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Tartufo

Viaggio in Umbria. Sulle tracce dei tartufi e di altri tesori invisibili del territorio

Un'analisi del valore economico ed ecologico della filiera e delle sue prospettive. 

Il nostro viaggio in Umbria è iniziato due anni fa, con l'obiettivo di comprendere il senso profondo del tartufo in queste terre, per provare a misurarne il peso economico, l'impatto ecologico, il valore culturale e identitario.

Con rigore, umiltà e cautela abbiamo iniziato la nostra cerca dei dati, punto di partenza essenziale per delineare, attraverso una mappatura accurata, possibili traiettorie sostenibili della filiera tartuficola umbra.

I risultati, in corso di condivisione e validazione con i principali stakeholder, potrebbero costituire un contributo ad una visione dei tartufi d'Umbria, volto ad integrare elaborazioni, posizioni multidisciplinari e prospettive multiattore, concepito per trasformare la conoscenza condivisa in orientamento strategico e strumento di governance territoriale.

In questi due anni la nostra cerca si è rivelata complessa almeno quanto quella del tartufo. Eravamo sin dall'inizio consapevoli della frammentazione e delle asimmetrie informative; abbiamo, con determinazione, scavato tra archivi pubblici, fonti scientifiche, memorie locali, cercando la trama profonda di un sapere antico, tramandato di generazione in generazione, che ha attraversato l'Umbria papale e i ducati confinanti, le vie del sale e del legname.

Alla fine, ecco la trama disvelata, di cui si riportano alcuni elementi di sintesi: il tartufo è presente in 89 dei 92 comuni umbri, con tutte le nove specie di cui è consentita la raccolta e la commercializzazione dalla Legge 16 dicembre 1985, n. 752. Una rete simbiotica viva e vitale di biodiversità che unisce risorse naturali preziose, economie locali, patrimoni immateriali di grande rilevanza, attraversando 8464,33 km² di territori regionali in larga parte fragili e marginali.


Sono circa 454 ettari le tartufaie controllate (dati 2023), di cui oltre il 37% a tartufo bianco, oltre il 17% a tartufo nero pregiato e oltre il 43% a tartufo estivo. Circa 208 ettari le tartufaie coltivate, di cui oltre il 72% a tartufo estivo e la restante parte a tartufo nero pregiato.


Accanto ai dati delle tartufaie, sono emersi quelli delle persone: circa 6640 cavatori autorizzati (dati al 2023), donne e uomini, umbri di nascita e di adozione, giovanissimi e centenari. Un mosaico umano variegato, presente in tutti i 92 comuni umbri, sebbene concentrato per circa il 50% tra Città di Castello, Perugia, Terni, Gubbio, Foligno, Spoleto, Umbertide. 

Abbiamo cercato oltre i numeri, convinte che le cifre più vere si misurino nelle storie, nei segreti, nelle passioni e nei gesti comuni, antichi e sempre nuovi, che uniscono generazioni, generi e provenienze differenti. 

Sono gli attori strategici di ieri, di oggi e di domani, custodi - in Umbria come nel resto d'Italia - di una pratica, la cerca e la cavatura del tartufo, nel 2021 riconosciuta dall'UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità.

Un riconoscimento che oggi diventa, per un cavatore, un vero e proprio impegno e un nuovo patto di responsabilità, perché implica il compenetrarsi nel ruolo di custode dei tartufi e delle tartufaie, di promotore e di garante di pratiche sostenibili ed etiche da trasmettere alle nuove generazioni. 

Nel nostro viaggio abbiamo scoperto, ancora, un patrimonio di sapere scientifico e tecnico che ha reso l'Umbria una regione pioniera in Italia, con la prima piantagione di Tuber melanosporum all'inizio del Novecento; e, negli anni 80, con il Programma Tartufigeno Regionale Umbro, la realizzazione di 59 tartufaie e complessivi 115 ettari, nati dai laboratori di micologia e dai campi sperimentali coordinati dalla Facoltà di Agraria di Perugia, contribuendo alla diffusione della conoscenza sui processi ecologici, agronomici e gestionali alla base delle tartufaie. Tale sapere ha permesso di sviluppare metodi di coltivazione e sperimentazioni tra le più avanzate in Europa nel campo della valorizzazione sostenibile del tartufo.

