Cosa pensano gli agricoltori italiani del greening e della nuova struttura dei pagamenti diretti? E quante aziende rispetterebbero già oggi le norme del greening? A fornire una risposta "a caldo" è la seconda indagine di Retebarometro. Realizzata entro due mesi dalla pubblicazione delle bozze dei regolamenti sulla riforma della PAC, appena il tempo necessario perché gli agricoltori familiarizzassero con termini quali "greening" e "aree ecologiche", l' indagine nella prima metà di dicembre ha raccolto le opinioni e valutazioni di 300 aziende, distribuite lungo l'intera penisola e appartenenti alle principali filiere agricole, su alcuni degli aspetti più innovativi della politica agricola comunitaria che inizia a profilarsi all'orizzonte.
Diversificazione delle tre colture
Ne è emerso che tra le aziende sottoposte all'obbligo della diversificazione produttiva (quelle che coltivano oltre tre ettari a seminativo), solo l'11% rispetta già il requisito della coltivazione di almeno tre colture (di fatto nessuna supera le quattro), mentre il 50% ha un orientamento monocolturale e il 38% diversifica con due.
L'ulteriore requisito, per cui nessuna delle colture deve occupare meno del 5% della superficie a seminativo o più del 70%, non è molto restrittivo, dato che fa scendere l'incidenza delle aziende già conformi con la diversificazione di un solo punto percentuale, al 10%.
Aree ecologiche
Per quanto riguarda le aree ecologiche, un terzo degli agricoltori che sarebbero soggetti a questa norma (avendo colture annuali o permanenti, ad esclusione dei prati) non è stato in grado di fornire indicazioni sulla superficie che occupano all'interno della propria azienda. D'altronde quella che circola è solo una proposta di regolamento, e comunque al suo interno l'elenco degli elementi o
destinazioni ritenuti costituire le aree di interesse ecologico è lasciato volutamente aperto, rimandando alla Commissione il compito di fornire precisazioni e di aggiungere altre aree che possano concorrere al rispetto della percentuale indicata. Dunque, con la normativa in fase di definizione è praticamente impossibile a tutt'oggi avere un'idea chiara e, soprattutto, esaustiva, su cosa possa consentire l'adempimento dell'obbligo.
Ciò nonostante i due terzi delle aziende soggette alla norma hanno fornito una prima valutazione della quota di superficie aziendale occupata dalle aree ecologiche. Ne risulta che, sulle aziende che hanno risposto, il 27% sarebbe in linea con il requisito comunitario che fissa ad almeno il 7% la loro incidenza, mentre il 61% ne sarebbe totalmente sprovvisto.
Gli elementi o destinazioni che risultano più spesso costituire queste aree ecologiche sono le siepi (con un'incidenza del 21%), quasi appaiate al set aside (20% di citazioni). Ma con una frequenza compresa tra il 17 e il 19% troviamo anche boschi e terrazze (ovviamente la graduatoria cambierebbe se redatta in base alla superficie occupata). L'inserimento dei boschi, senza alcuna specifica, rappresenta in realtà un'interpretazione estensiva di quanto previsto nella proposta di regolamento, che attualmente circoscrive la componente dei boschi a quella risultante dalla partecipazione alla specifica misura del rimboschimento dei terreni agricoli. Alla luce di questa considerazione, dunque, la quota delle aziende già conformi alle richieste
del greening potrebbe risultare anche inferiore al 27% stimato. Ma il negoziato con il Parlamento europeo e il Consiglio si è appena aperto e la rilevazione della presenza dei boschi definiti in senso lato, in questo contesto, finisce per l'offrire interessanti spunti di valutazione al dibattito.
Quanto costerà agli agricoltori il greening è difficile valutarlo in questa fase del processo di riforma. Non a caso gli agricoltori, chiamati a quantificare i maggiori costi e minori ricavi connessi, per quasi la metà (il 46%) non sono stati in grado di rispondere, anche alla luce della indeterminatezza, già richiamata, dei vincoli effettivi che saranno a loro carico. Per il resto, le opinioni sono molto diversificate, anche se una discreta concentrazione di risposte, il 19%, si concentra nella fascia oltre i 300 € ad ettaro, evidenziando la percezione negativa degli agricoltori rispetto ai nuovi vincoli e all'impatto che avranno sui risultati economici aziendali.
Sì deciso al sostegno ai giovani e bene la semplificazione
Nel frattempo l'istituzione di un pagamento per i giovani agricoltori raccoglie un consenso diffuso nel mondo agricolo, con l'88% degli intervistati pro. Favorevole anche l'accoglienza riservata al regime semplificato per i piccoli agricoltori, anche se con una percentuale più contenuta, pari al 59%, che lascia spazio a una quota non irrilevante di indecisi, il 23%, o addirittura contrari, il 18%. Tra i favorevoli la motivazione nettamente prevalente è quella di ridurre i vincoli, particolarmente onerosi per le piccole aziende, e snellire la burocrazia, così da favorire il mantenimento di questo tessuto imprenditoriale. Ma c'è anche una frangia che vede nel pagamento semplificato una convenienza economica. I contrari al regime semplificato, invece, si rifanno soprattutto a un principio di equità (tutti devono essere soggetti alle stesse regole), ma avanzano anche considerazioni di tipo ambientale, legate alla disapplicazione del greening, nonché un non marginale orientamento a far sparire le piccole aziende.
Franca Ciccarelli
f.ciccarelli@ismea.it
PianetaPSR numero 5 - dicembre 2011