure amministrative per conformarsi al testo giuridico UE. La Direttiva fa propri i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (UNGPs) e concretizza l'obbligo di dovuta diligenza nell'individuazione, nella cessazione, nella prevenzione, nell'attenuazione e nella contabilizzazione degli impatti negativi sui diritti umani e sull'ambiente nelle attività dell'impresa, delle controllate e della catena del valore, includendo sia le attività a monte (come progettazione, estrazione, approvvigionamento di materie prime e prodotti) sia quelle a valle (come distribuzione e stoccaggio).
Una significativa evoluzione nel quadro legislativo dell'Unione Europea per contrastare le pratiche di sfruttamento lavorativo e promuovere il rispetto dei diritti umani a livello globale è rappresentato dal nuovo regolamento europeo che proibisce la vendita, l'importazione e l'esportazione di prodotti realizzati attraverso il lavoro forzato. Le aziende non conformi potrebbero essere soggette a multe e dovranno ritirare i loro prodotti dal mercato unico dell'UE. Il testo deve ottenere l'approvazione formale da parte del Consiglio, e sarà poi pubblicato nella Gazzetta ufficiale. Entrerà in vigore nei Paesi dell'UE tra tre anni.
La due diligence sui diritti umani nelle catene di fornitura è sempre più importante per le aziende, poiché gli standard obbligatori di due diligence vengono elaborati e presi in considerazione nelle giurisdizioni nazionali, a livello di Unione Europea e in un processo di negoziazione di trattati internazionali. Resta da valutare l'applicazione in Italia dove, seppur non esiste una legge ad hoc si riscontrano una serie di buone pratiche sul tema.
Lucia Briamonte
CREA PB
PianetaPSR numero 140 dicembre 2024