Da allora si è progressivamente consolidato il riconoscimento del tartufo non soltanto quale prodotto non legnoso delle foreste, ma leva strategica di sviluppo locale: dagli anni '90 in poi, infatti, cospicue sono state le risorse finanziarie dedicate a interventi diretti e indiretti, finanziati nell'ambito delle misure della programmazione regionale per lo sviluppo rurale.

L'Umbria tartuficola di oggi, invero, è il risultato di terre vocate ma anche di chi ha reso possibile un dialogo tra politica, scienza e comunità umbre; di chi ha saputo innalzare la sensibilità, l'interesse, le conoscenze e le competenze in generazioni di studenti, imprenditori, funzionari e tecnici, alcuni dei quali consulenti di riferimento per istituzioni pubbliche ed imprese, interregionali ed europee.

Abbiamo scoperto nel nostro cammino, dunque, che il prezioso tartufo nel cuore verde d'Italia porta in sé un patrimonio intangibile di saperi stratificati, di inestimabile valore.

Un potenziale laboratorio vivente di mitigazione/adattamento e resilienza, con cui poter affrontare le sfide attuali, a partire da quelle dei cambiamenti climatici e della gestione del territorio, responsabili del progressivo calo delle produzioni.

Ma il futuro è adesso, e non attende. E la prima e urgente sfida sta nel superamento della frammentazione e dell'asimmetria informativa del settore: nello sforzo di far emergere e collegare fonti e dati ambientali, economici, sociali e culturali, saperi locali e conoscenze scientifico-tecnologiche, laddove la disponibilità dei dati non rappresenta solo un insieme di indicatori quantitativi, ma memoria viva del territorio e strumento di consapevolezza e coevoluzione.

È questo il primo tassello essenziale per la tutela del tartufo quale bene comune, una tutela che oggi non può che basarsi su un ecosistema informativo strutturato, aperto e collaborativo.

Il vantaggio competitivo umbro, costruito negli ultimi cinquant'anni, deve oggi poter trasformarsi presto in una leva rigenerativa capace, appunto, di rigenerare la filiera tartuficola sul piano ecologico, economico e sociale. 

Un ringraziamento vivo a chi, con lungimiranza e fiducia, ha condiviso il nostro viaggio aprendo i propri scrigni, consapevole che i dati sono un bene collettivo, come i tartufi: necessari per costruire visioni, guidare politiche e programmare scelte informate e responsabili.

 

Bibliografia

  • Bencivenga, M., Di Massimo, G., Galletti, M. (2025). La coltivazione pratica dei tartufi.
  • Furlani, A. (2015). La raccolta del tartufo in Italia: una importante attività socio-economica del settore forestale.
  • Bencivenga, M., Bacianelli Falini, L. (2012) Manuale di tartuficoltura. Esperienze di coltivazione dei tartufi in Umbria.
  • Donnini D., Bencivenga M., Baciarelli Falini L., Risultati di esperienze pluriennali nella coltivazione di Tuber magnatum P. in Umbria.
  • Pampanini, R. Diotallevi F., Marchini, A. (2012) Il mercato del tartufo fresco in Italia tra performance commerciali e vincoli allo sviluppo: il contributo delle regioni italiane.
  • Jacoboni, A., & Carrozza, M. T. (2009). Il tartufo: un prodotto di qualità in Umbria.
  • De Qualitate, 2009(1), 64-74.Granetti, B,. De Angelis, A., Materozzi, G. (2005), Umbria terra di tartufi.
  • Atti del 1°, 2°, 3° Congresso Internazionale sul Tartufo (1968, 1998, 2008).
 

Monica Vacca, Lucia Briamonte

 
 

PianetaPSR numero 144 ottobre 2025