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Gestione del rischio climatico in agricoltura: scenari, strumenti e prospettive di sistema

L'importanza del passaggio da un approccio reattivo a uno strutturalmente preventivo fondato sulla conoscenza. 

Nel dibattito sulla sostenibilità dei sistemi agricoli, la gestione del rischio climatico è il più delle volte considerata come un elemento secondario e accessorio e non come prerequisito funzionale alla continuità produttiva, alla stabilità del reddito e alla salvaguardia del capitale naturale. 

È noto peraltro che, nel quadro dell'attuale crisi climatica, l'agricoltura italiana versa in una condizione di particolare fragilità. L'intensificarsi dei fenomeni meteorologici estremi, come siccità prolungate, gelate fuori stagione e piogge alluvionali, mette a rischio la stabilità delle produzioni e, con essa, la sostenibilità economica, ambientale e sociale di un settore che presidia vaste aree del territorio nazionale, incluse quelle marginali e altrimenti destinate all'abbandono. 

Oltre alla vulnerabilità, c'è un risvolto strategico: la capacità del sistema agricolo di adattarsi e rispondere tempestivamente agli shock climatici, proprio per la sua naturale maggiore esposizione a tali fenomeni rispetto ad altri settori, potrebbe porsi, a tutti gli effetti, come un banco di prova per misurare la resilienza complessiva del Paese agli eventi catastrofali. 

Alla luce di queste considerazioni, la gestione del rischio in agricoltura, se basata su un approccio sistemico e integrato, sarà in grado di coniugare la conoscenza dei fenomeni con gli strumenti di prevenzione attivi e passivi. Tanto più se si considera che l'evoluzione nelle tecniche predittive degli eventi meteorologici estremi, sempre più precise e localizzate, quindi ben definite a livello territoriale, consente oggi di passare da un approccio reattivo a uno strutturalmente preventivo, fondato appunto sulla conoscenza, attraverso la diffusione delle polizze assicurative e dei fondi mutualistici, dei mezzi di difesa attiva e delle pratiche agronomiche resilienti. 

In questa prospettiva, le politiche e gli strumenti esistenti potranno progressivamente orientarsi verso un approccio maggiormente incentrato sulle sinergie tra pubblico e privato e sull'innovazione, anche nell'esigenza di coinvolgere le aziende più piccole e marginali. 
Riguardo al tema della conoscenza, in un contesto climatico segnato da profonde trasformazioni, la capacità di raccogliere, interpretare e utilizzare in modo sistematico i dati e le informazioni è ciò che distingue l'anticipazione dalla semplice reazione. 

Il patrimonio informativo oggi disponibile si è notevolmente ampliato: dalle rianalisi climatiche ad alta risoluzione e profondità storica alle proiezioni climatiche territorialmente parcellizzate fino alla costruzione di indicatori sintetici di vulnerabilità dei territori. 
Un contributo significativo in questa direzione sarà dato, entro l'anno, dall'indice CEVI (Catastrophic Events Vulnerability Index), sviluppato da ISMEA e ora in fase di completamento e validazione. 

Si tratta di uno strumento analitico che consente di classificare i Comuni italiani secondo un "rating" di rischio climatico, basato su una lettura integrata della frequenza e dell'intensità degli eventi estremi incrociata con la conoscenza delle caratteristiche fisiche dei singoli territori. Il CEVI permette di identificare aree particolarmente esposte - come quelle a vocazione vitivinicola o frutticola soggette a gelate tardive o le zone del Mezzogiorno colpite da siccità cronica - e di orientare le politiche pubbliche e aziendali, a partire da evidenze territoriali oggettive. In questo modo, la conoscenza non resta un patrimonio tecnico, ma diventa strumento di governo. 

Oltre alla dimensione analitica, il sistema è chiamato a sviluppare una capacità concreta di prevenzione. 

Prevenire, in un'accezione più ampia del concetto di "ex-ante", significa innanzitutto programmare, superare l'orizzonte troppo limitato della contingenza e costruire, per quanto possibile, scenari previsionali su cui fondare scelte tecniche, organizzative e di governance. Significa anche attivare strumenti normativi e incentivi economici che orientino le aziende verso comportamenti proattivi. 

In tal senso, il Piano Strategico della PAC (PSP 2023-2027) ha introdotto elementi di novità nella gestione del rischio, potenziando la funzione mutualistica del sistema attraverso l'intervento del Fondo catastrofale AgriCat e favorendo, in prospettiva, un progressivo ampliamento della platea assicurata. Tuttavia, come mostrano i dati, illustrati da ISMEA in occasione della XVII edizione del Convegno nazionale sulla gestione del rischio in agricoltura, organizzato dal Cesar lo scorso aprile, la diffusione delle coperture assicurative resta limitata: nel 2024 meno del 10% delle aziende agricole italiane ha sottoscritto una polizza agevolata, con forti disparità territoriali e una significativa sottorappresentazione del Centro-Sud. 

Per contrastare l'asimmetria e il deficit partecipativo il Piano di Gestione dei Rischi in Agricoltura 2025 ha introdotto un'importante novità costituita dalle polizze cosiddette "smart". Si tratta di prodotti assicurativi semplificati, flessibili e meno costosi rispetto alla polizza tradizionale pensati per abbattere alcune complessità contrattuali e rendere l'accesso ai contributi pubblici più agevole e attrattivo, in particolare per le aziende di piccole dimensioni o con minore dotazione tecnica. Questi strumenti sono pienamente complementari al Fondo AgriCat e mirano a una maggiore inclusione del tessuto agricolo italiano nel sistema di protezione preventivo, evitando che l'assicurazione resti appannaggio esclusivo di poche grandi realtà organizzate che nel tempo hanno acquisito dimestichezza nella gestione dei rapporti con le compagnie. 

La diffusione di queste polizze, oltre che dal processo di sottoscrizione semplificato e dalla possibilità (a tendere) di utilizzare il canale on-line, è favorita dalle policy sulla riassicurazione che consentono, attraverso uno specifico fondo gestito da ISMEA, di prendere in carico parte del portafoglio rischi assunto dalle compagnie. 

Tuttavia, la prevenzione non può limitarsi agli strumenti assicurativi e finanziari. Serve anche un cambiamento culturale che da una logica reattiva, fondata sull'indennizzo post-evento ancora dominante, o passiva, basata sul trasferimento del rischio ad altri soggetti, favorisca il passaggio a una logica preventiva fondata su strumenti di difesa attiva, ovvero da quell'insieme di interventi tecnici, strutturali e infrastrutturali orientati a ridurre fisicamente l'impatto degli eventi avversi sulle colture. Sebbene spesso trascurato nei dibattiti, questo aspetto è fondamentale per rafforzare la resilienza del sistema agricolo. 

Le reti antigrandine, i frangivento, le barriere verdi, l'irrigazione di precisione, le serre automatizzate sono esempi di soluzioni di difesa attiva già disponibili e, in molti casi, sperimentate con successo in diverse realtà italiane. A queste tecnologie si affiancano pratiche agronomiche che concorrono a una resilienza attiva, come la diversificazione colturale, le tecniche conservative, l'aumento della sostanza organica nei suoli, la gestione sostenibile dell'acqua e l'incremento della biodiversità funzionale. 

La difesa attiva non costituisce un'alternativa alla prevenzione di tipo passivo, ma ne è il naturale complemento; rende tangibile, sul campo, una visione strategica della gestione del rischio, traducendo l'analisi e la programmazione in protezione reale del capitale produttivo. Inoltre, rappresenta un'opportunità per orientare l'innovazione agricola non solo verso l'efficienza, ma anche verso la capacità di adattamento in risposta agli eventi estremi. 

Concludendo, la gestione del rischio climatico in agricoltura dovrebbe tendere a rafforzare il suo approccio integrato e multilivello, potendo già disporre di basi conoscitive solide ed evolute, strumenti accessibili e inclusivi e azioni concrete di protezione e adattamento. In questo quadro, il rafforzamento della sinergia tra strumenti assicurativi, fondi mutualistici, strutture e infrastrutture e buone pratiche agronomiche rappresenta la condizione per garantire la tenuta e lo sviluppo del comparto agricolo in un'epoca, tra l'altro, di incertezza economica, geopolitica e ambientale. Strumenti e tecniche che devono agire in osmosi. 

Con un salto di qualità nella gestione, un impegno coerente nella formazione e nelle competenze e un investimento nella fiducia tra i diversi attori coinvolti si può costruire oggi la resilienza dell'agricoltura italiana di domani. E non si tratta solo di un obiettivo, ma di una responsabilità collettiva verso l'ambiente, l'economia e le future generazioni. 

 
 

Niki Lasorsa
ISMEA

 
 

PianetaPSR numero 141 giugno 2025